Allora inizio io: a me è piaciuto molto e questa è la J.E. che ho scritto dopo averlo letto grazie al ring di devonpennyblack

Se è vero, come sono convinta, che non esiste un modo univoco (né tanto meno giusto o sbagliato a priori) di vivere ed elaborare un lutto, il racconto che Veronesi ci offre è allora del tutto immune dal giudizio di verisimiglianza a questo riguardo. Semmai potranno apparire poco credibili alcune figure di contorno, ma può anche darsi che questa impressione derivi solo dalla percezione che di esse ha il protagonista-narratore, perché suoi sono gli occhi attraverso i quali le vediamo, e il turbamento in cui si trova a vivere può anche giustificare la loro distorsione. Per quanto riguarda invece Pietro, non ho trovato affatto artificiali o artificiosi il meravigliarsi di non soffrire, il farsi involontariamente catalizzatore dei dolori, preoccupazioni e miserie altrui, il ripetere comportamenti adottati un giorno spontaneamente e d’impulso nella speranza che continuino a difenderlo dall’arrivo della “botta” del dolore: sono tutti atteggiamenti che ben si inscrivono in uno stato d’animo di “sospensione” (sia della vita che del giudizio) attraverso la quale il protagonista arriva ad un nuovo punto di equilibrio che passa anche attraverso il confronto con gli stati d’animo e il modo di essere degli altri. La lentezza e la prolissità di alcuni episodi, il frequente ricorso al flash back, le lunghe pagine espresse con la tecnica del flusso di coscienza sono, a mio avviso, non punti deboli o difetti di questo romanzo, ma al contrario, quanto di meglio possa esprimere lo stato emotivo del protagonista, proteso a costruirsi (per poi rinchiudervisi) un “bolla” che lo protegga e lo traghetti verso una nuova consapevolezza, di sé e degli altri, faticosamente raggiungibile ma comunque possibile. Quello a cui assistiamo è un cammino volto a circoscrivere la propria esistenza in un ambito fisicamente molto ristretto, ma lasciando spaziare la propria mente in un viaggio che abbraccia i rapporti interpersonali, le ambizioni, i valori, le meschinità propri e altrui.
Allo stesso modo, anche i frequenti cambi di tono (amarezza, dubbio, ironia, preoccupazione, disinteresse per questioni importanti e interesse per dettagli di scarso rilievo) possono inscriversi nel complessivo stato di confusione emotiva del protagonista, in quel disordine su cui solo sporadicamente tenta di riprendere il controllo, e farsi emblematici di quanto possa essere difficile misurare il proprio comportamento in una circostanza in cui gli altri (ma anche, e in primo luogo, lui stesso) si aspetterebbero l’adozione di altri tipi di condotta.
E a ben guardare poi, tutto questo non potrebbe essere già di per sé non quella assenza del dolore di cui il protagonista si meraviglia, ma semplicemente il modo in cui in questo caso la sofferenza si è manifestata nell’intimo di Pietro Paladini ?
Un romanzo pieno di contrasti, che mantiene quello che l’ossimoro del titolo aveva promesso e premesso; ricco di introspezione più che di avvenimenti. Ma a chi, come me, non cerca in una lettura per definirla gratificante esclusivamente il ritmo serrato, la dinamicità della trama, il concatenarsi di vicende e colpi di scena, questo libro ha molto da offrire.
Sia in termini di riflessioni: la commistione di forza e debolezza nella natura umana, la meraviglia di quanto si può scoprire degli altri ma anche di noi stessi se solo ci fermiamo ad osservare con occhi nuovi (ossia estraniandosi e mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri che costantemente ci accompagnano nelle nostre vite frenetiche) la quotidianità che si manifesta attorno a noi, la possibilità di riscattarsi anche d’impulso, con un guizzo estemporaneo, da quella fragilità che di volta in volta assume le vesti di opportunismo, calcolo, egoismo, disinteresse.
Sia in termini di linguaggio e di tono: calibrati attorno ai diversi stati emotivi che, senza cadere nel retorico, nel patetico o nel melodrammatico (rischi che il tema del romanzo rendeva certo non improbabili), descrivono un coacervo di sentimenti e stati d’animo che si snodano e si sviluppano sotto gli occhi del lettore grazie ad un uso appropriato di descrizioni, dialoghi, frasi anche interrotte ma di cui si percepisce ugualmente il senso. Si incontrano, è vero, anche parole volgari, ma trovo che abbiano una loro ragion d’essere proprio in quanto esprimono pensieri che si srotolano in libertà, senza condizionamenti, filtri, censure, e quindi appropriati al contesto da cui questi passi scaturiscono. Diverso invece è il mio parere riguardo al capitolo dedicato all’amplesso tra il protagonista e la donna da lui salvata: sinceramente mi è sembrato rappresentare una cosiddetta caduta di stile, perché vi ho visto un indugiare anche un po’ compiaciuto su dettagli che potevano benissimo essere lasciati semplicemente intendere: glissare e sorvolare un po’ non avrebbe mutato niente nell’economia della storia o dell’episodio stesso, che avrebbe mantenuto comunque tutta la sua crudezza. Ciò non sminuisce, comunque, la mia opinione più che positiva su questo romanzo, nel quale ho ritrovato con piacere toni e temi che già mi avevano tanto colpita leggendo “La forza del passato”
Una nota a parte merita il finale, che mi ha emozionata molto:
Here be spoilersun po’ precipitoso, forse, ma proprio come spesso possono essere le “illuminazioni” da cui si rimane folgorati pur avendo girato attorno ad esse a lungo; certo emotivamente molto coinvolgente, con quella presa di coscienza espressa nella forma di una ideale conversazione telefonica in cui tutti i personaggi del romanzo si susseguono nel ruolo di interlocutori muti rispetto a questo padre che così tanto e in un solo istante ha capito grazie a sua figlia, e che tenta in questo modo di fare chiarezza almeno con se stesso sui rapporti più o meno importanti con le persone che hanno avuto un ruolo nella sua storia. E con quel concludersi lasciando alla fantasia e alla sensibilità del lettore il compito di immaginare quanto Pietro avrebbe potuto dire a Lara. Bellissimo.