Il romanzo è ambientato durante le elezioni presidenziali americane del 1876 ma purtroppo le problematiche che affronta sono ancora oggi molto attuali. In un mondo politico dominato dalla corruzione e dagli scandali, si fronteggiano i due candidati presidenziali: il tutto viene narrato sottoforma di diario dall’arguto e cinico giornalista Schuyler, tornato a New York dopo 40 anni vissuti in Europa con la bella figlia rimasta vedova. Da un lato quindi descrive il sistema politico con tutti gli intrallazzi e gli scandali politici e finanziari, dall’altro descrive la società americana e il loro inserimento nei “salotti buoni” allo scopo di trovare un ottimo partito per la figlia che sarà bella e nobile, ma pur sempre squattrinata.
Ho trovato molto divertenti le pagine dedicate alla descrizione di questa “buona società” e di tutte le regole e i loro riti anche perché padre e figlia non smettono mai di giudicarli in modo snob come farebbero i “nobili” europei (tra loro definiscono gli USA “Africa” e “africani” i loro abitanti).
Bello e nostalgico è il continuo raffronto tra la New York del 1876 e il ricordo di Schuyler di 40 anni prima: una città completamente diversa e in continua evoluzione.
Un gran bel romanzo a cui ci si appassiona nonostante la lunghezza e l’estremamente dettagliata trascrizione delle conversazioni. Se non piace lo stile che sembra quasi una “sbobinatura” dei dialoghi e un apparente pedante resoconto della giornata, conviene abbandonarlo: questo stile o ti avvince o ti annoia, senza vie di mezzo. Io ne sono rimasta incantata e mi sembrava di essere lì presente a questi ricevimenti, alle sedute del senato o agli incontri con i direttori dei giornali.
Per me, un libro splendido.
Il candidato - Gore Vidal
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