"Gli effetti secondari dei sogni" - Delphine De Vigan

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Towandaaa
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"Gli effetti secondari dei sogni" - Delphine De Vigan

Messaggio da Towandaaa »

Attenzione: qua e là ci sono degli spoiler che non sono riuscita ad enucleare e nascondere in modo che tutto il resto continuasse ad avere un senso comprensibile

Se è vero che le esperienze drammatiche e le delusioni segnano la personalità e il carattere di una persona portandola a maturare anche precocemente, per tutto quello che ha già vissuto in soli 12 – 13 anni Lou potrebbe già essere una donna adulta. Nonostante ciò continua a esprimersi saltando da un pensiero all’altro, proprio come i ragazzini, e si aggrappa agli esperimenti scientifici e alla grammatica come discipline che mettono ordine fra le cose e le parole, alla ricerca di un equilibrio interiore che le sfugge, come è naturale che sia per una preadolescente. Significativo a questo proposito è un pensiero di Lou che mi ha colpita per la sua originalità: “la grammatica ha previsto tutto, il disincanto, le sconfitte e i problemi in generale”...come se la grammatica (nei cui confronti Lou sembra nutrire un senso di ammirazione) potesse avere facoltà di giudizio sugli eventi e fornire modelli di condotta adeguati in risposta ad essi.
Lo stile con cui il romanzo è scritto rispecchia proprio il particolare punto di vista prescelto: la semplicità, la spontaneità, la vivacità e la freschezza del linguaggio, senza toni prolissi o enfatici che sarebbero risultati inappropriati se attribuiti a una ragazzina.
Ma non si tratta di una ragazzina come tante altre: non solo ha un quoziente intellettivo ben superiore alla media che l’ha catapultata precocemente nella scuola superiore (circostanza che sarebbe già da sola sufficiente a farne una persona non ben inserita nel contesto dei compagni).
Ha anche una madre in stato praticamente catatonico a seguito della morte della secondogenita ancora neonata; ha il padre che piange, ma di nascosto; la sua profonda sensibilità la porta a scrivere “zero” fratelli nel modulo scolastico perché il numero in cifre non suggerisce né l’assenza né il dolore.........vive insomma in uno stato di quasi totale abbandono affettivo (o almeno, lei se lo raffigura così), cerca negli sconosciuti che transitano nelle stazioni quelle emozioni che non vede attorno a sé in famiglia, e si imbatte in due ragazzi poco più grandi di lei, che a loro volta vivono in stato di abbandono solo affettivo (Lucas) e in stato di abbandono sia affettivo che materiale (No).
Lou affronta con quel mix tutto adolescenziale di caparbietà, innocenza, ingenuità, sensibilità, un’impresa più grande di lei: aiutare No ad uscire da una esistenza borderline rimessa al caso, all’elemosina, agli espedienti per mangiare, scaldarsi, dormire. E lo fa con un trasporto tale che la componente di utopia nella sua impresa si esclissa in secondo piano, ed il tono del romanzo evita di scivolare verso quelle derive buoniste e retoriche che incombono in agguato su argomenti come la vita dei clochards e il senso di inadeguatezza degli adolescenti. Anche quello che potrebbe sembrare a prima vista un passaggio poco credibile della storia – il non voler prendere coscienza che dopo i primi successi incoraggianti la vita di No sta riprendendo una strada sbagliata – si può invece inscrivere, secondo me, nel complesso atteggiamento di Lou di fronte a No, quasi a voler negare un fallimento che sente anche come proprio. A tutte le età è difficile accettare che “le cose sono come sono”, ma a maggior ragione è difficile farlo quando si è adolescenti e tutto sembra possibile. Tutto l’entusiasmo che Lou ha messo nella sua impresa finisce per spengersi nella delusione, e di ciò si ha un’amara anticipazione nella cruda riflessione che si trova nella prima metà del libro : “chi chiede continuamente conferma della tua fiducia sarà il primo a tradirla”. Ma qualcosa di buono viene comunque raggiunto, perché l’esperienza con No è servita alla madre di Lou per uscire dalla depressione e riallacciare i rapporti con la figlia, e Lou impara, pur se a caro prezzo, ad affrontare la vita e la responsabilità per le proprie scelte a viso aperto e non nascosta dietro quelle vie di fuga che le servivano per estraniarsi (dopo il tentativo di scappare, infatti, torna a casa senza perdersi a contare le auto, le lettere dei cartelli e dei manifesti, e senza elencare proposizioni, congiunzioni eccetera, come faceva invece prima, in quei passi alla “flusso di coscienza” in cui si esprimeva il suo meccanismo di difesa). E ciò probabilmente serve a stemperare quel principio di delusione che si prova di fronte all’epilogo, fugace davvero però, almeno nel mio caso, perché l’happy ending mi sarebbe apparso poco verosimile e troppo scontato. In tal senso quindi non solo si giustifica, ma appare, almeno a me, davvero felice la scelta editoriale di attribuire a questo romanzo nell’edizione italiana un titolo così diverso dall’originale. “Gli effetti secondari dei sogni” è non solo poeticamente più accattivante rispetto a “No ed io”, ma soprattutto è anche la chiave di lettura per una storia in cui gli effetti ottenuti non sono quelli programmati in partenza, si sono prodotti per così dire, da soli, al di fuori del controllo di chi ha agito con altri intenti. E in fondo, non è proprio così che si comporta talvolta la vita ? Come la stessa Lou osserva “nella vita non c’è niente, né cartelli, né titoli, né segnali, niente che indichi attenzione pericolo, smottamenti frequenti o delusioni imminenti”. La differenza consiste nel fatto che gli adulti hanno imparato a convivere con la fallacità e l’imprevisto, gli adolescenti ancora no.
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