Penso che la vera natura di questo libro sia proprio di presentarsi come una sceneggiatura (quale in origine era), e non come un romanzo (quale poi è diventato).
In primo luogo perché balza subito agli occhi, fin dalle prime pagine, la struttura fatta di tante piccole scene, che si susseguono capitolo dopo capitolo con un taglio netto dietro al quale sembra di sentire il classico “ciak, azione !”. Più volte ho immaginato di vedere Leonardo Pieraccioni (se non fosse che è troppo e irrimediabilmente fiorentino per vestire i panni di un giovane siciliano !) sia come regista che come interprete nelle varie vicende narrate, o anche Francesco Nuti.
In secondo luogo, e mi dispiace se qualcuno potrà interpretare queste mie parole come espressione dell’intento di comportarmi come la maestrina dalla penna rossa di “cardiaca” (!) memoria (lungi da me), ci sono veramente troppi errori ortografici, sintattici e lessicali, che seguendo un film forse si noterebbero meno, ma leggendo un libro finiscono per appesantire le pagine e risultano fastidiosi.
Solo per fare qualche esempio:
- “cos’ì detto” (a pag. 2);
- “capeggiare” coniugato in diverse voci (e non “campeggiare”) nel senso di “fare bella mostra di sé”: dopo averlo trovato la prima volta ho pensato a una svista nell’editing.....ma ricorre per ben 4 volte nel libro (pagg. 5, 8, 50 e 55) quindi non penso sia accidentale;
- numerosi verbi coniugati nella prima persona singolare del passato remoto senza la seconda i finale (“aprì”, “capì”, “riuscì” e altri) che spingono il lettore alla vana ricerca di un soggetto in terza persona singolare;
- l’alternarsi molto “disinvolto” dei tempi verbali che rende discontinua la lettura.
Non sono una purista radicale, ma mi piace leggere un italiano corretto, e non sono molto indulgente nei confronti di “licenze poetiche” e altre amenità del genere, a meno che non abbiano una chiara ragion d’essere (come quando servono a denotare particolari condizioni ambientali e culturali oppure a dare un tono spiccatamente dialettale alle espressioni; ma non sembra essere questo il caso).
Peccato, perché, pur contestualizzandolo come testo umoristico, avrebbe potuto ottenere risultati migliori: ci sono in effetti spunti divertenti, ma la risata o il sorriso difficilmente riescono a decollare quando manca l’immediatezza della scena che può scaturire solo da un testo che sia almeno corretto se vuole essere fluido.
"Parola d'onore" - Marco Cavallaro
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