Non conoscendo affatto l’indole dei giapponesi in generale, né il loro modo di concepire il rapporto di lavoro in particolare, questa lettura mi è rimasta, diciamo così, distante, perché si tratta sì di uno scritto autobiografico, ma essendone autrice Amélie Nothomb è ancora più difficile stabilire fino a che punto i fatti narrati siano veri e da quale punto in poi inizi il lavoro di critica e di satira che questa autrice conduce abilmente con gli strumenti dell’ironia tagliente e del paradosso.
Quindi posso solo augurarmi che alcune vicende siano state un po’ “spinte” proprio allo scopo di mettere in risalto una gerarchizzazione che raggiunge livelli disumani e umilianti grazie soprattutto ad un atteggiamento da parte delle vittime così remissivo che sembra incredibile (e suscita anche sdegno) non solo di per sé, ma anche e soprattutto per il fatto che appare davvero consustanziato allo status di lavoratore dipendente, accettato non per costrizione ma per convinzione, anche di fronte a provvedimenti palesemente immotivati e arbitrari. Ed il quadro si fa ancora più inconcepibile quando si tratta di donne, perché i condizionamenti subiti fin da bambine in seno alla famiglia ne fanno in età adulta delle lavoratrici ancora più vittime dei soprusi e dell’alienazione rispetto ai colleghi uomini.
Ci sono dialoghi che colpiscono in prima battuta in quanto davvero umoristici……ma la reazione cambia immediatamente non appena si realizza che potrebbero anche essere emblematici di un modo comune di rapportarsi, tra colleghi e superiori, all’interno di una multinazionale nipponica.
"Stupore e tremori" - Amélie Nothomb
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