Carne e sangue - Micheal Cunningham

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MartinaViola
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Carne e sangue - Micheal Cunningham

Messaggio da MartinaViola »

Mi sono accorta che non c'è ancora una discussione riguardante questo splendido romanzo.

Lo sto leggendo proprio in questi giorni, grazie a un ring di Masia, e sono rapita, sorpresa, stupefatta...

Cunningham racconta la vita di un'intera famiglia - gli Stassos - che si sgretola nella speranza di incarnare il modello dell'american dream: una bella casa, tanti bei sorrisi e una solitudine per ognuno.

La scrittura fa venire la pelle d'oca, la narrazione è intrigante e non puoi smettere di leggere...
i personaggi sono caratterizzati a regola d'arte, ognuno recita un ruolo che non gli appartiene: Costantine nella parte del capofamiglia risoluto e autoritario, Mary nei panni della finta signora dai modi aristocratici, Susan nel ruolo della moglie e madre perfetta e così via.

Consigliatissimo! :D

non vedo l'ora di poter dare un giudizio una volta conclusa la lettura. :)
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MartinaViola
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Re: Carne e sangue - Micheal Cunningham

Messaggio da MartinaViola »

ed ecco il commento a fine lettura...

La Ragnatela nel Bicchiere

Cunningham narra la storia della famiglia Stassos: Costantine, il marito, ha origini greche mentre Mary è italiana, eppure la loro più grande aspirazione - nonostante ognuno la viva in modo diverso - è quella di essere americani, con una macchina americana, una casa americana e, soprattutto, con figli americani!
Mary vuole essere una "signora", vuole smetterla di dover sempre stare a contare i soldi e se la prende con quel marito senza successo, quell'uomo che da ragazza le appariva come un pezzo grosso.
Contro ogni aspettativa, Con ce la fa e diventa un ricco imprenditore immobiliare: un uomo che costruisce la sua fortuna su file di villette a schiera di scarsa qualità, brutte copie dell'american dream destinate a chi non può permettersi di meglio.
Gli Stassos, invece, si trasferiscono con i figli - Susan, Billy e Zoe - in una casa solida e spaziosa e sembrano finalmente incarnare lo stereotipo della famiglia del Mulino Bianco, sorridenti e luminosi anche appena svegli; ma basta grattare appena sopra la superficie per rendersi conto che i loro sorrisi sono forzati e innaturali e che la loro casa, così come la loro famiglia, non è altro che l'ennessima brutta copia di un modello inarrivabile.
Gli Stassos non sono una famiglia felice, sono estranei che vivono sotto lo stesso tetto: ognuno indossa una delle facce della solitudine, ognuno si nasconde calandosi in un ruolo che non gli appartiene nel tentativo di dar vita ad un'atmosfera di serena normalità, ma basta dare un'occhiata dall'esterno per rendersi conto che c'è qualcosa che stride inevitabilmente, qualcosa che non si incastra, una tensione inestinguibile che li spinge ognuno verso il suo personale precipizio.

L'autore diluisce queste vite complicate nell'apparente vastità di un secolo e lo fa con una maestria inaspettata: la sua scrittura è delicata e sferzante al tempo stesso, trascina il lettore nelle immensità della solitudine di ogni personaggio e gliela mostra ancorata alla tristezza di un altro, per formare, punto dopo punto, una ragnatela resistente ed eterea come un sogno che si ripete ogni volta che gli occhi si chiudono.

Cunningham affronta temi come l'omosessualità, la malattia, la morte, il tradimento con una disinvoltura abbacinante, con un flusso di parole che scivolano senza intoppi dagli occhi al petto, avvolgendo chi le beve in un'aura di drammatica bellezza.
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Towandaaa
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Re: Carne e sangue - Micheal Cunningham

Messaggio da Towandaaa »

E’ difficile elaborare (e ancor di più scriverlo in modo che risulti comprensibile) un commento su questa lettura, perché ancora non ho le idee ben chiare sulle sensazioni che mi ha lasciato.
I paragoni, che per loro natura dovrebbero servire ad esplicitare un pensiero (e quindi: seguirlo), in questo caso mi sembrano invece il punto di partenza più adatto. Ecco allora che mi balzano subito in mente due romanzi di Jhumpa Lahiri (“L’omonimo” e “Una nuova terra”) per l’analisi del difficile, contraddittorio e dagli esiti sempre diversi processo di integrazione nell’essere americano da parte di personaggi che non lo sono totalmente; e un romanzo di John Irving (“Hotel New Hampshire”) per l’anticonformismo, la bizzarria, l’originalità estrema e a volte un po’ forzata, volta a provocare e scuotere gli altri, che molti di questi personaggi dimostrano e perseguono con ostinazione.
Invertire l’ordine logico dell’argomentazione però non mi ha fatto fare che un minimo passo avanti: i romanzi di Jhumpa Lahiri mi sono piaciuti davvero molto, quello di John Irving poco……….altra prova di quanto le mie idee su “Carne e sangue” siano confuse.
Meglio allora lasciare in questa pagina alcuni “pensieri sparsi”, senza alcuna pretesa di organicità.
Mi è piaciuto molto lo stile: suggestivo, originale in alcune espressioni inusuali ma non esageratamente, ben plasmato sulle diverse personalità che popolano questa storia, talvolta molto crudo (ma nei limiti entro cui le circostanze lo richiedevano, e mai gratuitamente).
Mi è piaciuto il lavoro di costruzione dei personaggi, operato sia con le descrizioni, sia con il racconto degli eventi, sia con i dialoghi: il risultato ottenuto per ciascuno è davvero molto profondo.
Il carico di eventi, di scelte sbagliate, di debolezze, di “diversità” che c’è in queste pagine mi è sembrato invece eccessivo e, per di più, senza via di scampo alcuna. E quando provo un’impressione di esagerazione gli esiti sono generalmente due (e opposti). Se percepisco sotto a questa scelta un intento di satira, di critica, di condanna o di semplice ironia, la apprezzo (a patto che sia misurata). Quando invece (come in questo caso) gli eccessi non mi sembra si inscrivano in un disegno del genere, allora provo un po’ di fastidio, mi sembra che lo scrittore abbia voluto tirare la corda, mettere alla prova il mio senso critico di verisimiglianza, e questo finisce per annacquare un po’ il mio grado di partecipazione alle vicende narrate, o per “incrinare” l’atmosfera di drammaticità e di compassione. Ed è un peccato, perché ci sono pagine e pagine che mi hanno preso fortemente, ma ce ne sono anche altre che ho trascinato in fondo un po’ a fatica.
Un’ultima nota e poi concludo. Il finale in cui viene raccontato sommariamente cosa accade a ciascuno dei personaggi, spingendosi fino al 2035: era proprio necessario fare in modo che il lettore assistesse a qualcosa come le scritte in sovraimpressione con cui a volte si concludono i film quando già è partita la colonna sonora di chiusura ? Lo scrittore doveva proprio chiudere il cerchio dei cento anni (il romanzo inizia nel 1935 e finisce nel 2035) ? Anche questa mi è sembrata una forzatura, e per di più affrettata.
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