Ho letto molti dei libri di Schmitt, e mi sono sempre piaciuti molto, soprattutto per il tocco tutto particolare che questo autore dimostra nell’affrontare temi difficili e drammatici, con una ironia contenuta e spesso amara, con un incedere che crea l’atmosfera della fiaba e che trasfigura, rendendo forse più accettabili o almeno meno crude, vicende che altrimenti schiaccerebbero tutto e tutti sotto al loro peso.
E’ proprio vero però che intraprendere una lettura con un certo livello di aspettative può essere anche controproducente ai fini del gradimento, e così è stato in questo caso.
Il romanzo mi ha lasciato anche una certa sensazione di artificiosità che mai avevo provato prima nei confronti dei lavori di Schmitt. Mi è sembrato, cioè, squilibrato rispetto al tema trattato, il tono frequentemente “leggero” del racconto; ho trovato forzati ai limiti dell’inverosimiglianza alcuni passaggi (per non parlare del finale !); mi hanno un po’ infastidita sia l’intento moraleggiante che traspare in più occasioni dai pensieri e dai discorsi di diversi personaggi, in modo nemmeno tropo velato, sia alcune generalizzazioni, che proprio in quanto tali, mi fanno sempre storcere un po’ il naso, in qualsiasi contesto.
Ci sono, sì, passi molto intimi e sentiti (tanto per citarne solo uno: la lettera che Saad lascia alla ragazza siciliana prima di fuggire) ma vuoi per il fatto che, intrinsecamente e nell’economia della storia, sono rimasta perplessa dalla loro plausibilità, vuoi per il fatto che immediatamente dopo l’”incanto poetico” viene in parte “guastato” da un brusco cambio di rotta (per rimanere all’esempio di prima: aggiustare la pettinatura su suggerimento del padre, prima di fuggire), mi è sembrato di non poterli gustare appieno.
E ci sono, sì, riflessioni interessanti sia sul tema centrale del romanzo (le motivazioni e le condizioni dei clandestini) sia su altri temi sempre molto importanti e attuali (che cosa accomuni un popolo, se siano necessari oppure no i confini territoriali, che valore abbiano la famiglia, le aspirazioni, la libertà, il caso)……ma sembrano “galleggiare” su una storia poco convincente, costruita e sviluppata con alcuni escamotage che da Schmitt non mi aspettavo (e ci tengo a precisare che non mi riferisco alla presenza del fantasma del padre lungo tutto il racconto: ai miei occhi, paradossalmente, questo è un elemento più verosimile di tanti altri).
In sintesi: la commistione di toni e atmosfere che finora mi aveva sempre colpita, intenerita ed emozionata, ma questa volta a mio avviso non sapientemente dosata, ha ottenuto con me l’effetto contrario. Mi ha fatta sentire spesso spettatrice di una storia, raramente partecipe.
"Ulisse da Baghdad" - Eric-Emmanuel Schmitt
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