"Vietato" - Karine Tuil

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Towandaaa
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"Vietato" - Karine Tuil

Messaggio da Towandaaa »

La storia ruota attorno ad una particolare crisi di identità: quella innescata da un rabbino intransigente, che pretende da Saul, il protagonista, la dimostrazione “cartacea” dell’essere ebreo, come se essa da sola fosse determinante, come se non fossero sufficienti i molteplici segni di ciò che Saul porta sul proprio corpo (la circoncisione e il tatuaggio del numero che lo identificava come prigioniero ad Auschwitz) e nel proprio spirito (i ricordi della famiglia sterminata nel campo di prigionia e dei soprusi discriminatori subiti prima dell’olocausto, oltre agli spiriti delle migliaia di vittime dei campi di concentramento che turbano i suoi sogni). Ma quello che potrebbe apparire come un racconto drammatico di una vicenda molto intima e personale assume invece connotati più generali perché investe, per astrazione, sia la storia di un popolo intero, nel passato e nel presente, sia la particolare condizione di contrasto che può crearsi tra le proprie convinzioni e quanto invece altri pensano, tra ciò che è per sè e ciò che appare agli altri (un tema che mi è sempre molto caro per la viscerale ammirazione che nutro nei confronti di Pirandello e che mi porta spesso a ritrovare traccia del grande Luigi anche in scritti di altri autori). Situazione di contrasto che sebbene sorga da uno degli aspetti che costituiscono la persona (in questo caso, la dimensione spirituale e religiosa) finisce inevitabilmente per investire la totalità della persona, perché induce a mettere in dubbio o in discussione anche altri aspetti determinanti (significativa a questo proposito è la citazione di Franz Kafka con cui si apre il libro: “Cos’ho in comune con gli ebrei ? Ho a mala pena qualcosa in comune con me stesso”).
La particolarità di questo romanzo, inaspettata forse se ci si limita a leggere la trama, ma non troppo se già si è letto altro di Karine Tuil (mi è piaciuto molto anche “Di sesso femminile”), è quella di sviluppare la storia con un tono che solo a tratti è dolente mentre nella maggior parte dei casi si dimostra amaramente ironico, tipico della burbera personalità che gli anziani ben rappresentati (e mi viene in mente a questo proposito il protagonista di “Che cosa ti aspetti da me ?” di Licalzi: Mister Vaffanculo !) riescono ad incarnare davanti agli occhi del lettore.
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