Mi ha lasciato un senso di malinconia e di angoscia perché a differenza di “Stoner” dove il protagonista si lascia vivere e sembra non voler rischiare il cambiamento, in questo romanzo Andrews butta tutto all’aria per la ricerca di se stesso. Tutti i soldi buttati nell’impresa della caccia, tutta la fatica fisica, tutta la lotta per sopravvivere prima alla sete e poi al gelo, tutto lo sforzo per superare la repulsione nell’uccidere e scuoiare un animale, tutto questo viene vanificato in un attimo.
Come in Stoner, la scrittura di Williams ti incanta e la sua capacità di descrivere il mondo interiore dei personaggi non è al livello di “Stoner” ma in ogni caso memorabile.Here be spoilersE il rogo finale sembra voler purificare e suggellare l’inutilità di combattere e avere sogni perché tutto finirà in cenere.
In questa conquista del west dimenticate quindi indiani, cowboys e eroi con la pistola: qui è la natura selvaggia incarnata dal bisonte che trionfa. La carneficina assurda dei bisonti non serve a nulla e la descrizione di come Miller non riesca a fermarsi prima di averli uccisi tutti è impressionante, quasi un imperativo pur di fronte all’evidenza che non avrebbe potuto trasportare tutte le pelli a Butcher’s Crossing. Ma non importa: Miller aveva un sogno di uccidere la più grossa mandria di bisonti e non si fermerà di fronte alla ragione. Schneider, apparentemente il più grezzo e più venale, risulta essere più lucido ma non riesce a cambiare le cose. Charlie si richiede sempre più nel fanatismo religioso. Andrews cerca nel ricordo della prostituta un motivo per sopravvivere.
Il ritorno però sarà la nemesi per tutti.