E’ un testo che ho amato moltissimo per l’atmosfera sapientemente creata – sembra quasi di essere lì nella strada nebbiosa tra Milano e Pavia che i protagonisti percorrono in studbaker numerose volte o nel caldo torrido dei Bastioni milanesi– e per l’approfondita psicologia dei personaggi. Bello anche il tono rétro unito ad un certo gusto melenso che è poi sfociato in un finale (sottotono rispetto al resto del romanzo, secondo me).
La ricca (ma brutta e questo non è affatto un dettaglio per lo sviluppo della trama) Milla è la protagonista insieme a Martino: due giovani le cui vite si incrociano e allontanano più volte, con grande sofferenza di lei: è Milla infatti la “ragazza dell’addio”.
Oltre a loro, una nutrita carrellata di personaggi contribuisce ad un affresco della Lombardia bene dell’epoca, in primis il terzetto di amiche di Milla, soprannominate con cattiveria il gruppo “spose mai”. Ed è questa la chiave di lettura con cui oggi leggere il testo e trovarlo interessante malgrado appartenga ad un altro secolo: per il suo restituire un’immagine di donna che si realizza esclusivamente nel matrimonio e cui un marito occorre soprattutto se ricca poiché è necessario un uomo che prenda in gestione i beni e le aziende di famiglia."Troppi addii per una donna sola, e tutti crudeli, e alla fine non si soffre più. Il cuore alla fine si era guastato, non segnava più né l’ora della gioia, né quella del dolore"
Alcuni passaggi della trama sono forse un po’ troppo forzati: se al lettore degli anni ’50 immagino siano parsi “esotici” ora risultano un po’ desueti, ma fanno parte del fascino rétro che ho appunto apprezzato.