
Il suo stile è certamente sintetico, ma non per questo non empatico: anzi, a mio avviso il lettore può facilmente sentirsi coinvolto nel modo che ha qui la Hempel di parlare della vita, delle ferite che necessariamente comporta e della personalissima via che ognuno di noi percorre nel tentativo di sanarle. Tutti i personaggi di questi racconti sono ritratti nelle loro sofferenze, dall’agnello del primo racconto –poche righe- alla protagonista di Cloudland, l’ultimo ed il più lungo.
“La testa potrà riposare da qualche parte?” scrive la Hempel e, malgrado le vite dimesse delle sue protagoniste, le loro zone d’ombra e le loro solitudini, il messaggio che il lettore ne trae è positivo. Guardare avanti è sempre possibile, del resto –la parafraso- se non si è illesi è perché si è avuto il privilegio di vivere.