Marion Messina, Falsa partenza

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francesina
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Marion Messina, Falsa partenza

Messaggio da francesina »

Non c’è spazio per ottimismo e fiducia nel futuro in questo romanzo d’esordio della giovane Marion Messina: proprio il fatto che pur avendo praticamente tutta la vita davanti, abbia un approccio già così nero lascia il lettore con una sensazione di ineluttabilità. Avevo erroneamente sottovalutato il titolo che, invece, è rivelatorio di quanto accade ad Aurélie, la protagonista.
Provinciale di Grenoble, tenta la sua fortuna nella capitale: l’autrice riprende quindi il leit-motiv di tanta letteratura francese del XIX secolo, vale a dire quello del giovane provinciale che arriva a Parigi pieno di ambizione e poi, effettivamente, riesce. Mi è venuta in mente la scena finale del Père Goriot, quando Eugène de Rastignac dall’alto del Père Lachaise vede una splendida Parigi ai suoi piedi e la sfida, partendo alla sua conquista. La Parigi del XXI° secolo, invece, sembra essere solo un groviglio sotterraneo di linee della metropolitana affollate già dalle prime ore dell’alba da lavoratori che si trascinano stanchi e demotivati tra un luogo di lavoro frustrante ed un monolocale di periferia tanto caro quanto squallido.
Aurélie, ma con lei anche i due ragazzi co-protagonisti, provano un reale malessere all’idea di vivere una vita fotocopiata da quella dei genitori, ma sono bloccati dalla frustrazione che una reale mobilità sia impossibile. Una laurea di primo livello non è sufficiente per un lavoro dignitoso, ma spesarsi una laurea magistrale è sostenibile solo consegnando pizze o facendo pulizie: attività snervanti che prendono intere giornate e, di fatto, allontanano l’obiettivo della laurea. Non ne esce affatto meglio Frank, l’esempio del laureato che riesce, il quadro aziendale che vive di mail e si muove con finta soddisfazione tra gli uffici della Défense. “La vita professionale sembra essere un’illusione, lo è senza dubbio. Ma è un’illusione strutturante, rassicurante, vertebrale. Prima la gente andava a messa, ora va a lavoro, per eseguire gesti, rituali, pronunciare sempre le stesse frasi. Le persone ne escono esauste e rassicurate”.
Ho percepito tanta rabbia nell’autrice, la frustrazione di chi sarebbe pronto a sacrificare la propria gioventù per una successiva realizzazione personale e lavorativa, la collera di chi vede nell’istituzione francese che tanto si vanta(va) di puntare sull’istruzione, una dispensatrice di false speranze. Trovo sia un testo molto ancorato alla realtà francese (impossibile non pensare ai gilet gialli) ed che sia utile conoscere alcuni dettagli della sua società e soprattutto di Parigi per coglierne tutte le sfumature, tuttavia il disagio espresso per lo stile di vita è comprensibile e condivisibile – purtroppo- anche per noi italiani.
Crudele nel suo realismo, molto bello, molto amaro.
Nous habiterons une maison sans murs, de sorte que partout où nous irons ce sera chez nous- J.Safran Foer, Extrêmement fort et incroyablement près

E finalmente lui pronunciò le due semplicissime parole che nemmeno una montagna di arte e ideali scadenti potrà mai screditare del tutto. I. McEwan, Espiazione

Sempre Francesina, anche su Anobii

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