"L'acquaiola" - Carla Maria Russo

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Towandaaa
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"L'acquaiola" - Carla Maria Russo

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Incontriamo Maria l’acquaiola a 15 anni, sul finire del diciannovesimo secolo, quando viene assunta dalla famiglia benestante del paese con l’incarico, appunto, di approvvigionare di acqua la casa andando con l’asino alla sorgente che dista circa tre chilometri più volte al giorno, tutti i giorni e con qualsiasi condizione atmosferica, e seguiamo la sua vita fino all’età di oltre 80 anni. Una vita dura, drammatica, segnata da episodi e circostanze (miseria estrema, analfabetismo, lavoro durissimo, grave infortunio sul lavoro, violenza sessuale e conseguente maternità, penuria di affetti) che basterebbero a rovinare irrimediabilmente la vita di più persone e non solo una. Un quadro disarmante, forse apparentemente anche troppo, perché le tinte fosche rischiano di perdere credibilità quando sono portate così all’estremo. Eppure ho letto molto volentieri questo romanzo, con il cuore pesante ma senza mai percepire la sensazione di artificiosità, per il semplice fatto che probabilmente in quegli anni e in quei luoghi, la vita per una bambina di quella estrazione sociale doveva davvero essere quella. Per rivalsa quindi lo spirito di compassione ha ceduto il posto al senso di riscatto e di ammirazione per i piccoli e grandi risultati che Maria è riuscita ad ottenere, la drammaticità e il dolore per le vicissitudini di questa bambina, poi ragazza, poi donna e poi anziana hanno lasciato il posto, sul finire, ad una grande tenerezza per gli affetti e il senso di famiglia che ella scopre tardivamente grazie alla nipotina, che la riscatta. E’ stata dunque per me una lettura emotivamente molto coinvolgente, ma il mio apprezzamento va anche alla cura della ricostruzione storica, all’attenzione per il linguaggio usato (che si modella sulle caratteristiche di ogni personaggio), alla coralità delle figure che ruotano attorno a Maria (e alle quali, a turno, viene riservato spazio e attenzione consoni al loro ruolo nella trama). Ragazze che si sposano per procura a quindici anni e poi vanno “alla Merica”, retaggi di ius primae noctis (veri o presunti tali, ma pure la sola presunzione crea ribrezzo), l’arrivo della ferrovia osannato o osteggiato a seconda degli interessi economici degli abitanti del luogo, malattie ritenute penitenze decretate da Dio per colpe più o meno gravi, la frase ossessiva che Maria rivolge alla figlia (“La vita è dura. Prima lo capisci, meglio è per te”) nella propria incapacità di volerle bene perché le ricorda ogni istante la violenza da cui è nata, e nel rancore che reciprocamente la figlia nutre per la madre, non avendo quest’ultima accettato una proposta di matrimonio che avrebbe almeno parzialmente riabilitato la ragazza dal ruolo di figlia della colpa, l’imparare a scrivere il proprio nome a ottanta anni, grazie all’insegnamento della nipotina. Di tutto questo è fatto questo romanzo. Aspro come i luoghi impervi percorsi dall’acquaiola, avanti e indietro per i crinali dell’appennino molisano, ma ricco di sentimenti (anche difficili da metabolizzare, ma sinceri) e coinvolgente come raramente accade.
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