La bicicletta - Alfredo Oriani

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fabiana
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La bicicletta - Alfredo Oriani

Messaggio da fabiana »

Questo libro era nella libreria dei miei genitori in quanto c'è stato un tempo in cui mio padre, nonostante non sia una gran lettore, comprava qualsiasi libro allegato a una rivista. Ho avuto l'occasione di leggerlo grazie al gioco da tavola del lettore per essere finita sulla casella "libro con bici, auto, treno o aereo nel titolo o sulla copertina", altrimento credo sarebbe rimasto per altri decenni a prendere polvere.
Nel complesso è un libro gradevole anche se l'italiano un po' 'ghirigoroso' mi ha rallentato lievemente la lettura.
Riporto di seguito la mia recensione.

Alfredo Oriani in questo particolare libro ci esprime tutto il suo amore per la bicicletta, le donne e il vino.
Il testo è composto da tre parti:

La prima è strutturata come un saggio, sebbene ogni tanto siano inseriti episodi legati al mondo della bicicletta accaduti all'autore e ai suoi conoscenti. Questa sezione è una vera e propria ode a questo nuovo mezzo di trasporto, che rende le persone più libere rispetto ai vincoli che possono dare i cavalli (si stancano) o i treni (orari, stazioni, ecc…). In queste pagine Oriani ripercorre l'evoluzione anche tecnologica della bicicletta e la porta a paragone con gli altri mezzi di trasporto esistenti al momento della composizione del testo (fine 1800), inoltre vi si trova una leggera critica alla società del tempo, raccontata con una sottile ironia.
Ho trovato alcuni passaggi molto interessanti per la modernità del pensiero dello scrittore, ad esempio scrive circa un argomento ancora oggi molto discusso, perlomeno dove io vivo:
Provatevi oggi a sostenere in un consiglio provinciale che costruendo una strada bisogna lasciargli un margine per le biciclette: e tutti i vostri colleghi si crederanno seri non ascoltandovi.

Questo è solo uno degli esempi di quanto Oriani avesse una visione proiettata al futuro, nonostante alcuni passaggi facciano oggi sorridere soprattutto perché il nostro modo di viaggiare è cambiato sostanzialmente dopo l'avvento dei voli di linea, che lui non aveva previsto.
La sua idea di viaggio però rispecchia totalmente la mia, anche se io solitamente utilizzo altri mezzi di trasporto, riporto un suo passaggio che mi è piaciuto molto:

Ognuno di noi è un nomade che ha perduto la patria: camminiamo, tutti coll'incertezza tremebonda dei sordi, cogli occhi ostinatamente in alto come i ciechi. Le stagioni c'invecchiano senza mutarci, la morte ci coglie misteriosa come la vita. E le generazioni passano simili agl'individui, interrogandosi senza che la corsa possa interrompersi un istante e senza altra gioia che nel suo impeto stesso, nell'oblio momentaneo della sua arcana inutilità. Nessuna ebbrezza quindi come quella del corso, nessuna passione più intensa nella giovinezza e nessun più amaro rimpianto nella vecchiaia.
Andare, andare sempre, non importa dove: ecco il voto di tutti i cuori che si aprono alla vita, l'urlo trionfante di quanti salpano da una riva, il gesto altero di quanti spronano un cavallo. Andare sempre! Altrove: la speranza non ha altra parola. Tutto ci opprime stando fermi: domani sarà così, come oggi, come ieri: che cosa potrebbe mutare nel nostro luogo?
Altrove invece ci accadrebbero tante cose! La fortuna non si dondola che lontano, in alto come le nubi: i suoi sorrisi somigliano ai lampi della calura laggiù nel fondo delle notti estive.
Tutto ci attira. I sogni esotici ci salgono su per la fronte dalle pagine dei libri, trasaliamo come ad un qualche accento straniero in ogni discorso, ci pare qualche volta, anche ad occhi aperti, di guardarci intorno quasi fossimo altrove.
La nostra superiorità di uomini moderni sugli antichi sta appunto nel sogno più intenso e più largo, che rifacciamo costantemente sopra tutto il mondo conosciuto oggi, eppure da noi ignorato. Il nostro orgoglio più vittorioso sarebbe di poter rapidamente trasportarci di paese in paese, liberi e Ieggieri, superando solamente colle nostre forze ogni distanza e ogni ostacolo. Partire alla ventura, attendere dal capriccio l'ispirazione, essere più rapidi di un cavallo senza sentirci mai stanchi, arrestarci dappertutto, su qualunque strada, e giunti non serbare alcuna preoccupazione del viaggio compito e del come ricominciarlo, ecco il sogno.
La bicicletta è così.


La seconda parte del libro è composta da quattro racconti, anche se nella versione del libro in mio possesso ce ne sono solo due. Nei racconti da me letti (il velocipede e il tandem) la bicicletta è solo uno degli elementi di sottofondo delle storie, le vere protagoniste sono alcune signore, vere o immaginarie, di cui Oriani ci racconta.

L'ultima parte invece è il diario di un viaggio compiuto da Oriani a cavallo della sua bicicletta nell'estate del 1897. Questo viaggio, che lui definisce la prima vera vacanza della sua vita, dura una decina di giorni circa e attraversa l'appennino tosco-emiliano e suoi tanti piccoli borghi, per poi scendere lungo le colline senesi e infine spingersi verso Pisa, poi Lucca e nel ritornare verso casa, la tranquilla Faenza, passare per Pistoia e Bologna.
Questo viaggi, descritto come una lunga poesia, racconta di momenti piacevoli, incontri con persone strane e anche momenti meno piacevoli, come dei piccoli incidenti, il caldo intenso di inizio agosto, le faticose salite di montagna, che spesso vengono affrontate spingendo la bicicletta a mano e le locande polverose dove è difficile trovare un vino decente.


Sicuramente consiglio il libro agli appassionati di bicicletta e anche a chi è curioso di sapere un po' di più sulla società di inizio '900.
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