La vertigine non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella dello spettatore.
Commenti a caldo, appena uscita dalla sala: "Mmmm" e "Gggnnn", seguiti da una serie di "Uff".
Poi è tornata la calma ed è arrivata una voglia, una sola. Trovare Jacques Mandelbaum, autore di questa recensione e realizzare con lui il remake di una scena di "Caro diario". Mi ci vedevo bene nei panni di Nanni Moretti, con Jacques Mandelbaum attorcigliato nelle lenzuola, in lacrime mentre io gli rileggo passaggi del suo articolo:
Eh, certo. E' molto meglio scegliere con cura il momento preciso per usarla, così da far valere la propria autorità per fregare il più gran numero di lettori...Cosa fa il cineasta canadese David Cronenberg quando abbandona gli apparecchi che trasformano gli uomini in mosche, i videogiochi collegati al sistema nervoso dei protagonisti e altre amenitàche gli valgono la meritata reputazione di grande cineasta di genere? La risposta è semplice, sta in una parola che ci guardiamo bene dall'abusare in queste colonne: un capolavoro.
Ehm...Jacques? Ma che film hai visto? sicuro che fosse A history of violence di David Cronenberg? O magari sono io che ho sbagliato film. In ogni caso è chiaro che non parliamo della stessa cosa.Un capolavoro che sarà apprezzato dai cinefili e dal grande pubblico, in virtù dell'impronta industriale del progetto (un film su ordinazione adattato dal fumetto eponimo di John Wagner e Vince Locke), della semplicità dell'intenzione (una storia rettilinea, iperefficace, che fila dritta come una freccia al cuore dell'obiettivo) e del genere a cui appartiene (un puro thriller).
Tutto il genio del cineasta consiste chiaramente nel rispettare l'apparenza di queste definizioni per meglio smembrarle dall'interno.
Che il progetto abbia impronta industriale non ci sono dubbi. Del resto fare film che non l'abbiamo in Canada e in USA è pressocché impossibile (a parte per Jim Jarmusch. Ma non aggiungo altro, sto diventando ripetitiva sull'argomento).
Che l'intenzione sia semplice è tutto da dimostrare. La storia sarà pure rettilinea, ma lo è nella direzione sbagliata. O almeno lo è in virtù di presupposti e conseguenze che non si reggono in piedi e non si reggono gli uni con le altre.
E per questo cadono i presupposti perché si possa parlare di thriller. Non c'è niente "in sospeso", nessuna sorpresa, niente che faccia trattenere il fiato in attesa di sapere cosa succederà poi.
Le cose succedono, legate le une alle altre da una logica che sfugge alla comprensione. Del mio povero criceto. Magari non della tenia che Cronenberg ha nella testa...
Insomma...no. No, e no. Se ExistenZ mi aveva divertito, La mosca schifato e Il pasto nudo appiccicato una fastidiosa sensazione di malessere, questo A history of violence non mi è piaciuto proprio.