RACCONTI BOOKCORSARI 3-VOTATE!

Ecco dove segnalare un ritrovamento o un appuntamento e/o un'iniziativa che riguardi il Bookcrossing.
ATTENZIONE: NON mettete qui annunci generici che non riguardino il Bookcrossing, che hanno le loro aree apposite!

Moderatori: -gioRgio-, vanya, lilacwhisper

Qual è il tuo racconto preferito?

Sondaggio concluso il mer mag 31, 2006 5:57 pm

Nuovi orizzonti
1
2%
All'orizzonte 1 - È sempre pronto per te...
2
4%
All'orizzonte 2 - C'era una volta un libro di fiabe...
2
4%
Ma gli uomini, cos'è che vedono dalle loro finestre
5
10%
All’orizzonte 3 - Il Figlio del Fiume...
10
20%
L'approdo
4
8%
Orizzonte di montagna
4
8%
Un'astronave in cucina
4
8%
Stravolgimenti
14
28%
In cammino, in attesa dell'alba
4
8%
 
Voti totali: 50

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zazie
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RACCONTI BOOKCORSARI 3-VOTATE!

Messaggio da zazie »

Terza edizione del premio letterario... a voi la lettura e il voto per assegnare il premio del pubblico!

Per favore non scrivete i vostri commenti qui:-)
Ultima modifica di zazie il lun mag 15, 2006 5:57 pm, modificato 1 volta in totale.

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zazie
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UNO- L'amico

Messaggio da zazie »

L’amico FUORI CONCORSO

E gli occhi si aprirono.

All’improvviso.

La luce gli permetteva di riconoscere quel posto mai visto prima. Odorava di buono, di
casa accogliente, odorava di giallo tenue, il giallo tenue buono dell’accoglienza.

L’orologio ticchettava su qualche muro della casa, monotono e stanco, come chissà da
quanti anni. Guardò a destra, a sinistra, muovendo solo le pupille. Cercò di girarsi nel
letto, almeno il collo.

Ci riuscì.

Un po’ stordito si alzò cercando la mattina. Era arrivato al punto di non capire (certe
volte) quando era giorno o notte. In questi ultimi anni capitava sempre piu spesso e gli
ultimi giorni, con tutto quel trambusto ovunque, aveva perso ogni indizio spazio-tempo.

Prima o poi.

La stanza non aveva atteggiamento alcuno. Almeno per adesso. Sembrava che il tepore di
quella mattina avesse ghiacciato il tempo che, tuttavia, continuava monotono a fare il suo
noioso lavoro. Vigile, come sempre, fresco, ottuso, amichevole (anche) quando voleva
arruffianarsi l’anima di quelle pareti giallo tenue.

Mi girai, appunto, e vidi Armando. Un corpo magro, magrissimo, sdraiato – per modo di
dire – sul divano di pelle rosso. Bruttissimo (il divano). Bellissimo (Armando). Quella
sua scheletricità ricoperta di canottiera e slip verde (oltre che di pelle pallida) si
appoggiava sul divano nel sessanta per cento più armonioso che abbia mai visto. Sia i
piedi che la testa penzolavano dai braccioli anni cinquanta in finta pelle e lo facevano
ritmando l’amico del tempo travestito da stupida lancetta crocifissa sullo sfondo.

Giallo.

Mi alzai e avvicinandomi ad Armando, guardando Armando, intesi.

E fu proprio quello il momento del suo risveglio. Sbadigliando mi guardò a testa in giù. È
strano guardare le persone a testa in giù. Non buffo. Strano. Perche quando sono serie
sembra che sorridano e quando sorridono diventano menti piangenti. Buffi menti che per
magia diventano testoline calve senza occhi. Strano... le uniche parti del corpo che, come
le giri, compiono sempre la stessa funzione: Sono menti.

Sorridendo si alzò e mi abbracciò.

E fu allora...
...
Che il tempo...
...
Si fermò.

“Benvenuto ciccione! Mi sei mancato. Lo sai vero?”

“Pensavo ti piacessero le donne. Vedo che con il tempo sei cambiato parecchio!” –
scherzai allontanandolo.

“Dai stupido, facciamo colazione. Ho latte e nulla. Cosa preferisci?” – disse aprendo il
frigo e versando del latte, freddo da frigo, in due tazze, in una delle quali immaginai avrei
dovuto inzuppare i biscotti che in quel momento Armando stava prendendo da un pacco
sul tavolo (di quelli di plastica bianchi, da giardino) e mettendoli in un’insalatiera da un
euro e cinquanta verde pisello.

Iniziò lui, mentre mi sedevo a tavola, a inzuppare e parlare.

“Hai fatto un buon viaggio?” Dico... è stato difficile arrivare fin qui?”

“Insomma... un po stancante ma tutto sommato è stato un viaggio tranquillo. Certo però
che il paesaggio non è un granchè. Dovrei...”

“Senti ciccione” –mi interruppe Armando – “Sei qui da mezz’ora e stai già rompendo le
scatole?” – scherzò sorridendo. Masticava, e guardando la tazza domandò – “Gisella?”

La sua voce era biscottata, una voce che sapeva di vaniglia, dolce e satura. Avevo
bisogno di un goccio di latte per mandar giù quell’impasto a base di zucchero, burro e
domanda.

“Non la vedo da parecchio. Mi rattrista ancora l’idea che sia tutto finito. Sai? Per una
vita ho creduto che lei era mia. Lei me lo faceva credere, giorno dopo giorno, mi faceva
sentire, anzi, capire che l’amore non si fa. L’amore si vive, ma per me la vita è piena di
possessioni” – sorrisi a un biscotto ormai sciolto nel latte – “Possessioni... che
stupidaggine! Uno crede di possedere tutto e poi... puf!... per una cazzata ti ritrovi in
mutande... senza più nulla... solo... abbandonato a te stesso e al tuo misero destino.”

“Succede” – sentenziò Armando un pò in imbarazzo per aver toccato un “tasto-scivolo”,
un argomento dolente che aveva magicamente (o maledettamente) slittato la
conversazione in un ambiente patetico. – “Vabbè dai, adesso sei qui da me e non mi devi
rompere le scatole, hai capito? Qui comando io, lo sapevi?” – e mi fece l’occhiolino
sorridendo. Lo faceva sempre quando voleva sdrammatizzare. Sorrisi anche io.
Conoscevo i codici che da sempre ci univano.

“Comunque Gisella è rimasta giù”.

“È buffo questo modo di dire, ‘giù’... Questa abitudine di localizzare i posti o su o giù...
Geografia da ascensore”

“Non fa ridere... è una battuta pessima” – e invece Armando rideva.

“Ti aspettavo la settimana scorsa. Cos’è successo? Ti hanno trattenuto?”

Accennai un si con la testa mentre masticavo l’ultimo biscotto rimasto.

“Che palle! Lo so... posso immaginare... un casino, vero?”

“Un casino?? Ho visto piu gente e risolto piu casini in queste ultime ore che in tutta la
mia vita! Ah... senti qui... Sai chi si è presentato giovedi a casa mia? Bonifacio.” – rimasi
in attesa di un suo cenno di sorpresa ma Arnmando era troppo indaffarato col suo ultimo
biscotto. – “Armando! Ho visto Bonifacio! Quel bastardo ipocrita! Ha avuto il coraggio
di presentarsi a casa mia dopo avermi spillato trenta milioni! Hai capito? Bonifacio!
Quel pezzente!”

“Già. L’ho sempre saputo che era uno di cui non ti dovevi fidare.”

Mentre guardavo Armando in mutande e canottiera bere il suo latte, mi travolse l’affetto.
Non l’avrei mai immaginato.
Io.
Provare affetto per qualcuno.

“Grazie Armando. Amico mio.”

“Di nulla. Il latte è gratis oggi” – scherzò.

“Grazie per volermi ancora bene dopo tutti questi anni.”

“Guarda che non ti tengo a vivere qui con me e il latte domani lo compri te. E comunque
Bonifacio è uno stronzo. Senti un pò, ma tuo figlio?”

“Ha preso tutto da me, cioè, si è preso tutto ciò che era mio.”

“Mi pare giusto. È tuo figlio, no?”

“Spero solo che qualche puttanella non lo raggiri. È ancora un ragazzino.”

“Ma non ha trent’anni?”

“Si ma le puttanelle hanno la macchina rincoglionitrice. Te lo dice uno con esperienza, e
mio figlio... mio figlio...”

Una lacrima cadde nella mia tazza ormai vuota.
Guardai Armando.
Mi specchiai.
Cristallizzando i suoi occhi.
Gli occhi di Armando.
Ero io.
Mi prese una mano e la strinse.

“Ti ci abituerai, amico mio. Te lo prometto.”

“Sai che c’è? Per una vita uno si crede chissà com’è... ti abbagliano di bugie... la luce...
la voglia di continuare a vivere... il tunnel... Paradiso... Inferno... Stronzate! Non cambia
nulla... Sei solo un po’ piu solo... Scusami...”

Armando si alzò bruscamente.

“Senti, non sei solo! E adesso ci vestiamo e andiamo a farci un giro, ok?”

Annuì mentre mi soffiavo il naso con un fazzolettino di carta.

“Così mi piaci ciccione! Vedrai che piano piano ti sentirai piu leggero.”

“Armando, posso chiederti un favore?”

“Certo”

“Ce l’hai un telefono? Sono quarant’anni che non la vedo. Vorrei avvisare mamma che
sono arrivato.”

Aveva ragione Armando, il mio amico.
Ultima modifica di zazie il ven mag 19, 2006 2:32 pm, modificato 2 volte in totale.

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zazie
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Due

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Nuovi orizzonti.

Mi chiamo Mei-Lan, filippina di Luzon, clandestina ovviamente. Da sei anni vivo in Italia. Qui nella grande metropoli per guadagnarmi da vivere faccio la domestica a ore al mattino e la bambinaia nel pomeriggio. Insieme a mio marito, clandestino anche lui, vivo alla periferia nord della città in un camerone condiviso con altre quattro persone. Sul pavimento sono stesi tre materassi sui quali, sfiniti dalla stanchezza, ci riposiamo si fa per dire, la sera.L'intimità delle tre coppie è affidata a due tende ad anelli e vi lascio immaginare il disagio quando devo soddisfare le voglie sessuali di Cen: niente sospiri, repressi i gemiti, proibiti gli ardori, impossibili gli orgasmi. La mattina è una lotta a chi si sveglia per primo per entrare nell'unico bagno situato fuori nel freddo corridoio non riscaldato. Una spruzzata d'acqua sugli occhi, veloci abluzioni alle parti più intime e già qualcuno bussa mentre sto spalmando il dentifricio sullo spazzolino. Una vita d'inferno alla quale io e Cen ci sottoponiamo pur di inviare i soldi a Luzon, dove ci aspettano i nostri bimbi, Pourri e Dan, affidati ai nonni. Sono due gemelli di otto anni e da sei non li vediamo. Nonna Lin ogni anno a Natale ci manda alcune loro fotografie. Guardandole e rigirandocele fra le dita io e Cen piangiamo di commozione vedendo i progressi non solo della loro crescita esteriore, ma del mutamento dell'espressione dei loro visi, in alcune pose ridenti, in altre imbronciati (quando sono sgridati da nonno Pian-Goo come mi riferisce al telefono nonna Lin). Ci credete due genitori snaturati, avendo lasciato là i figli in tenera età. Ma che cosa dovevamo fare? Orfana di entrambi i genitori, periti sotto il tifone "Olga" del 1976, mi sposai a 16 anni per evitare di finire prostituta. Da noi le ragazze iniziano a battere a 12 anni quando i poliziotti le sequestrano all'uscita dalle scuole con le scuse più banali: infarti, incidenti stradali, malattie endemiche attribuite ai genitori per convincere le ragazze a rientrare precipitosamente nei loro capanni. Poi dopo averle violentate nei fetidi locali della questura, gli sgherri di Marcos le portano sulla spiaggia di Luzon, dove sono in attesa navi mercantili, che le condurranno a Giacarta, in pasto a ricchi indonesiani. Cen, maestro di scuola, mi salvò chiedendomi in sposa a nonno Pian-Goo, che gli concesse la mia mano solo a patto che riuscisse a mantenermi. Espulso dalla scuola per oscenità (un maestro che sposa la sua alunna!) Cen svolse i mestieri più strani: addestratore di scimmie, arbitro nei combattimenti dei galli, clown per la gioia dei turisti, pescatore di perle in apnea, finché crollò. La crisi economica e la svalutazione fecero il resto. Tramite l'appoggio di un'amica, che già vive in Italia, con i sudati risparmi accumulati in due anni, decidemmo di emigrare. Ed eccoci qui nella speranza di aprire nuovi orizzonti alla nostra scalcinata esistenza. Ci basterebbe poco: un monolocale tutto per noi, l'uscita al cinematografo una volta al mese, una pizza coi connazionali alla domenica, coi quali ci consoliamo nella nostra lingua. Intanto il tempo passa. A volte la sera, guardando il cielo bigio della città, rimpiango il tramonto di Luzon, col sole infuocato che alle sei di sera di colpo precipita in mare, lasciando la laguna di Bay nel buio totale. Oppure ho nostalgia delle albe dove il cielo azzurro si congiunge con l'oceano al limitare dell'orizzonte. Sospiro pensando a Pourri e Dan, che finalmente rivedrò quest'estate. Ho ragranellato i soldi per il viaggio aereo, lungo 23 ore, che compirò da sola. Cen lo effettuerà l'anno prossimo, non possiamo permettercelo entrambi in un'unica soluzione, essendo proibitivo il costo in dollari del rientro a motivo della nostra clandestinità. Per l'avvenire dei nostri figli Cen, orgoglioso, ha già deciso: cresceranno, studieranno e vivranno la loro vita nelle Filippine, lontano dalle tentazioni del mondo occidentale. Quanto a me, spero di colmare Cen col mio amore finché vivrò per compensarlo di tutti i sacrifici compiuti. L'Italia è un Paese ospitale, ma le Filippine sono incise nelle nostre anime e nessuna ricchezza o fortuna realizzate in Europa potranno mai estirparle dai nostri cuori.
Ultima modifica di zazie il mar mag 16, 2006 10:52 am, modificato 1 volta in totale.

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Tre

Messaggio da zazie »

All’orizzonte

È sempre pronto per te, presente nei miei cassetti. Non serve molto
oltre ad un’automobile. Ma andrei anche a piedi. La strada è
senza ombre anche se a volte è molto stretta. Ogni volta che
posso lascio la via principale per trovare nelle traverse mille
sorprese e meraviglie.
Il mio lungo viaggio non sarà mai uguale, languido nei miei
armadi, nelle teste di donne d’ogni età. È senza fine come
una tournée di un grande menestrello malato d’amore. Pure
con i piedi dentro l’oceano, senza più terra dove andare, so
di rive lontane, con torri gemelle, di spiagge d’oro bianco e
marciapiedi lastricati di buone intenzioni, il bianco e il nero
della pelle di chi vive, di chi muore ogni secondo, nelle
favelas due strade dietro al Rio Othon Palace. So d’isole
sotto embargo, di città d’angeli. Di posti dove la gente
vola con l’erba, di posti dove la gente muore di troppi voli.
Di gente che non sa di avere le ali e consulta cataloghi di
mille colori e prezzi di pensioni, mezze o complete. Posti
pieni d’ali tarpate chiamati carceri. Overbooking!
Ma mi basta anche solo partire da qui tornare è un altro e
disordinatamente micidiale affare. C’è ancora un posto lungo
il mio viaggio.
Le città, bada bene, sono, alla pari delle lunghe strisce di
asfalto, i miei luoghi di respiro, dimentico lì tutta la parte
di percorso sin lì usata. Io amo, ogni volta la delizia e il
pericolo, l’istante quando chiudo a chiave (due mandate) la
mia porta, e tre secondi dopo sentirmi assalito da cento e più
domande dall’ignoto, i rifiuti, l’incomprensione, la solitudine.
Intraprendo questo lungo viaggio con l’unica meta di ritrovarmi
senza la protezione di un ambiente amico, conoscere l’altrui
dipendenza. Imparare dal mondo ciò che nessuna eredità non ha mai
potuto regalare: la folle inventiva del caso. Ora ti saluto con l’affetto di
sempre. Sembra che il mio destino, che non mi appartiene molto, non
possa includerti. Non è necessario che tu capisca questa mia missiva.
Basta che mi conservi con cura nel tuo ricordo come io, sempre, ti
Conserverò nel mio. Non ti dimenticherò mai!
All’orizzonte di ogni nuovo giorno bisbiglio il tuo nome, un bel inizio.
Ultima modifica di zazie il mar mag 16, 2006 10:52 am, modificato 2 volte in totale.

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Quattro

Messaggio da zazie »

All’orizzonte

C'era una volta un libro di fiabe che abitava in una libreria. Il libro di
fiabe era felice della sua ubicazione perchè la libreria era vicina ad una
finestra ed ammirava, attraverso i vetri, l'orizzonte lontano. Ogni tanto il
libro di fiabe emetteva dei sospiri.
" Perchè ti rattristi ? " gli chiedevano in coro gli altri libri.
" Sono felice d'essere con voi ma, il mio desiderio più profondo è di
guardare, da vicino, quel magnifico panorama. Vorrei tanto comprendere ciò
che si cela in quell'orizzonte. "
Gli altri libri rispondevano con decisione:
" Ma è solo un effetto della natura. E' semplicemente il congiungersi tra il
mare e l'azzuro del cielo e null'altro."
" Non è possibile !" ribatteva il libro di fiabe. " L'orizzonte è
un'immagine sublime e non un normale fenomeno naturale."
Un giorno, il proprietario della casa aprì le ante della libreria e prese il
libro di fiabe. Lo ripose in una sacca da mare ed uscì di casa.
Alcuni minuti dopo raggiunse un gozzo ormeggiato al porto della sua città.
Ad attenderlo c'era un suo amico.
Salirono a bordo ed accesero il motore. Al timone si posizionò l'amico del
proprietario della casa. Quest'ultimo prese il libro di fiabe,dalla sua
sacca,
ed iniziò a leggere.
Il libro di fiabe incominciò a vedere l'orizzonte avvicinarsi sempre di
più.
" Finiremo sulla linea che, è la naturale congiunzione tra il mare ed il
cielo ", pensò ricordandosi delle parole dei suoi amici libri.
Ad un certo punto il motore si spense. Il gozzo si fermò e si fece cullare
dalle tranquille onde di quel gigante d'acqua.
Il libro di fiabe guardava ancora quella linea lontana.
All'improvviso un candido volto prese il posto dell'orizzonte.
" Chi sei ? " domandò impaurito il libro di fiabe.
" Sono semplicemente l'orizzonte. Solo adesso puoi guardare il mio vero
viso."
" Ma hai un viso? Non l'ho notato dalla libreria dove abito ", rispose
tranquillizzandosi il libro di fiabe.
" Certo ho un volto ", continuò l'orizzonte. " Ma non è visibile a tutti. Le
mie labbra sono sempre serrate affinché il mare ed il cielo possano amarsi.
Il mio naso è una nuvola ed i miei occhi sono due stelle che , solo di
notte, puoi vedere."
Il libro di fiabe rimase meravigliato ed non aggiunse altro. Ascoltò le
ultime parole dell'orizzonte.
" Sono qui dalla nascita della Terra. Molti mi ammirano, come te ad esempio,
altri mi detestano oppure pensano che sono solo un fenomeno naturale, come
affermano i tuoi amici libri. Il mio destino, invece, è quello di essere il
forziere dei pensieri di ognuno che mi osserva. Rappresento anche le
speranze
ed i sogni che s'infrangono sul mio viso. Quest'ultimo è celato perchè non
tutti possono guardare con il cuore ciò che gli occhi vedono..."
Ultima modifica di zazie il mar mag 16, 2006 10:53 am, modificato 1 volta in totale.

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Cinque

Messaggio da zazie »

Ma gli uomini, cos'è che vedono dalle loro finestre

Di romanzi romantici zeppi di mascalzoni che ti abbandonano fuggendo la mattina dopo è piena la storia della letteratura, e non parliamo dei film o delle canzoni, o delle infinite analisi sociologiche, psicologiche e quant'altro del fenomeno siano state condotte.
Vero è che mai ci si aspetterebbe che questo espediente della finzione di fantasia, utile soprattutto a rendere più godibile il lieto fine, a un bel momento diventi un fatto vero e provato, con date, volti, luoghi reali. Se fossi stata al posto di Maria certamente non avrei avuto la forza d'animo che lei stava dimostrando, spegnendo entrambi i cellulari e rendendosi, così, isolata dalla rete mondiale della comunicazione e, soprattutto, irragiungibile per lui, l'uomo delle caverne più carino che si fosse mai visto dal pleistocene in qua.
Non ci sentivamo da prima della transumanza vacanziera e io speravo con tutto il cuore che questo silenzio fosse legato a faccende amorose; si capisce che quando alla mia prima indiscreta domanda sulle sue attività amorose estive la risposta era stata affermativa ero saltata di felicità sulla sedia. Ma quando, pochi secondi dopo, si è chiarito che il bel Davide era scappato con una scusa da antologia la mattina dopo e che, orrore, a distanza di sette ore ancora non aveva dato notizie di sè, ho capito, nell'ordine, che gli uomini in un'età compresa tra 25 e 30 anni vivono una fase di regressione più o meno evidente allo stato primitivo, che, anche nel fortuito caso in cui questo non appaia evidente, è chiaro che a livello subcosciente deve aprirsi nella loro testa un buco nero direttamente collegato con un termitaio, che il genere umano è inesorabilmente destinato all'estinzione, a meno che una nuova stirpe di uomini non si levi al più presto da suddetti termitai pandimensionali.
Solo così, difatti, il mio cervello può ordinare e immagazzinare due eventi svoltisi parallelamente, molto diversi tra loro, ma inquietanti allo stesso modo; e cioè, mentre il bel Davide si involava sul primo mezzo di trasporto disponibile, concedendo a Maria un rachitico "io vado", a me veniva prospettato un roseo futuro come badante del mio futuro anziano spasimante, nonchè sposo mistico, nonchè collana d'aglio del mio cuore, nonchè principale sostenitore di uno scellerato patto di reciproca badanza in anni di anzianità.
Ecco, di romanzi in cui due giovani di belle speranze non sono compagni, ma tuttavia si telefonano in un numero variabile da uno a cento volte al giorno, non si sono mai nemmeno baciati eppur quando si vedono sono inseparabili, di due amici del cuore che condividano una malsana e segreta passione per certi romanzetti melensi, non se ne sono mai visti.
In un romanzo, la protagonista femminile avrebbe capito al terzo appuntamento non suffragato da una cena che avesse come apice un lungo e approfondito bacio, che qualcosa non quadrava. Avrebbe apostrofato con un gelido Ehi pallino il titubante spasimante e avrebbe chiuso una volta per tutte la comunicazione con un siffatto platonista convinto. Di certo una Elisabeth Bennet non si sarebbe munita della pazienza di un sanbernardo, pronta ad affrontare qualunque prova o affronto lui le avesse fatto, con il sorriso sulle labbra. Un sorriso un po' ebete a ben vedere, il sorriso di chi trova una colonia di camole nel barattolo della pasta e invece che buttarlo in preda a un sacro sdegno evoluzionistico, lo conservasse neanche fosse un acquario con rari pesi tropicali.
Tuttavia la vita, fino a quel momento, aveva insegnato a me e a Maria almeno una cosa: se non hai un esorcista sotto mano, per lo meno non farti mancare un paio di cocktail martini naturalmente agitati, non shakerati.
Così, mentre interi pacchetti di sigarette andavano in fumo, ci interrogavamo ancora sul medesimo tema: noi non ci capacitiamo che Alfie e Perfidi Richard siano realmente in circolazione, ma, siccome siamo donne che a noi Riza Psicosomatica ci fa un baffo, non ci capacitiamo nemmeno di essere entrambe impantanate sempre sui medesimi dilemmi; cosa scrivere nel messaggio, e faccina si o faccina no, e potrò chiamare, e se gli regalo questo libro capirà, e scollatura ombelicale o gonna nera lunga fino ai piedi, e e e....
Forse il tema, quello che chiamano la guerra dei Sessi, sta tutto nella differenza dei punti di vista. Se ciò che vedi ogni mattina per tutta la vita dalla tua finestra è una spiaggia dorata, difficilmente crederesti all'esistenza di una montagna; difficilmente ritroveresti il tuo orizzonte in mezzo alle Alpi.
Se un uomo sapesse quante ore e quanta fatica una ragazza impiega prima di un appuntamento, per apparire fresca, curata, naturale, liscia, profumata, radiosa...presumibilmente fuggirebbe terrorizzato all'idea di ciò che la buona educazione esigerebbe essere dato in cambio. Ma, dal momento che nessuno di loro lo sa, ecco che quasi sempre quanti più preparativi una donna fa, tanto più cocente sarà la sua delusione. Come in un sogno, mi appare una scena di Un Coeur en Hiver: Mais si c'était un jeu, au moins tu aurais du aller jusqu'au bout, tu aurais du me baiser! Sorrido al ricordo di questo film perfetto, che ha saputo raccontare così bene l'eterna battaglia tra uomini e donne. Solo che io, invece di alzare la cornetta e ripetere paro paro la stessa frase, mi applico i patch anti gonfiore sugli occhi, infilo l'accappatoio e barcollo fino al letto. Sorridendo, felice. T'amo, pio bove.
Ultima modifica di zazie il mar mag 16, 2006 10:53 am, modificato 1 volta in totale.

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sei

Messaggio da zazie »

All’orizzonte


Il Figlio del Fiume, dopo aver vegliato tutta la notte, stava immobile mentre le due giovani vergini prescelte gli cospargevano il corpo di cenere, coprendo i suoi numerosi tatuaggi; consce della sacralità di quel compito, le ragazze procedevano con lentezza e attenzione. Il Figlio del Fiume teneva gli occhi chiusi, attendendo.
Come ogni anno, fu pronto a partire prima dell’alba.

Sulla riva, pochi bambini, forse sfuggiti all’attenzione dei genitori, osservavano la partenza dell’uomo, mal nascosti fra i cespugli; uno dei cani del villaggio, invece, abbaiava senza rispetto verso chi stava per andare a compiere un rito così importante per la vita della tribù; il suo abbaiare fu l’unico suono che accompagnò lo sciacquio della pagaia del Figlio del Fiume, che si allontanava in canoa seguendo la corrente in direzione della foce , per raggiungere il mare aperto, fissare l’orizzonte e chiedere ancora una volta agli dei cosa portasse il futuro.

Tornò, il Figlio del Fiume, come sempre, all’alba del terzo giorno; aveva il volto coperto da una maschera di legno, perché fosse la voce degli dei, non la sua, a riferire a Cuore di Puma cosa gli dei dell’orizzonte avessero posto nel futuro della sua tribù.
Scortato dagli altri, donne e uomini in attento silenzio, ragazzini e cani vocianti, camminò fino alla tenda del capo. Entrò, si sedette e stette a lungo in silenzio, attendendo le domande.
Cuore di Puma lo sorprese: con una voce carica di angoscia, prese ad interrogarlo quasi subito: “Dimmi, fratello, per tutti gli anni in cui gli dei mi hanno concesso di udire la tua voce, dimmi, perché tremano le tue mani? Forse hai visto sventure, all’orizzonte?”
Attese a lungo, il Figlio del Fiume, prima di rispondere, pur sapendo che questo avrebbe accresciuto la preoccupazione di Cuore di Puma. Poi, da dietro la maschera, la sua voce suonò, come sempre, calma e profonda.
“Sai che non ti è concesso di parlare col tuo vecchio amico, ma dalla sua voce di apprendere dagli dei dell’orizzonte cosa riserva il domani. Quindi chiedi a questa voce ciò che il tuo cuore brama di sapere.”
Passò ancora un attimo, prima che il silenzio fosse nuovamente rotto.

“Godremo di buoni frutti dalla terra, e dei buoni doni degli animali?”
Il Figlio del Fiume chiuse gli occhi, ritornando alle visioni di vasi rotti che spandevano a terra lentamente i semi, di frutti calpestati da piedi stranieri, di maialini da latte che correvano squittendo di paura per non essere catturati.
“Sì” disse infine “avremo ancora quei doni” e con quelle parole credette di avere soffiato fuori la propria anima, tanto gli causò dolore emetterle.

Come dire la verità, quando essa era tanto spaventosa? Perché dirla, quando sarebbe stata comunque inevitabile? Mai gli dei dell’orizzonte gli avevano mentito prima, mai si sarebbero presi gioco della sua fede e del suo dono di vedere il domani.
Chi mai gli avrebbe creduto, aveva pensato per tutto il viaggio di ritorno?
Così, le sue parole furono le uniche che avrebbe potuto dire.

“Verranno fra noi nuovi figli a prendere il posto lasciato dai vecchi?”
Da dietro la maschera, gli occhi chiusi del Figlio del Fiume rividero i giovani in fila, legati, costretti a oltrepassare i corpi insanguinati dei vecchi e quelli dei bambini che giacevano con loro nella polvere.
“Sì, essi nasceranno e cresceranno fa noi” udì se stesso dire, come se la sua stessa voce giungesse da un posto lontano.

“Godrà il mio popolo di salute e benessere?”
Di fronte ai suoi occhi si ripresentarono i volti sudati dei malati, la loro pelle chiazzata da malattie mai viste prima, decine di corpi bruciati su pire e tanti altri lasciati alla mercè dei cani e dei maiali, mentre gli stranieri, immuni e indifferenti, passeggiavano in tutto quel dolore.
“Sì… sì, il tuo popolo sarà benedetto dalla salute.”

Un lungo silenzio si interpose. Cuore di Puma, ne era certo, non osava dubitare, non apertamente; ma la sua inquietudine, tradita dalla voce, certo cresceva.

“Ci sarà gloria in battaglia per i nostri giovani guerrieri?”
Egli li vide, ancora una volta, spezzare inutilmente le punte indurite dal fuoco delle proprie lance di legno contro la pelle di ferro degli invasori; scudi di legno volare in pezzi sotto i colpi di armi di metallo chiaro e più forte dell’ossidiana; le file di soldati, un tempo sprezzanti del pericolo, sbandate dalla carica di animali mai visti, montati da guerrieri crudeli e invincibili. Rivide i prigionieri arrendersi e ugualmente finire giustiziati a centinaia.

E venne infine, dalla voce emozionata del Cuore di Puma la domanda a cui per tanti anni non aveva potuto dare una risposta.
“Verranno finalmente a noi, gli antichi dei che i nostri padri hanno tanto aspettato?”
Pelle pallida, volti coperti da capelli anche sul mento, occhi chiari come l’acqua, lunghe membra cariche di violenza, una lingua dai suoni incomprensibili. Tutti uomini, perché come donne avrebbero avuto le loro, ma come schiave, non come mogli.
Divisi, increduli, il popolo li avrebbe seguiti, adorati, combattuti e temuti.
Con una croce di legno, col fuoco, con armi di metallo, avrebbero portato morte a chi lottava e schiavitù per chi cedeva. Violenza senza fine per gli uni e per gli altri, una civiltà prima umiliata e poi distrutta.

“Sì, disse, verranno, e incomincerà il loro regno.”
E seppe che quella fu l’unica risposta sincera che diede il Figlio del Fiume al vecchio amico, che ascoltava incredulo e atterrito da una tale rivelazione.

All’orizzonte, molto, molto lontano, una caravella veleggiava verso occidente.
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L’APPRODO

Inesorabile, ancora una volta il sole sorge illuminando fin dall’orizzonte l’infinita, calma distesa d’acqua sulla quale la mia piccola barchetta galleggia da tempo. Ho perso il conto dei giorni, dei mesi che ho passato su questa distesa azzurra che senza fine si propaga per tutta la superficie su cui il mio occhio può stendere il suo sguardo, fino al punto in cui l’oceano e il cielo si fondono in un’unica sfumatura azzurrina, senza poter cogliere un’irregolarità, una protuberanza, un qualsiasi segno che mi indichi la presenza di qualcosa di diverso dal piattume che mi circonda, un misero lembo di terra verso cui fare rotta, verso cui spingermi per poter toccare con i piedi e le mani qualcosa di solido, di diverso dall’acqua salmastra.
Senza nemmeno uno sputo di vento a sospingermi, resto in balia delle onde, scrutando la linea piatta dell’orizzonte alla ricerca di una qualsiasi irregolarità che possa indicarmi una rotta, una direzione, una speranza di trovare un’insenatura dove finalmente approdare per ristorarmi, per rifocillarmi, con la tenue speranza di un colpo di fortuna e di giungere, finalmente, ad un porto ben attrezzato per fermarmi ed abbandonare questa vita da naufrago e viaggiatore solitario, per lasciare questa barchetta che dopo mesi di peripezie ancora resta a galla, nonostante le vele stracciate, lo scafo segnato, danneggiato, riparato alla bell’e meglio, l’albero scheggiato e profondamente segnato dalle tempeste affrontate: fedele quasi come un cane non mi ha mai abbandonato, decretando così la mia fine, e tutt’ora mi mantiene vivo e asciutto, anche se non so quanto ancora possa reggere, non so se sarà in grado di affrontare un’altra tempesta.
La rossa sfumatura dell’alba è mutata nella brillante luce del mattino, il sole comincia il suo frenetico lavoro sulla mia pelle ramata da settimane di esposizione: dovrei coprirmi, ma il mio sguardo è puntato su qualcosa che lievemente emerge dalla linea piatta, irraggiungibile; potrebbe essere qualsiasi cosa, un’altra nave alla ricerca di un porto, una spiaggia con quattro palme in croce, la lontana, lontanissima scogliera di un continente, troppo lontano per giudicare, ma è sufficiente per muovere lievemente il timone e prendere una direzione, nella speranza che si alzi una bava di brezza a sospingermi attraverso ciò che resta delle mie vele; potrebbe essere un’illusione, un miraggio, con questo caldo e il sole che ti picchia in testa senza tregua da giorni non è impossibile che i tuoi occhi s’ingannino e scambino un semplice riflesso dell’Oceano stagliato sull’azzurro cielo per un qualcosa di più tangibile e solido: eppure non c’è alternativa, è sempre meglio essere ingannati da un miraggio e dirigersi verso di lui che rimanere totalmente fermi nel mezzo di un mare piatto senza una sola prospettiva verso cui puntare.
Le ore passano lente mentre quello che è solo un lieve alito d’aria comincia a soffiare di traverso, permettendomi di acquisire un minimo di velocità e di poter puntare su quello che sempre più assomiglia alla sottile linea di una costa; chissà dove sono? Chissà se quella linea di terra che vedo è solo una piccola isola disabitata oppure si tratta della costa di un grande continente, con città e grandi porti dove poter attraccare? Chissà se sarà possibile fermarmi per sempre, o almeno potermi riposare un po’ sulla terra ferma, per poi riprendere la navigazione in cerca di una terra dove dimorare per il resto dei miei giorni, con una barca rimessa a nuovo? Chissà se dovrò ancora affrontare una tempesta prima di giungere a quel lembo che spunta dall’orizzonte... dato che ogni volta, ogni maledetta volta, da che ho cominciato la mia solitaria crociera, abbia intravisto una costa, un porto, un’insenatura, sono sempre stato travolto dalla furia degli elementi e dopo ore e giorni a combattere contro i marosi e la pioggia battente, allo spuntare del sole, mi ritrovavo a fissare la piatta distesa perdersi fino al suo confine, portato fuori rotta, quasi come se facessi parte di una commedia assurda, una di quelle situazioni brechtiane dalla quale non c’è via di scampo.
La mia meta si staglia sempre più netta, seppur lontana molte miglia, là in fondo al mio campo visivo, il vento soffia sempre leggero, ma in un lento crescendo che mi riempie di paura; non oso guardare altri punti che non siano la scura linea davanti a me, so che voltando lo sguardo su un altro orizzonte troverei minacciose nubi scure, cariche di pioggia e violenza, che non aspettano altro se non di travolgermi con la loro furia; potrei ritirarmi sotto coperta e lasciare la tempesta scatenarsi, magari con un po’ di fortuna non vengo sbalzato in un’altra direzione, perdendo quella flebile traccia per una svolta, anche temporanea, alla mia esistenza, potrei accettare passivamente la furia della pioggia battente sul mio corpo pregando che il vento e le onde non mi spostino troppo dalla mia rotta, che mi lascino comunque in vista di quella lontana, lontanissima costa, potrei non affrontare spavaldamente gli elementi che finora mi sono stati avversi: ma non si può permettere che siano gli eventi a decidere del proprio futuro, sono troppo stanco, troppo logoro per poter permettere all’ennesima tempesta di sviarmi dalla mia sola e unica speranza di salvezza, seppur effimera, seppur ingannatrice.
Con lo sguardo fisso verso quel punto dell’orizzonte approdo per la mia salvezza, affronto il mare che s’ingrossa in onde sempre più violente, mentre le nubi nere coprono il sole del tardo pomeriggio annunciando una fredda accoglienza fatta di pioggia srosciante: tutto quello che devo fare è mantenere saldo il timone e cavalcare il vento fattosi forte, pregando che lo scafo, segnato e mal ridotto, non ceda di schianto alla violenza della tempesta; il rollio diventa insistente e forte, le gocce d’acqua cadono pesantemente sul mio corpo come se non ci fosse un domani, inzuppandomi fino nel midollo mentre le onde s’infrangono sulla chiglia della mia barchetta con la violenza di un titano, quella piccola irregolarità scorta al mattino è ora coperta dalla tempesta, il vento impetuoso mi spinge sempre più forte, sbattendomi da mille direzioni diverse, cercando di strapparmi dai comandi che saldamente mantengo sulla stessa direzione intrapresa ore fa; la barca cigola, si lamenta straziante nel legno che subisce la furia delle onde implacabili sempre più grosse, sempre più minacciose, le vele forzate dal vento si lacerano in altri punti, un fulmine colpisce l’albero, facendo sprizzare scintille e spezzoni ovunque, qualcosa di pesante e umido mi colpisce alla testa, il dolore si fa intenso, ma non mollo il timone, puntando il mio sguardo pieno di puntini luccicanti verso un obbiettivo invisibile ma che so di fronte a me, qualcosa alle mie spalle cede con uno schiocco sinistro... forse una cima, logora, non ha retto alla sforzo di mantenere fisso qualche cosa, la randa oscilla velocemente, libera viene sbattuta dal vento avanti e indietro, avanti e indietro, velocemente, sempre più velocemente, un colpo d’una violenza inaudita mi atterra, i miei sensi vacillano, il buio mi avvince nel suo gelido abbraccio...



Inesorabile, ancora una volta il sole sorge illuminando fin dall’orizzonte l’infinita, calma distesa d’acqua sulla quale la mia piccola barchetta galleggia da tempo.
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Orizzonte di montagna

Non era mai stato un gran montanaro: anzi, piuttosto in gioventù aveva amato il mare, perdersi in esso, un enorme libero lago confinato dal giro dell’orizzonte. Fu soltanto in un periodo ben preciso della sua vita che cominciò ad essere attratto dalla montagna. La prima volta se ne accorse durante una gita conviviale tra amici, un pic-nic in collina non molto distante dalla sua città di pianura: per fumare una sigaretta in pace si era addentrato curiosando tra le pendici. Scoprì il bosco, il profumo di terra dell’ora più calda, le saette di sole filtranti, ma più di tutto giocò l’esperienza della salita, dello spendere di sé per poter accedere oltre, per entrare a partecipare di quella specie di mistero. Non se ne rese conto in maniera consapevole, ma quella cosa gli entrò dentro come un piacevole calore che venendo dai piedi e dalle caviglie saliva su spiraleggiando intorno alle ginocchia, alle gambe.
La nausea del mare si manifestò non prima di qualche altro anno. Quell’ambiente che aveva sempre ritenuto suo adesso lo infastidiva: sparita ogni complicità con i fondali, trascorso il tempo delle infinite estenuanti partite in spiaggia sotto il sole cocente, affogato da qualche parte il coraggio di mettersi in gioco su una tavola tra il vento che soffia nell’aria e quello che spira sotto il pelo dell’acqua.
Noia.
La scelta delle vacanze seguenti fu per la montagna, una montagna pragmatica: migliore ricettività alberghiera, minori prezzi, tutto sommato un buon affare comprensivo di aria più fresca. Alla partenza cercò delle rapide istruzioni d’uso per cittadini neoproiettati tra le vette alpine ma non ne trovò di soddisfacenti, o che per lo meno lo facessero sembrare meno incongruo di come non si presentò una volta sceso dalla macchina, sulle falde del prato candido di camomilla che circondava il suo albergo. Il paesino se ne stava in mezzo alla conca delle montagne, verdi umide bagnate di ruscelli e cascate e più in su brulle senza motivo apparente; oltre, cielo.
Spettacolo improbabile ed imprevedibile, eccolo qui all’inizio del sentiero, la mattina successiva, armamentato con ridicole scarpe da ginnastica, jeans, maglietta e maglione, come per una qualsiasi passeggiata in città, e la piccola mappa cortesia della gestione dell’albergo, più una forma di assicurazione che uno strumento da poter dominare.
E un calore che attende, spiraleggiando intorno alle gambe.
Si potrebbe riassumere il tutto dicendo che camminò. Camminò seguendo scrupolosamente il sentiero. Oltrepassando la sua stessa fatica come se fosse un alimento di cui nutrirsi con fame sconosciuta. Senza concedere nulla al terreno che calpestava se non registrandone colore e consistenza, passo, passo, passo. Senza fermarsi sul nome della montagna. Respirando ogni tanto davanti ad una radura, balcone su orizzonte di valle e montagne altre. E avanti, calpestando le ossa e la carne della montagna senza averle dato un nome, fino a quando la stanchezza e un inizio di consapevolezza si trasformarono in titubanza, in tornare indietro, e con un senso di appagata ebbrezza scese inseguendo il sé stesso che era salito, ma che non sarebbe più tornato a valle.
Impiegò diversi soldi per l’attrezzatura necessaria, ma molto meno tempo del previsto per sapere a cosa e perché servisse. Non cambiò invece la montagna, la sua montagna. Ne scoprì piccole incantevoli depressioni ma soprattutto finestre vertiginose sui fianchi, viste mozzafiato sugli spazi antistanti, scenari che catturavano la sua attenzione e che trascinavano tutto il suo essere al di là delle membra della sua montagna. Salite a gradoni che strappavano via il respiro, stretti budelli sassosi tra radici e piccole frane, lunghe sale a volta con fughe di arcate di castagni tappezzate dalla calda moquette delle foglie cadute.
La prima volta che arrivò in vetta aveva attraversato i costoni aridi e battuti dal sole, non si era aspettato quell’aria inconsistente ed un paesaggio che nulla aveva della sua montagna. Si accosciò sullo spiazzo più alto chinando il capo, stranito dall’esistenza di quel luogo estraneo a quella che aveva conosciuto come la sua montagna. A bocca aperta, respirando, sassi e licheni.
E l’orizzonte a cerchio intorno.
Cime, altre, per ogni dove. Belle, superbe, in silenziosa attesa.
C’era anche il disagio ad accompagnarlo durante il cammino del ritorno, quella volta.
E i passi sulla sua montagna, nei pochi giorni successivi, divennero meno intensi, meno attesi, meno caldi. Sempre più allenato, tornò altre due volte a quell’orizzonte spendendo in un’attesa opaca tutto il tempo, tutto il cammino della giornata. Un orizzonte di scelta, di ricchezza, di perdersi, tanto grande da potervi sparire dentro, sciogliersi tra righe di azzurro sul bianco abbacinante di neve e nuvole, montagne altre belle come nulla al mondo.
Quell’ultima volta, scendendo, era animato da una foga incomprensibile. I battiti forti del cuore nelle orecchie lo rendevano sordo, ma erano stranamente i piedi ad ascoltare un lungo sommesso discorso, un richiamo, un appello, una voce accorata che sembrava significare, in qualche modo: ”Ti ho amato ad ogni tuo passo, ogni volta che il tuo piede ha toccato la mia carne ci siamo appartenuti, nella fatica siamo diventati l’uno dell’altro, e quando ti fermavi a guardare meravigliato tutto il resto ero io a donarti i miei fianchi, silenziosi, da cui sporgerti. Non scendere! Non prima di aver ripercorso passi, passi, passi chiamandomi, per una volta, col mio nome! Non ancora!”
Con l’immagine del cerchio radioso dell’orizzonte nella mente non si accorse nemmeno che stava già penetrando le pendici più basse e meno ripide della montagna. L’ombra dei boschi ebbe l’effetto di smorzare l’intensità dell’immagine, riportandolo alla realtà quando ormai quel lungo discorso era una sorta di fruscio indistinguibile. Si girò intorno, quando sbucò nella conca, quasi stupito di non trovare il cerchio dell’orizzonte avanti a sé. Né quello, né la via per tutte le altre montagne. Non una via per raggiungere tutto l’orizzonte: molti sentieri, uno per ciascuna cima. Sceglierne una, diventare l’uno dell’altro passo, passo, passo.
Vide intorno a sé scendere affannati molti altri da ogni sentiero, ristare a guardare verso l’alto come smarriti, cercando un orizzonte che non c’è.
In un vento che percorre la valle, come mille sussurri disperati.



La linea d’orizzonte è dovuta alla combinazione della curvatura terrestre
con l’effetto prospettico dovuto al nostro occhio.
L’ampiezza dell’orizzonte segue in buona approssimazione il teorema di Pitagora
ed è quindi proporzionale all’altezza del punto di vista.
Ne consegue che chi è a terra vede un orizzonte molto circoscritto,
mentre chi sale in alto o addirittura si leva in volo ha orizzonti che abbracciano tutto il mondo.
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nove

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Un'astronave in cucina

L'aria del mattino è ancora pungente. Mi stringo nella felpa.
La nebbia rada inizia ad alzarsi lentamente, come un leggero sipario, e l'orizzonte si riempie, a poco a poco, dei contorni delle colline. Una luna insonnolita, che si attarda nella luce del mattino, mostra ancora il suo faccione pallido.
"Tuo nonno diceva che la luna ha gli occhi, il naso e la bocca."
"Certo. Non lo vedi anche tu, babbo? Lì, proprio lì - un dito proteso nell'aria-, sono gli occhi. Quello in mezzo, si', quello, è il naso, un po' a patata. Ecco, poi quella è la bocca. Non sorride, ma non è triste. Ci guarda."
"Tuo nonno diceva che nessuno sarebbe mai potuto andare sulla luna, perchè ci sono i morti, lassù. Se vedesse adesso, queste immagini alla tv...".
Un gruppo di nuvole bianche, leggere, sfilacciose, corre a coprire la luna e i miei pensieri. Una brezza delicata mi sfiora. E ancora.
Due nasi stampati contro al vetro della finestra della cucina.
"Guarda, quella nuvola sembra proprio un viso. Un viso un po' ciccione, e che naso! Ne arriva un'altra, adesso il ciccione ha un cappello!"
"E quella? È un cane"
"No, a me sembra di più un cavallo"
"E dietro c'è un bambino".
Un tuono.
Ma non nasce lungo la linea del mio sguardo. È dentro di me. Insieme ai pensieri e alle immagini che si rincorrono e si mescolano.
La mamma piange. Forse ha paura. Se la mamma ha paura, ho paura anch'io.
Eppure.
Una mano sulla mia nuca. "Zuglein (letteralmente "giocattolino" con significato, in questo caso, di "bambolotto"), prendimi un bicchiere".
"Ecco".
Il mio sguardo fisso al pavimento, a perdersi nei disegni del marmo della cucina.
E ancora: "Cosa guardi? La vedi anche tu, lì, una donna con la brocca ?"
"Sì, e quella è una papera, proprio lì, vicino alla credenza"
"È vero. E questo è un fiore"
"E questa è una spada. Quella, invece, è un'astronave, babbo".
"Zuglein, diventerai la più bella ragazza del quartiere".
Non è stato così, babbo, lo so. Mi dispiace. Ma non è colpa mia.
E i ricordi, adesso, non fanno nemmeno più male.
La brezza si è trasformata in vento e ha spazzato le nuvole. La luna di latte non guarda più le colline e gli alberi da lontano ballano una danza tribale, tutti insieme, scandendo il tempo.
Un cane corre in giardino.
"Mamma, io vado. Prendo la macchina"
Rispondo. "Va bene. Buona giornata, tesoro"
Un uccellino si posa sui fili del telefono e mi guarda curioso.
Ho freddo. Accosto la vetrata.
Eh già. Il tempo è passato. Davvero troppo in fretta.
Il futuro è oggi, anzi, è già ieri.
Chissà se mi vedi anche tu, babbo, dall'altra parte dell'orizzonte.
Vorrei chiederti cosa ti sembro. Cosa...
Tiro la tenda e scendo a farmi un caffè.
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dieci

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Stravolgimenti

Michela aveva letto una volta che le persone si dividono in due categorie: chi vive e chi osserva (gli altri vivere, si suppone).
Non l'aveva letto in un trattato di filosofia - più probabilmente un giallo di Agatha Christie, le sembrava di ricordare - ma la teoria l'aveva convinta.
E anche un po' rassicurata: se uno è fatto così, si diceva, non è colpa sua. E' così, e basta. Come avere i capelli biondi invece che mori.
Il guaio era che lei era anche una curiosa. Intendiamoci, non una ficcanaso, ma una che non si limitava solo a osservare quello che le capitava sotto il naso, ma andava a cercarsele, le persone e le cose da osservare. Si faceva raccontare da ognuno la propria storia, andava ad ascoltare i vecchietti, collezionava aneddoti sentiti sull'autobus, seguiva le persone per non perdersi la fine di una conversazione interessante, vedeva un sacco di film, e soprattutto leggeva tantissimo. Perché la seconda teoria esistenziale di Michela era che uno non può fare e vedere tutto quello che vorrebbe nella propria vita, è proprio impossibile praticamente: l'astronauta e l'insegnante e il giudice e l'archeologo e il missionario e lo scrittore e il pirata, e visitare tutti i Paesi del mondo e conoscere approfonditamente la musica classica e jazz e rock e pop, nonché la botanica e l'astronomia, saper condurre una barca a vela e andare a cavallo e scalare montagne e lanciarsi con il paracadute. Per non parlare di epoche storiche e continenti che non esistono più.
Michela avrebbe voluto fare e conoscere tutte queste cose, ma siccome non avrebbe potuto farle tutte, non ne faceva nessuna e si limitava a leggere e ascoltare di persone che le avevano fatte o sapute o vissute. Il che riportava alla teoria numero uno, insomma, c'è chi può e chi non può, eccetera.
Un circolo vizioso di cui si rendeva perfettamente conto, e che lei si immaginava esattamente così: un cerchio che racchiudeva un orizzonte, il suo, oltre il quale c'erano tutte queste altre cose e persone e vite che lei serenamente osservava dal di qua. Con un po' di invidia, ma appunto, c'è chi non può. Diciamo la versione allegra di Lunaspina di Fossati, ecco, con un sacco di terre da sognare e voci da seguire che tanto mica si deve andare troppo lontano per trovarne.
Il guaio, però, appunto, quello di cui Michela non si rendeva conto, è che in realtà le due teorie non erano proprio così strettamente consequenziali: tutta questa curiosità e voglia di sapere, se si fosse limitata ai libri, rimaneva in effetti circoscritta nella teoria della Michela osservatrice, ma seguire la gente che sta chiacchierando già comporta un'azione, una partecipazione ben diversa, che smentisce la teoria - oltre a comportare qualche rischio che nel migliore dei casi si traduce in imbarazzo. Ma anche più banalmente, se una persona ti racconta di sé, uno straccio di commento lo si deve fare, viene naturale, e così si diventa partecipi. E i consigli di Michela erano richiestissimi. Con tutto quello che aveva letto, sapeva sempre come sarebbe andata a finire, cosa dire e cosa fare.
Ovviamente, non poteva durare. Per quanto una persona si ritenga osservatrice, e per quanto possa essere preparata letterariamente a vivere, a un certo punto deve cominciare a farlo nella realtà, e lì la letteratura arriva fino a un certo punto (anche se dà sempre un tono).
Ovviamente, Michela venne presa per i capelli e proiettata oltre il suo piccolo orizzonte.
Ovviamente, a farlo fu un uomo.
Non così ovviamente, l'orizzonte se la prese a male.

Questo povero orizzonte si era ormai abituato a fare da baluardo tra il piccolo mondo di Michela e tutto il resto di cui sopra, cose persone e vite, e si sentiva molto tranquillo del fatto che sarebbe andata così indefinitamente (forse - anzi sicuramente - aveva guardato un po' troppo dal lato di Michela invece che da quell'altro, se no non sarebbe stato così sicuro. Gli esseri umani sono imprevedibili ma nessuno gliel'aveva detto). E, diciamocelo, si era anche un po' innamorato di lei. In fondo l'orizzonte era un abitudinario: lui stava sempre lì, lei lo guardava sempre (o guardava oltre, ma l'orizzonte non sottilizzava), lui guardava lei che l'aveva messo là, e, insomma, da cosa nasce cosa.
Di colpo si ritrovava senza oggetto di amore incondizionato (nonché poco impegnativo), senza lavoro, senza ruolo e senza niente da fare. In pratica, se non faceva qualcosa in fretta rischiava di non esserci proprio del tutto, non appena Michela si fosse completamente dimenticata della sua esistenza.
Perciò la inseguì. O almeno ci provò. In pratica, dopo aver sconsolatamente contemplato per l'ultima volta il vuoto - se si faceva eccezione per le pile di libri - che lei aveva lasciato, fece un respiro profondo e si voltò dall'altra parte. E rimase paralizzato. Innanzitutto, vide un sacco di gente. Ma non fu certo quello a colpirlo: aveva visto solo Michela fino a quel momento, ma non gli sembrava che gli altri esseri umani che vedeva fossero così diversi da sorprenderlo particolarmente. Il fatto era che ognuno di essi - o quasi - se ne andava in giro con il proprio orizzonte personale, più o meno grande, che lo contemplava beato. E lui non sapeva neanche che esistessero. Aveva sempre guardato dalla parte sbagliata!
La vita dell'orizzonte mutò radicalmente. Recuperò Michela - in un altro continente, con un'altra espressione e una diversa pettinatura - in modo da continuare ad esistere (un orizzonte deve fisiologicamente delimitare qualcosa, e si accorse di essere parecchio più grande di prima), ma continuò a guardare all'infuori. E si mise a parlare con gli altri orizzonti. Molti erano scioccati. Molti erano spaventati. Ma molti si misero a chiacchierare con lui. Una volta sparsa la voce che non esisteva solo l'essere umano di riferimento, parecchi altri orizzonti - quasi tutti - si voltarono.
Il che comportò, nell'ordine: la rivoluzione degli orizzonti, senza alcuna conseguenza per gli esseri umani, ma diverse per gli orizzonti (tra cui una vita sociale decisamente più intensa); la dimostrazione scientifica dell'esistenza dei mondi paralleli, dimostrazione che sfortunatamente rimase limitata alla sfera di conoscenza degli orizzonti; e, ultimo ma non trascurabile effetto, visto che questa è anche la sua storia, una straordinaria fama per l'orizzonte di Michela che lo portò ad essere leggendariamente noto come il Latin lover dei cinque continenti (Michela si era messa in testa di vedere tutti i Paesi del mondo).
Qualche essere umano riesce anche a parlarci :Jim Morrison diceva ‘Non accontentarti dell’orizzonte, cerca l’infinito’ e se non avesse parlato con gli orizzonti, non si sarebbe messo a cercare l’infinito (bisogna ammettere che alcuni orizzonti possono essere molto noiosi).
A dire la verità, il Latin lover ultimamente parla anche con l’infinito, con quali altre conseguenze immaginabili (riusciranno prima o poi gli esseri umani a parlare con l’infinito? Qualcuno, in realtà, pare lo stia già facendo) non è dato sapere.

Per ora.
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undici

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IN CAMMINO, IN ATTESA DELL’ALBA

Comincio ad essere stanca. E’ da molto che cammino, non so neanche più da quanto, e ancora non mi rendo conto di quanta altra strada dovrò percorrere.
Ma manca poco all’alba. Mi fermo e ascolto.
Questa è l’ora in cui tutto rimane sospeso, anche la stanchezza si stempera e l’aria si fa rarefatta, in attesa.
Percepisco la promessa appena intuita del prossimo rinnovarsi, l’equilibrio sottile tra fine e inizio che accomuna tutte le notti insonni dei miei ricordi.
Quelle, ad esempio, passate seduta in cucina a studiare, già ai tempi delle medie.
… A pensarci, non sono mai stata una studentessa modello, ottimi risultati, si, ma all’ultimo momento, sempre sul filo del rasoio. In compagnia della faticosa abitudine di macinare metà programma in tre giorni, con il suo seguito di ansia, mal di stomaco e camomilla.
… Ma c’erano anche l’eccitazione, la lucida concentrazione che rende la mente affilata, al limite tra realtà e visione.
La verità è che mi piaceva spingermi al limite delle mie possibilità e perché fossi veramente io, perché emergesse la parte di me più autentica doveva essere di notte…
Mi piace ancora, la notte, perché se ti metti ad ascoltarla ti svela il senso nascosto delle cose, quelle che, di giorno, distrattamente non cogli e se comprendi davvero quello che ha da dirti ti permette di accompagnarla verso l’alba, rinnovandoti ad ogni passo.
Ogni alba come un nuovo inizio.
C’è la notte in cui ho vegliato mio padre, io e lui di fronte al silenzio, ancora assieme ma separati da un’eternità non più astratta ma dolorosa e tangibile, quando ho compreso il senso profondo di quel gesto antico, fatto di riconciliazione, di presenza e di conforto. E all’improvviso il dolore si mitigava nel compiere ancora un tratto assieme, la distanza si risolveva nella comunione profonda, al di là dell’ignoto.
Oppure quando è nato mio figlio, mentre il mio cuore batteva all’unisono con il suo e tutto il mio essere era concentrato su un atto di amore supremo e insieme sconosciuto e totale il respiro della notte si mischiava col mio, mi cullava e mi diceva che tutto sarebbe andato bene.
E le notti che ho passato io a cullare, l’anima assorta ad ascoltare il mistero che si celava in ogni respiro del mio bambino, felice di un’intimità assoluta, veramente possibile solo nel regno del riposo e dell’introspezione dove la realtà si addormenta nel sogno e i sogni divengono realtà.
Penso a tutte queste notti mentre riprendo a camminare.
Ecco, dovrei essere quasi arrivata. Oltre questa radura, dietro quella piccola collina c’é…. Non so con certezza ma sono sicura che non manca ancora molto…
L’aria intorno a me si va rischiarando e mentre mi avvicino alzo lo sguardo e lo vedo… entra nei miei occhi, satura i miei sensi, invade la mia mente…
il Mare … uguale a come lo ricordo eppure diverso da ogni cosa mai immaginata: illuminato da un azzurro impossibile; rombante di un fragore che grida nel mio cuore; pervaso da una forza immensa e luminosa che si esprime nell’orizzonte ….
L’Orizzonte…, mentre lo guardo mi si schiude davanti, moltiplicandosi all’infinito fino al limite dove Nulla e Assoluto si incontrano.
Chiudo gli occhi, sopraffatta, e… non cambia nulla, lo vedo ancora, non svanisce ma si espande sempre più fino a fondersi col mio essere.
Ora capisco che è dentro di me che sto guardando, finalmente giunta alla meta di un viaggio senza fine e senza inizio.
Ora che tutto ha un senso, ora che tutti i giorni e le notti si sono magicamente intrecciati a comporre un disegno perfetto, improvvisamente mi sento trascinare e ogni cosa si scioglie in un vortice che alla fine mi lascia soltanto il battito del cuore, buio intorno e silenzio.
Sono un piccolo essere adesso, e sto già iniziando a dimenticare.
Cerco però dentro di me ancora una volta il riflesso dell’Orizzonte infinito e il suo bagliore mi accompagnerà verso l’alba ormai imminente. Verso la mia nuova vita. E so che andrà tutto bene.
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Messaggio da liberliber »

credo che ci sia un piccolo problema di compatibilità tra il sondaggio e il blocco del thread. vi prego di pazientare fino a domattina, intanto leggete :D
Ho potuto così incontrare persone e diventarne amico e questo è molto della mia fortuna (deLuca)
Amo le persone. E' la gente che non sopporto (Schulz)
Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto (Wilde)
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liberliber
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Messaggio da liberliber »

ho messo i titoli e inserito l'ultimo che era nel sondaggio ma non veniva visualizzato.
Adesso sblocco il thread, ma come richiesto dalla presidentessa :P pregherei di fare i commenti nell'altro thread:
http://www.bookcrossing-italy.com/BCfor ... hp?t=14741
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zazie
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Messaggio da zazie »

Ricordo a tutti che:
1) i racconti sono pubblicati in forma anonima e gli autori sono
cortesemente invitati a non svelare la loro identità nè a pubblicizzare
il loro racconto

2) chiunque voglia contribuire al monte premi in libri per i vincitori è benvenuto

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zazie
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Messaggio da zazie »

La giuria ha riscontrato una violazione del regolamento, dovuta alla pubblicazione del primo racconto sul blog personale dell'autore, prima che scadessero i termini di voto.
Ciò è in contrasto con la norma che prescrive l'anonimato. Accertata l'infrazione la giuria applica il regolamento che prevede in questo caso l'esclusione, limitandola al giudizio del pubblico (i punteggi ottenuti nel voto della giuria rimangono validi).

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zazie
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Messaggio da zazie »

Chi abbia votato il primo racconto (L'amico) può, se lo desidera, mandare un altro voto a Ale via mp

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zazie
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Messaggio da zazie »

Ricordo che domani scade il tempo per votare il racconto. Mercoledì mattina (o martedì notte :wink: ) la giurata Cattivik pubblicherà il nome del vincitore del pubblico e gli abbinamenti racconto-autore.

Eventuali discrepanze tra il risultato del sondaggio e quello che verrà pubblicato sono dovute ai voti ripetuti di chi aveva scelto il racconto escluso

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vanya
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Messaggio da vanya »

il sondaggio, anche se per motivi tecnici risulta ancora aperto, è ufficialmente chiuso.
riporto qui i risultati alla mezzanotte del 30 maggio.

Nuovi orizzonti 2% (1 voto)

All'orizzonte 1 - È sempre pronto per te... 4% (2 voti)

All'orizzonte 2 - C'era una volta un libro di fiabe... 4% (2 voti)

Ma gli uomini, cos'è che vedono dalle loro finestre 10% (5 voti)

All’orizzonte 3 - Il Figlio del Fiume... 20% (10 voti)

L'approdo 8% (4 voti)

Orizzonte di montagna 8% (4 voti)

Un'astronave in cucina 8% (4 voti)

Stravolgimenti 28% (14 voti)

In cammino, in attesa dell'alba 8% (4 voti)

Voti Totali : 50
Cosa leggerai?
Con che libro affascini il tuo cuore?
E se ti perderai nel labirinto di un amaro autore?
P.C.

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Theut
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Messaggio da Theut »

:yell!: PAPPARAPAPPA' PA :yell!:

E' finalmente giunto il momento di proclamare il vincitore :D

Con 14 voti si aggiudica il PREMIO DEL PUBBLICO il racconto:

STRAVOLGIMENTI di Liber


Ma chi sono i fantastici partecipanti di quest'anno?

Nuovi orizzonti (1 voto) Gigi

All'orizzonte 1 - È sempre pronto per te... (2 voti) Riskfree

All'orizzonte 2 - C'era una volta un libro di fiabe... (2 voti) romantic

Ma gli uomini, cos'è che vedono dalle loro finestre (6 voti) Sapphire

All’orizzonte 3 - Il Figlio del Fiume... (10 voti) Xantro

L'approdo (4 voti) DocTrigor

Orizzonte di montagna (5 voti) Giorgio

Un'astronave in cucina (4 voti) Til

Stravolgimenti (14 voti) Liberliber

In cammino, in attesa dell'alba (4 voti) fatamorgana67

e, fuori concorso, L'amico di Tano

Complimenti a tutti :clap: :clap:

PS La discrepanza tra i voti postati da vanya e quelli che vedete qui è dovuta ai voti pervenuti via pm ad Ale (e sono di coloro che in prima istanza avevano votato il racconto del Tano).
Immagine Immagine Immagine

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