Storie e fotografie

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Bilbo
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Storie e fotografie

Messaggio da Bilbo »

Perché alcuni scatti diventano memoria: fissare la realtà in modo che diventi testimonianza
Le storie umane dietro quelle grandi fotografie
di Denise Chong

Immagine La mattina dell'11 novembre 1996, Washington era accarezzata da un sole splendente. Una folla di tremila persone si era riunita al Vietnam Veterans Memorial per l'annuale Veterans Day Cerimony. Il veterano sul palco, montato davanti al freddo muro di granito nero con i nomi degli americani caduti in Vietnam, introdusse l'oratore successivo, una donna vietnamita chiamata Kim Phuc. Il suo nome non compariva sul programma, ma non appena venne citata la famosa fotografia, pochi nel pubblico non sapevano chi fosse.

Mescolato nella folla c'era anche John Plummer, quarantasette anni. Qualche mese prima, mentre cambiava canale, era incappato in uno show della CBS intitolato "Where are they now?"; tra gli ospiti, il fotografo e il soggetto della celebre fotografia della guerra del Vietnam. Plummer era rimasto attonito all'udire che la vittima del bombardamento al napalm viveva non in Vietnam, ma a Toronto, a un giorno di macchina da casa sua, a Purcellville in Virginia. Se potesse guardarmi negli occhi, aveva pensato Plummer, vedrebbe la pena e il rimorso per quello che le ho fatto.

Plummer aveva iniziato a sospettare che la fotografia fosse qualcosa di più di una semplice notizia su Stars and Stripes alcuni mesi dopo esser tornato dalla sua seconda missione in Vietnam. A ventiquattr'anni, divorziato e padre di tre figli, stava per risposarsi, e lavorava come istruttore di volo a Fort Rucker, in Alabama. Una sera la sua fidanzata e i suoi amici stavano leggendo una rivista, che si aprì alla pagina della fotografia. Plummer aveva allungato il collo: "Sono stato io a ordinare l'attacco aereo". Ci fu un moto di repulsione. La sua fidanzata lo fulminò con lo sguardo, come a dire: come puoi esserne fiero? Che motivo hai di vantartene?

Nel corso degli anni, Plummer aveva evitato sempre di più di parlare della guerra. Se qualcuno scopriva che aveva combattuto in Vietnam, di solito gli rivolgeva un'unica domanda: "Hai mai ucciso qualcuno?". Lo aveva fatto, aveva sparato a una vietnamita di vent'anni, una figura che correva nella notte lungo il perimetro della base in cui era di guardia. Il servizio segreto americano aveva poi concluso che la donna era stata catturata dai vietcong perché trasportasse i rifornimenti, ma era riuscita a fuggire e stava cercando rifugio presso gli americani quando era stata uccisa. Plummer aveva conservato una foto del cadavere, scattata da un soldato di fanteria.

Il secondo matrimonio di Plummer si sarebbe concluso con un divorzio. La moglie sostenne che avesse "problemi dovuti alla guerra". Stronzate, si era detto. Aveva ammesso di avere un problema con l'alcool: spesso si svegliava nel suo camion, o sul divano di qualcuno, chiedendosi come ci fosse finito. Ma non aveva mai confessato a nessuno che c'era un ricordo della sua esperienza in Vietnam in grado di eludere immancabilmente le sue difese: la fotografia della bambina ustionata dal napalm. Sembrava essere dappertutto - sui giornali, sulle riviste, nei film alla tv, persino nei libri che aveva in casa. Ogni volta che la vedeva, Plummer era straziato dal rimorso. Al punto che le urla della bambina infestavano i suoi incubi sulla guerra.

Plummer cominciò a rimettersi in sesto solo quando l'esercito lo lasciò a terra, e grazie al sostegno di colei che sarebbe diventata la sua terza moglie - la donna, una cristiana praticante, aveva un fratello che era stato pilota d'elicottero in Vietnam. Nel 1991 Plummer entrò in seminario e quattro anni dopo era pastore della chiesa metodista della cittadina di Purcellville. Con la forza della fede, giunse ad accettare che Dio gli avesse perdonato la sofferenza che aveva provocato alla bambina della fotografia. Anche se la notte dormiva meglio, il peso del rimorso non si alleggerì mai di un grammo.

Qualche settimana dopo il programma della CBS con il fotografo e la ex bambina, Plummer partecipò a una riunione di elicotteristi veterani del Vietnam. Sfogliò alcuni libri su un bancone, ed ecco, ancora una volta quella foto, accompagnata in quel caso da una poesia. Travolto dall'emozione, Plummer crollò. Il poeta era vicino a lui e, senza chiedere spiegazioni, si misero a pregare insieme. Venne fuori che il poeta conosceva Nick Ut. La notizia arrivò a un regista canadese, che stava girando un documentario televisivo su Kim (intitolato "Kim's Story: The Road from Vietnam", trasmesso per la prima volta all'inizio del 1997), e poi a Kim stessa: il comandante americano che aveva "ordinato" l'attacco al napalm che l'aveva ferita, ora ministro di Dio, era emerso, ma sembrava che l'uomo non volesse farsi avanti pubblicamente.
Quel giorno, al Veterans Day, mentre Kim veniva presentata, Plummer stava vacillando. Il veterano sul palco disse che mentre Kim Phuc era sopravvissuta all'attacco, due dei suoi fratelli erano morti (ancora una volta i suoi cugini erano stati scambiati per i suoi fratelli); Plummer era scioccato, si riteneva il responsabile di una tragedia ancora più grave di quanto già non sapesse.

Kim avanzò sul podio. "Cari amici, sono molto felice di essere con voi, oggi. Come saprete, sono la bambina che correva via dal fuoco del napalm. Non voglio parlare della guerra, perché non posso cambiare la storia. Voglio solo che ricordiate la tragedia della guerra, così che facciate qualcosa per fermare i conflitti e gli omicidi che proseguono nel mondo. Ho sofferto moltissimo, sia a livello fisico che psicologico.

A volte ho pensato che non ce l'avrei fatta, ma Dio mi ha salvato e mi ha dato la fede e la speranza. Anche se potessi parlare faccia a faccia con il pilota che ha sganciato le bombe...".
Plummer sentì che quelle parole erano dirette anche a lui. Scarabocchiò su un pezzo di carta: "Kim, sono io QUELL'uomo", firmandolo Reverendo Plummer.
"... gli direi che non possiamo cambiare la storia, ma che dovremmo impegnarci oggi, e nel futuro, per promuovere la pace... ".

Alla conclusione del suo breve discorso, Kim abbracciò un colonnello in congedo dell'Aeronautica americana, ex prigioniero in Vietnam. Insieme, appoggiarono una corona di fiori al muro. Risuonarono le note del silenzio. Kim si asciugava le lacrime, mentre molti dei presenti piangevano apertamente, sentendo di avere mosso un passo tutti insieme sulla strada del ritorno dal Vietnam.

Al termine della cerimonia, uno degli organizzatori guidò Kim attraverso un groviglio di macchine da presa e microfoni ad asta, aspettandola quando lei si fermava a stringere mani di veterani ansiosi di toccarla. Quando raggiunsero l'auto della polizia che l'avrebbe ricondotta in hotel, l'organizzatore le bisbigliò in un orecchio: "Kim, hai presente l'uomo che avresti voluto incontrare?".
"Sì?". "E' proprio dietro di te".
Kim si voltò e posò gli occhi su un volto contratto dal dolore. Gli spalancò le braccia.
Plummer ci si rifugiò. "Mi dispiace, mi dispiace così tanto...".
"E' tutto a posto", gli rispose Kim. "Ti perdono, ti perdono".

da www.repubblica.it
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Emily81
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Messaggio da Emily81 »

Grazie Bilbo....

mi sono commossa davvero.... :cry:

queste sono storie che ti fanno veramente riflettere...
Life is what you make of it...(Pessoa)
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La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare...(Schopenhauer)
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Barramundi
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Messaggio da Barramundi »

Mi piace fare foto, rubare attimi a ciò che sto vivendo. Una parete della mia stanza è tappezzata di fotografie, lì c'è l'immagine della mia vita finora. Non a caso uno dei miei libri preferiti è una raccolta di foto che ritraggono il secolo scorso. Quella che più mi ha colpito è proprio una foto sulla guerra in Vietnam: un ufficiale piegato in lacrime su un tavolo in un ufficio spoglio.

Alcuni credono che la fotografia non sia arte. Io non la penso così. Certo, non che l'arte debba trovare consensi unanimi. Io ritengo che la fotografia sia arte, ovviamente non tutta, come non tutti i quadri, non tutti i disegni, non tutte le architetture lo sono.

Penso a molte splendide fotografie pubblicate sul National Geographics. Ce ne sono alcune che hanno fatto la storia: la bambina afghana, la foresta amazzonica in bianco e nero, il bambino colorato con argilla rossa, ecc. Ho visto alcune fotografie di guerra che da sole bastano a descrivere la situazione di un paese e di un popolo. Tutto concorre a farne arte: il soggetto, la mano del fotografo, il messaggio, l'occhio di chi guarda...

Cosa ne pensate di questo mezzo d'espressione? C'è qualcuno che è appassionato di fotografia?
Membro del club "Amici di Perutz"
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Babette
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Messaggio da Babette »

Barramundi ha scritto:C'è qualcuno che è appassionato di fotografia?
Finchè esisteranno fotografi come Salgado io sarò appassionata di fotografia :yes!:
Un libro dovrebbe essere una sfera di luce nelle mani di chiunque (Ezra Pound)
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uahlim
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Notevole

Messaggio da uahlim »

Due vittime della guerra, anche il carnefice. Fa pensare. Bellissimo.
Mi sento un bookcorsaro a metà, anzi no, una mezza spugna:
http://uahlim.altervista.org/doxa/index ... 0DIMEZZATO@
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