Un libro preso per passare qualche ora estiva che ha fatto benissimo il suo dovere. L'autore, turco/tedesco, costruisce deliziosi raccontini attorno al tema di una fata che compare nella vita di strani individui per esaudire uno e un solo desiderio.
Se fosse un fantasy non ci sarebbe niente di strano, ma se i fortunati sono uno scrittore frustrato, una madre iper protettiva, un pubblicitario demotivato, la cosa si fa divertente e parecchio!
Jakob Arjouni-Idioti
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Re: Jakob Arjouni-Idioti
Sulla scia di un umorismo sottile, a volte sarcastico e tagliente, altre più dolce, ci si ritrova a considerare (e probabilmente anche a ridimensionare) quello che potrebbe significare essere posti di fronte all’offerta di scegliere un desiderio che possa essere esaudito. Pur essendo decisamente convinta del fatto che “quisque fortunae suae faber est” e quindi razionalmente propensa a credere che la realizzazione dei nostri desideri sia rimessa esclusivamente nelle nostre mani, non nego che emotivamente potrebbe essere allettante ricevere una tale proposta, ma………(e l’autore ce lo dimostra) come risulta poi difficile sceglierne solo uno !
Non solo perché alcune categorie (quelle che sarebbero più gettonate !) sono escluse in partenza dal novero della scelta, ma soprattutto perché pensandoci, i desideri che vorremmo veder realizzati sono sempre molti, e sceglierne uno solo è complicato. Già su questo primo elemento ci sarebbe molto su cui riflettere: viviamo una vita così deludente che troppe cose dovrebbero realizzarsi per cambiarla……..oppure l’uomo per sua natura non è mai contento di quello che ha ed è portato a desiderare sempre qualcosa in più ? Sono interrogativi importanti, e ognuno nella sua coscienza potrà trovare una risposta (non credo che esista una soluzione generalmente valida per tutti), ma intanto Arjouni solleva la questione, prospettandola alla nostra riflessione. E poi: siamo sicuri che occorra proprio l’intervento di altri (fate, fato o uomini non importa) oppure quello che vorremmo sta solo aspettando che ci attiviamo per realizzarlo ?
Tutti questi interrogativi aleggiano durante e dopo la lettura, che si prospetta come un mezzo per rifletterci su, ed il tono umoristico alleggerisce, ma non banalizza, la portata delle conclusioni a cui si può arrivare.
Ho molto apprezzato la scelta dell’autore di collocare l’intervento della fata al termine dei racconti, dedicando la maggior parte delle pagine di ogni storia alla costruzione del personaggio che sarebbe stato beneficiato da tale intervento soprannaturale, perché ciò consente di inquadrare il desiderio espresso (e il conseguente risultato ottenuto) nelle dimensioni appropriate alla vita e alle aspirazioni del protagonista e consente di mostrare (altro elemento su cui riflettere) che spesso ci si può arrendere quando siamo davvero vicini a realizzare da soli un desiderio che è molto più comodo e facile delegare all’intervento altrui.
La morale (se così vogliamo chiamarla) si trova secondo me racchiusa in un passo che si legge a pagina 131: “I desideri sono come la vita, più si cerca di andare in alto, più in basso si può cadere. In ogni caso, secondo la mia esperienza, sono sempre più soddisfatti quelli che esprimono desideri nell’ambito delle loro possibilità”: banale fino al punto di essere addirittura fuorviante e deleteria se la si interpreta come monito a limitare le proprie aspirazioni, ma ragionevole e sensata nel momento in cui spinge a rivalutare e considerare quello che vorremmo a confronto di quello che già abbiamo o che possiamo ottenere con un po’ di impegno in più.
Credo sia facile riconoscersi in alcune delle propensioni di questi personaggi (immedesimandosi nelle loro situazioni), ed altrettanto facile criticarle (estraniandosi da essi), passando attraverso tutti i gradi intermedi che separano l’empatia e la compassione dalla critica e dal giudizio: è naturale, è umano ed è anche utile, se al termine di questo processo abbiamo capito qualcosa in più di noi stessi. L’amore che nutriamo verso i nostri cari è tale che ci porta a superare i limiti che il rispetto per le legittime scelte altrui pone (come la madre del cantante) ? Indulgiamo nell’autogiustificarci attribuendo ad altri colpe che sarebbero invece esclusivamente riconducibili a noi (come il giornalista free-lance) ? Siamo disposti, per debolezza o calcolo, a scendere a patti con i nostri principi quando si prospettano vantaggi di altra natura (come il socio della compagnia pubblicitaria) ?
Infine (e così lasciamo il piano delle riflessioni filosofiche e comportamentali) questa lettura offre anche curiosi spunti di riflessione riguardo ad un argomento che ci interessa come appassionati di libri. Ci sono molte battute tese ad analizzare il significato dei libri, del gradimento che essi suscitano nei lettori e nel mondo dell’editoria, delle aspettative che in essi pone l’autore e dei risultati che può determinare il sacrosanto principio secondo cui tutti i gusti sono gusti. Niente di nuovo sotto il sole, ma ho riso di gusto leggendo la risposta della fata allo scrittore che voleva veder esaudito il suo desiderio di scrivere il romanzo “perfetto”: “…dovrebbe precisare meglio il suo desiderio. Altrimenti […] non sarà esaudito. Né “eccezionale”, né “apprezzato da tutti” e neppure “romanzo”. Perché è vero che esaudiamo i desideri, ma non dobbiamo rimettere in ordine il mondo”. Ed ho riso di gusto anche di fronte al pragmatismo della stessa fata che osserva : “Non le posso promettere che il suo romanzo sia anche amato, dagli uomini, voglio dire, ma se vuole che sia apprezzato dall’ambiente letterario va bene”………….deve trattarsi di fate molto “terrene” se si sono rese conto della crasi che spesso intercorre tra il giudizio dei lettori e quello degli ambienti dell’editoria !
Non solo perché alcune categorie (quelle che sarebbero più gettonate !) sono escluse in partenza dal novero della scelta, ma soprattutto perché pensandoci, i desideri che vorremmo veder realizzati sono sempre molti, e sceglierne uno solo è complicato. Già su questo primo elemento ci sarebbe molto su cui riflettere: viviamo una vita così deludente che troppe cose dovrebbero realizzarsi per cambiarla……..oppure l’uomo per sua natura non è mai contento di quello che ha ed è portato a desiderare sempre qualcosa in più ? Sono interrogativi importanti, e ognuno nella sua coscienza potrà trovare una risposta (non credo che esista una soluzione generalmente valida per tutti), ma intanto Arjouni solleva la questione, prospettandola alla nostra riflessione. E poi: siamo sicuri che occorra proprio l’intervento di altri (fate, fato o uomini non importa) oppure quello che vorremmo sta solo aspettando che ci attiviamo per realizzarlo ?
Tutti questi interrogativi aleggiano durante e dopo la lettura, che si prospetta come un mezzo per rifletterci su, ed il tono umoristico alleggerisce, ma non banalizza, la portata delle conclusioni a cui si può arrivare.
Ho molto apprezzato la scelta dell’autore di collocare l’intervento della fata al termine dei racconti, dedicando la maggior parte delle pagine di ogni storia alla costruzione del personaggio che sarebbe stato beneficiato da tale intervento soprannaturale, perché ciò consente di inquadrare il desiderio espresso (e il conseguente risultato ottenuto) nelle dimensioni appropriate alla vita e alle aspirazioni del protagonista e consente di mostrare (altro elemento su cui riflettere) che spesso ci si può arrendere quando siamo davvero vicini a realizzare da soli un desiderio che è molto più comodo e facile delegare all’intervento altrui.
La morale (se così vogliamo chiamarla) si trova secondo me racchiusa in un passo che si legge a pagina 131: “I desideri sono come la vita, più si cerca di andare in alto, più in basso si può cadere. In ogni caso, secondo la mia esperienza, sono sempre più soddisfatti quelli che esprimono desideri nell’ambito delle loro possibilità”: banale fino al punto di essere addirittura fuorviante e deleteria se la si interpreta come monito a limitare le proprie aspirazioni, ma ragionevole e sensata nel momento in cui spinge a rivalutare e considerare quello che vorremmo a confronto di quello che già abbiamo o che possiamo ottenere con un po’ di impegno in più.
Credo sia facile riconoscersi in alcune delle propensioni di questi personaggi (immedesimandosi nelle loro situazioni), ed altrettanto facile criticarle (estraniandosi da essi), passando attraverso tutti i gradi intermedi che separano l’empatia e la compassione dalla critica e dal giudizio: è naturale, è umano ed è anche utile, se al termine di questo processo abbiamo capito qualcosa in più di noi stessi. L’amore che nutriamo verso i nostri cari è tale che ci porta a superare i limiti che il rispetto per le legittime scelte altrui pone (come la madre del cantante) ? Indulgiamo nell’autogiustificarci attribuendo ad altri colpe che sarebbero invece esclusivamente riconducibili a noi (come il giornalista free-lance) ? Siamo disposti, per debolezza o calcolo, a scendere a patti con i nostri principi quando si prospettano vantaggi di altra natura (come il socio della compagnia pubblicitaria) ?
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