Ho trovato questa recensione e ve la giro...
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Quei conflitti "nascosti" di IVANO BOLLITORE
«NEL 1995 ISMAIL SERAGELDIN, vicepresidente della Banca mondiale, fece una previsione sulle guerre del futuro che ha avuto grande risonanza: «Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l'acqua». Molti segnali fanno pensare che Serageldin abbia ragione. Le prime pagine di quotidiani, riviste e pubblicazioni accademiche parlano di insufficienza idrica in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana e Stati Uniti. Il 16 aprile 2001 il New York Times apriva con un articolo sulla scarsità idrica in Texas. Come Serageldin, il quotidiano annunciava: «Per il Texas, oggi, l'oro liquido è l'acqua, non il petrolio». Se è vero che il New York Times e Serageldin hanno ragione sull'importanza dell'acqua nei conflitti di domani, è anche vero che le guerre dell'acqua non sono un'eventualità futura. Ne siamo già circondati, anche se non sempre sono immediatamente riconoscibili come tali».
Questa citazione dal nuovo libro di Vandana Shiva, una nota scienziata e ambientalista indiana, introduce una delle realtà più misconosciute del pianeta. Abituati a pensare che la crisi idrica, e i conflitti che quasi inevitabilmente ne deriveranno, siano una eventualità futura, non siamo in grado di riconoscere quanto il problema dell'accesso all'acqua - la vera risorsa "vitale", visto che senza di essa non sarebbe stata possibile la vita su questo pianeta - sia attuale. E con esso i conflitti armati. Sono al tempo stesso guerre di paradigmi - conflitti su come percepiamo e viviamo l'esperienza dell'acqua - e guerre tradizionali combattute con armi da fuoco e granate, sostiene la Shiva. Secondo la quale questi scontri fra culture dell'acqua si stanno verificando in ogni società.
«Guerre paradigmatiche sull'acqua», scrive la scienziata indiana, «sono in corso in ogni società, in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud. In questo senso quelle dell'acqua sono guerre globali, in cui culture ed ecosistemi diversi, accomunati dall'etica universale dell'acqua come necessità ecologica, sono contrapposti a una cultura imprenditoriale fatta di privatizzazione, avidità e appropriazione di quel bene comune. Su un fronte di queste contese ecologiche, di queste guerre paradigmatiche, si trovano milioni di specie e miliardi di persone che chiedono quel minimo di acqua necessaria al sostentamento. Sul fronte opposto c'è una manciata di imprese globali, dominate da Suez Lyonnaise des Eaux, Vivendi Environment e Bechtel, e sostenute da istituzioni globali quali la Banca mondiale, la World Trade Organization (Wto), il Fondo monetario internazionale (Fmi) e i governi del G7».
Accanto a queste guerre di paradigma ci sono le guerre vere e proprie, conflitti per l'acqua che si combattono a livello regionale, o all'interno dello stesso paese o della stessa comunità: «Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla contesa sulle scarse ma vitali risorse idriche. In alcuni conflitti il ruolo dell'acqua è esplicito, come nel caso della Siria e della Turchia, dell'Egitto e dell'Etiopia. Ma molti conflitti politici sulle risorse sono celati o repressi. Chi controlla il potere preferisce far passare le guerre dell'acqua per conflitti etnici e religiosi». Si tratta di coperture facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società pluralistiche che presentano una grande diversificazione di etnie, lingue e usanze. Per esempio, nel Punjab una delle ragioni del conflitto che negli anni Ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. Poi gli eccidi e gli scontri sono stati attribuiti alla rivolta sikh. «Queste rappresentazioni fuorvianti delle guerre», sostiene la Shiva, «svuotano di energia politica la ricerca di soluzioni eque e sostenibili ....
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VANDANA SHIVA
Le guerre dell'acqua
FELTRINELLI 2003
128 pagine - 13,5 euro
Vandana Shiva, LE GUERRE DELL'ACQUA
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Se non avessi lei, non so che cosa mi resterebbe. Anzi, si che lo so. E non mi servirebbe neanche una cassa per mettercelo dentro.