
Dunque, ci ho messo un po', ma in questa domenica di fine febbraio ad assetto climatologico variabile ho terminato I miserabili del buon Victor Hugo.
Non nego di essere rimasto affascinato da due figure, che trovano nella morte, seppur in circostanze diverse, una sorta di redenzione totale dal mondo che li circonda. Il primo è ovviamente Jean Valjean, con la sua entusiasmante parabola umana, la sua ascesa dagli abissi del Male (ma, in fondo, cos'avrà fatto di così grave? neanche fosse il nostro premier...) alla sommità del Bene. Da Digne e le Alpi francesi alla capitale, percorrendo la spina dorsale della Francia. Jean Valjean è quello che a volte vorrei essere: indistruttibile, generoso, forte fisicamente e d'animo, teso ad aiutare il più possibile le persone in cui crede. L'atto della confessione a Marius nelle pagine finali lo rende ancor più grande, di fronte soprattutto alla piccolezza morale dei personaggi che gli stanno attorno. Il secondo è Javert, che mi ha lasciato un'impressione tutto sommato positiva: è vero che perseguita con accanimento Jean, ma lo fa solo in nome di un ideale di giustizia terrena di cui si erge a rappresentante. Quando però rinuncia definitivamente ad arrestarlo, dimostra la grandezza che hanno solo certi vincitori: ha catturato la preda, ma la lascia andare, riconoscendo che la sua vittima preferita gli ha comunque salvato la vita. Piuttosto che cedere alla tentazione di arrestare definitivamente Valjean, Javert preferisce buttarsi nella Senna.
In compenso la squallida immoralità e furfanteria di Thenardier spicca lungo il corso del romanzo. Thenardier è odioso addirittura più di Uriah Heep o Bounderby nei romanzi dickensiani: viscido, traditore, falso e violento. Eppure alla fine sarà quello che riuscirà ancora a sopravvivere, andando oltreoceano, con una sostanziosa buonauscita economica da parte di Marius, e rifacendosi una vita come negriero. Però Thenardier è anche uno sprovveduto ignorante e lo dimostra il modo in cui, involontariamente, permette a Marius si sapere la verità su Jean Valjean.
Già... e Marius e Cosette, con la loro storia d'amore a lieto fine, con tanto di nozze fastose? Marius inizialmente mi stava simpatico, ma alla fine mi ha deluso nell'atteggiamento di fronte alla confessione di Jean Valjean. Cosette, la brava, piccola e dolce Cosette, si trasforma in una stupida viziatella subito dopo le nozze ed è memorabile inl modo in cui l'autore evidenzi, attraverso alcuni discorsi diretti, questa trasformazione. La buona fanciulla diventa in poche righe una cretina da competizione.
Un meraviglioso affresco storico di un'epoca complessa come la Restaurazione, dove le vicende di persone a loro modo misere si intrecciano con avvenimenti più grandi di loro. Si parte da Waterloo (benché il romanzo inizi in realtà in un periodo successivo), con pagine tutt'altro che leggere sulla battaglia che segnò il destino di Napoleone, e si arriva al 1833. Ogni digressione però non risulta mai fine a sé stessa: se sui campi di battaglia belgi compare proprio il furfante Thenardier che "salva" la vita al padre di Marius, anche le lunghe tiritere sui conventi, sui monelli, sulle fogne parigine o su Luigi Filippo hanno sempre lo scopo di introdurre il lettore nell'ambiente che sta per visitare. Nulla è lasciato al caso e una galleria di personaggi entra ed esce dal romanzo con tecniche da far invidia ai migliori sceneggiatori: quelli sopra descritti non sono che una minima parte potrei starci delle ore a descrivere le mie impressioni sulle figure incontrate, dal vescovo di Digne agli idealisti dell'ABC fino al curioso reazionario Gillenormand.
Imperdibile!