Perché ho cominciato da Chandler? Non lo so, forse i titoli mi hanno attirata. Li trovo davvero belli e d'effetto, tutti e due.
All'inizio ho avuto qualche problema. Leggevo e ridacchiavo e mi dicevo "Sembra scritto come un noir degli anni 40". Il problema è che sono noir degli anni 40!
Ho fatto uno sforzo iniziale per accettare che quelli che sono diventati luoghi comuni della satira siano stati (e siano tuttora) anche, e soprattutto, gli stilemi caratteristici di un genere letterario.
Parlo di un tipo di linguaggio e di situazioni che sono ormai diventati più che familiari a tutti grazie alle infinite ripetizioni e plagi di autori poco fantasiosi e alle scarse esigenze di lettori che si accontentavano di ritrovare per l'ennesima volta semplicemente le "atmosfere" del noir.
Se non avete letto questi due libri e desiderate farlo, se, inoltre, trovate spiacevole avere troppe notizie in anticipo allora è meglio che ignorate il post!
Marlowe, il protagonista di questi due romanzi è un ispettore privato.
E' deciso, intraprendente, violento ma solo se serve, galante con le donne (presso cui, tra l'altro, riscuote un discreto successo), sa stare al mondo e sa come trattare gli sbruffoni e i pavidi, i ricchi e i morti di fame.
Insomma il problema di Marlowe è che non sbaglia mai un colpo.
Chandler mette spesso in bocca al suo personaggio queste parole: "non sono come Sherlok Holmes, non capisco tutto dalla cenere di una sigaretta".
Tuttavia anche Marlowe a volte arriva a delle conclusioni che mi sembra escludano il lettore. Ma questa potrebbe essere una scelta stilistica. O forse io mi sono sentita esclusa perché sono un po' tonta...
Nonostante Marlowe sia decisamente un eroe (anche nella sua negatività) ho letto con piacere tutti e due i romanzi.
Ma la mia preferenza va senz'altro a Il lungo addio.
Le due storie si somigliano abbastanza, sotto certi aspetti. Anche la tipologia dei personaggi è piuttosto omogenea.
Ci sono prepotenti, donne e uomini perversi, donne gelide, affascinanti nella loro assenza, violenti sopraffattori, poliziotti corrotti.
Ciò che, secondo me, rende davvero notevoli i romanzi di Chandler (almeno questi due) è la storia di un'amicizia, di una fedeltà quasi irrazionale che Marlowe non può fare a meno di provare nei confronti di un altro uomo: del tipo coi capelli bianchi ne il lungo addio, del vecchio generale nel grande sonno (vecchio generale che a sua volta è tenuto in vita da un unico sentimento positivo: la solidarietà affettuosa che prova per l'ultimo marito di sua figlia, un ex contrabbandiere irlandese dal passato poco pulito ma dallo sguardo franco, dal cuore semplice).
Questo trasforma Marlowe ai miei occhi in un personaggio superiore alle sue caricature: un senso dell'onore quasi donchisciottesco, un attaccamento disperato a quelle cose che danno senso alla vita, anche se sembrano illogiche e prive di utilità.
Marlowe rischia la vita e la carriera per difendere qualcosa di vicino ad un amico, un uomo che ha conosciuto in circostanze bizzarre e che ha ritrovato qualche volta al bar. E addirittura non difende un uomo vivo, ma la memoria di un morto.
Questo cacciarsi nei guai per salvare un nome, il ricordo di una persona, lo trovo grandioso.
Chandler è bravissimo a descrivere tutti i riti con cui Marlowe prende commiato dal suo amico. Un amico che, paradossalmente, sembra aver scoperto solo dopo la sua morte.
Era quasi uno sconosciuto. Finché non gli ha chiesto aiuto. Da quando si è rivolto a lui, si è affidato a lui, Marlowe non può più abbandonarlo, nemmeno se è morto.
Nemmeno se non ha senso per nessun altro all'infuori di lui.
Chandler esplora tutte le sfumature di questo strano sentimento, ancor più strano nel momento in cui è attribuito ad un uomo abituato a lottare per salvarsi la vita.
E quando anche il lettore orami è prima incuriosito e poi affezionato a quell'uomo strano dal viso sfigurato e dai capelli bianchi arriva, dolorosissima, la fine. Non un colpo di scena. Lo sospettiamo già, ma non vogliamo crederci, come Marlowe.
Fa male vedere qualcuno approfittarsi della nostra tenerezza, della nostra sensibilità. In particolare le persone a cui abbiamo finito per legarci.
L'uomo strano ribussa alla porta. Ha un altro viso, è venuto a ringraziare. Ma per Marlowe sarebbe stato meglio se fosse morto davvero.
Il lungo addio è di diversi anni successivo a Il grande sonno. Ne il grande sonno probabilmente Chandler sperimentava ancora.
La fedeltà che Marlowe sente nei confronti del vecchio militare non mi appare sufficientemente motivata. Va bene il donchisciottismo ma è difficile farsi ammazzare per una vaga simpatia. O per semplice curiosità. Mi sembra che qui Chandler ceda un po' al "superominismo" del suo personaggio. E' come se, sapendo che il suo autore non lo farà morire, Marlowe si senta autorizzato a rischiare la sua vita anche per uno scontrino sbagliato al supermercato.
Più interessante mi sembrava invece il rapporto tra il vecchio e suo genero. Un affetto di cui il vecchio quasi si vergogna ma che è un affetto ocmprensibile. Non ha nessuno al mondo, ha perso la stima nelle sue due figlie (non gli si può dare torto) e l'irlandese dalla faccia allegra con cui si può fare una partita a carte diventa l'unico destinatario di quel po' di affetto che è rimasto nel suo cuore stanco.
L'altra cosa ben raccontata ne il grande sonno è il breve incontro con la donna di eddie mars. Quella che Marlowe chiama Parrucca Bionda. Certo, col nome poteva sforzarsi un po' di più. Ma quando il libro finisce e l'indagine ha termine è di lei che si ricorda il lettore. Ed è per lei l'ultimo pensiero di Marlowe "davvero, non l'ho più rivista".
Avete qualche altro titolo di Chandler da consigliarmi? Credo che nel complesso sia un buono scrittore. Un po' misogino forse... : )
scusate, al solito mi è "scappata la mano"
