In questo libro Mazzantini racconta la sua scelta dopo l’8 settembre di combattere come volontario con le camicie nere. Viene inviato in Valsesia e rischierà la fucilazione.
Premesso che per chi, come me, è stata cresciuta a “pane e Resistenza” è un libro difficile da affrontare, credo che comunque debba essere letto per cercare di capire come si è potuto scegliere di combattere per chi ha portato allo sfascio il proprio paese. Mazzantini descrive lui e i suoi compagni come giovani idealisti imbevuti degli ideali del fascismo (neanche ventenni avevano vissuto in famiglie profondamente fasciste e quindi avevano conosciuto solo la retorica e i miti del regime) che vogliono continuare a combattere per il proprio Duce. Si presentano agli ufficiali tedeschi e, invece di affrontare gli Alleati, vengono inviati in sperduti villaggi del Piemonte a combattere contro i partigiani da loro considerati vigliacchi e traditori. Il loro motto è cancellare il Piemonte dalle carte geografiche (e queste pagine sono state molto dure da leggere perché pensavo alla dura repressione patita dalla mia città Cuneo e dalla sua provincia) e tolgono lo stemma dei Savoia perché nutrono per il re un profondo disprezzo. Tutta la retorica fascista subisce un primo colpo alla prima fucilazione di civili: anche se non vi partecipa personalmente, questi civili uccisi perseguitano la memoria di Mazzantini e dopo anni, quando ritorna in quel paese, va a cercare la lapide e si immagina la vita di queste persone comuni e normali uccise senza colpa. Ma i sensi di colpa a quel tempo venivano spazzati via dalla notizia di compagni uccisi. Tutta la gloria che questi giovani sognavano si riduce alla caccia a italiani in paesi dove l’odio nei loro confronti è palpabile: percepiscono il disprezzo dallo sguardo di questi paesani, dai loro discorsi che si interrompono quando entrano nei locali e a cui reagiscono con sfrontatezza e con le loro retoriche canzoni e ideologie. E poi la sconfitta e l’arresto: la consapevolezza di dover morire e poi l’incredulità di essere rilasciato. Dopo anni tornerà a cercare l’anarchico che ha contribuito a evitargli la fucilazione.
Tristi e amari sono i ricordi di chi ha combattuto dalla parte sbagliata: recriminazioni tra ex camerati e personaggi che vogliono nascondere il proprio passato.
Lo stile di scrittura è pesante e a volte noioso, ma riesce comunque a rendere l’ideologia di cui erano imbevuti questi giovani (battaglie, onore e virilità) senza che trapeli mai il dubbio o l’insofferenza verso il regime.
Credo che sia il primo libro che leggo di un camerata e, pur sforzandomi di comprendere il clima culturale in cui viveva un adolescente nel ‘43 in una famiglia fascista e in una società fascista, non riesco comunque a capire la cecità nei confronti di un regime repressivo e violento che aveva portato l’Italia a una guerra disastrosa a fianco di un dittatore folle e sanguinario.
A cercar la bella morte - Carlo Mazzantini
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