Un giornalista italiano viene inviato in Perù e in una sperduta fazenda intervista un suo connazionale. L’uomo gli racconta il perché della sua scelta di vivere in un posto così isolato. Dopo la seconda guerra mondiale, il narratore ritorna a casa dopo un anno di fronte e tre anni come prigioniero ma è sconcertato dal mondo che trova. I suoi familiari così borghesi sono felici di non trovarlo cambiato e lui si chiede come possano pensarlo e come non si accorgano delle terribili ferite che questa tragedia ha lasciato su tutti i reduci. Tutta la sua famiglia è ansiosa di sapere che cosa avrebbe voluto scrivere dopo la “famosa” lettera: famosa perché recitava “ho visto in questi ultimi giorni molte cose sulle quali sto riflettendo. Non so nemmeno se saprò ripetertele o se sarà conveniente. Ti scriverò ancora”. La prigionia però gli ha impedito di scrivere e ora i suoi familiari vogliono sapere. All’inizio è titubante perché si rende contro che non capiranno, ma poi racconta di Petriccione, Ognibene e Salvini e della loro scoperta poco prima di morire dell’amore per la verità. I suoi familiari non vogliono capire e bollano questi personaggi come irresponsabili e al narratore sembra che muoiano di nuovo e ancora inutilmente come nel deserto dove erano stati mandati a combattere. “Tutti e tre mi avevano insegnato quanto sia inebriante la verità e come, a modo loro, senza quasi accorgersene, fossero stati felici per averla avuta un attimo fra le mani, sulle labbra, nel cuore.”
Un breve racconto molto bello ed è molto originale l’idea della ricostruzione di una lettera aspettata per anni raccontando ai propri familiari sconcertati le proprie emozioni vissute anni prima.
Una lettera dal deserto - Enrico Emanuelli
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