Questo bellissimo libro è un tremendo pugno nello stomaco: un bambino di un paese africano descrive una guerra civile, di cui non si conoscono i protagonisti e le motivazioni, raccontando la sua terribile esperienza di bambino soldato. Lui viveva bene nel villaggio prima della guerra: era un bambino felice, con una famiglia, con gli amici, con la passione per la lettura ma poi arriva la guerra e viene costretto ad arruolarsi come soldato dal Comandante. Deve imparare a uccidere, se non vuole essere ucciso: lui è un bambino, il fucile era un gioco ma adesso è diventato la sua realtà e non può avere pietà: uccide, fa e subisce violenze, la sua vita è un inferno ma non può scappare e si rifugia nella speranza di ritrovare la madre e la sorella e nei ricordi felici.
Il romanzo è un atto di accusa contro le violenze sui bambini costretti ad uccidere invece di vivere la propria infanzia ed è molto particolare il linguaggio: il traduttore spiega di aver cercato di rendere lo strano e sgrammaticato inglese originale reiventandolo; si è ispirato all’italiano parlato dai nigeriani residenti in Italia (connazionali dell’autore).
All’inizio è sconcertante , ma dopo poche righe ci si abitua.
Vi trascrivo questo pezzo che rende l’idea del linguaggio e del libro:
“Sudore continua di farmi bruciare occhi. Adesso c’è molto caldo perché sole mi batte dietro e scalda fucile così tanto che sembra ferro bollente su mia schiena. Io sa che lui lascia marchio e mi brucia schiena perciò io sembra mucca e appartiene a padrone che è fucile. Io diventa triste quando sente fucile su schiena perché pensa che prima, quando questa guerra comincia, io vuole fucile perché può usarlo per proteggermi. A quello tempo, fucile appartiene a me e va dove io lo porta ma adesso lui viaggia su mia schiena come se è re e io è servo che fa tutte cose che lui dice.”
Bestie senza una patria - Uzodinma Iweala
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