Un pugno allo stomaco. Questa è la definizione più calzante per il libro di Selby. Nessun compromesso, nessuno sconto. Un quadro reale della Brooklyn degli anni 50, tracciato da un uomo che ha veramente vissuto quei luoghi, vissuti con l’inconsapevolezza di chi c’è dentro. Soltanto ad anni di distanza, quando ha – secondo quanto lui stesso racconta – subito l’urgenza di scrivere, si è reso conto di quale bagaglio d’esperienza quel pezzo di vita rappresentasse. L’ha buttato giù così, tra brevi racconti alla Bukowsky e altri di più ampio respiro e dai risvolti più complessi come “Lo sciopero” e “Vicinato”. Perle assolute che lasciano riflessioni amare, sgomento e orrore. Passaggi di un’intensità rara, descrizioni psicologiche sconcertanti attraverso un linguaggio che, intriso di gergo, valica i confini della narrazione tradizionale.
Bellissimo, terribile, da leggere se si vuole carpire un pizzico di verità americana.
Opinabile a volte la traduzione, impacciata, quasi imbarazzata dinanzi ad alcune espressioni, poco duttile e zoppicante nell’associazione delle corrispettive espressioni italiane. Funziona meglio nella seconda parte del libro, dove il gergo è meno centrale nella narrazione.
Ultima fermata Brooklyn - Hubert Selby Jr.
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