Federico Rampini - L'impero di Cindia

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zazie
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Federico Rampini - L'impero di Cindia

Messaggio da zazie »

Federico Rampini, L'impero di Cindia, Mondadori 15 euro

Quello di Federico Rampini è prima di tutto un viaggio nei nostri pregiudizi, quelli che ci impediscono di cogliere una realtà in mutamento che sta già producendo i suoi frutti, buoni o cattivi che siano.

Si parla di Cindia: come Cina e India, le due potenze economiche che sono pronte a conquistare il mondo scalzando le egemonie tradizionali.

Partiamo dall’India per scoprire, ad esempio, il distretto di Bengalore, la Silicon Valley indiana dove non si produce hardware sottocosto ma si disegnano software e carrozzerie ad elevatissimo valore tecnologico.

Secondo pregiudizio abbattuto: gli studenti indiani considerano Harvard una seconda scelta, nel loro paese esiste una serie di poli universitari che hanno guadagnato l’eccellenza.
Non solo il numero di laureati indiani è nettamente superiore a quello dei paesi ritenuti avanzati, ma le occasioni di impiego non mancano dato che le maggiori imprese americane ed europee scelgono di investire qui le loro risorse. Certo, un ingegnere indiano costa meno ma, sorpresa, spesso è anche più capace*.

L’immagine un po’ fricchettona di un paese ammalato di spiritualità cozza brutalmente con i casi portati ad esempio da Rampini, e non è tutto.
Perché l’India è anche la più grande democrazia del mondo, con una percentuale di affluenza alle urne superiore a quella degli Stati Uniti (ok, qui non ci vuole molto) e una dialettica tra le grandi religioni che le consente di avere primo ministro, presidente e capo del maggiore partito politico di tre religioni diverse.

Il tutto accanto alla sopravvivenza delle caste, a un sistema sanitario inefficente, alla scarsità di infrastrutture e alla più che migliorabile distribuzione delle ricchezze.

Se nonostante questo i primi capitoli, dedicati all’India, sono tutto sommato all’insegna della positività, quelli riservati alla Cina non possono che destare turbamento.

Il gigante cinese appare come un mostro dominato dal pericoloso abbraccio tra capitalismo e autoritarismo.
Qui, davvero, troviamo gli operai letteralmente incantenati alla macchina, schiavi senza via d’uscita di un sistema che stritola ogni dissenso.

Gli aneddoti non mancano e nessuno di essi è piacevole. Ma Rampini avverte: la leggitima preoccupazione per la tutela dei diritti umani non può essere usata come scusa per un ritorno al protezionismo.

Perché, come spiega bene l’autore, quella di Cindia non è solo una minaccia, è un’occasione che l’Occidente deve saper cogliere per cambiare. Imporre dazi per proteggere l’industria locale non farà che rallentare un processo irreversibile e non riuscirà sicuramente a cambiare le condizioni degli operai cinesi.

Abbiamo di fronte delle culture millenarie che stanno riprendendo la posizione di primo piano che hanno avuto in passato. Abbiamo due scelte: nascondere la testa sotto la sabbia, oppure guardarle negli occhi.

Il giudizio complessivo sul libro è più che buono. Rampini riesce a insinuare qualche dubbio nelle nostre, spesso stolte, certezze.

Apedit: sull'argomento Cina consigliato anche lo scambio epistolare tra il giornalista Will Hutton (liberal) e l'economista Meghnad Desai (laburista) apparso sull'ultimo numero di Internazionale (grazie a Pelo per segnalazione)
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