Molto forte, incredibilmente vicino - Jonathan Safran Foer

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Towandaaa
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Molto forte, incredibilmente vicino - Jonathan Safran Foer

Messaggio da Towandaaa »

Parafrasando alcune espressioni che ricorrono in questo romanzo, potrei dire che questa lettura mi ha lasciata comunque “con le scarpe pesanti”, anche se non mi sento totalmente di definirla una lettura “da un milione di dollari”.
Quello che è certo è che difficilmente ho trovato tanta intensità di sentimenti anche contrastanti ma sempre ben armonizzati in un romanzo che trae spunto da una tragedia di immani proporzioni (quella dell’ undici settembre 2001, a cui assommare i bombardamenti della guerra e la strage di Hiroshima) ma che non si lascia andare ai toni patetici, banalmente struggenti, meramente strappalacrime, in cui si rischia sempre di cadere quando si esaminano i risvolti personali di drammi storici realmente accaduti. E’ un romanzo toccante, commovente e lacerante, senza dubbio, ma non retorico, patetico o struggente in senso deteriore. E l’autore ha dimostrato un grande abilità nell’affrontare coraggiosamente un tema così difficile dando alla narrazione un taglio non politico né sociologico ma semmai intimo e introspettivo, perché l’attenzione si focalizza sui risvolti personali e individuali
Ne viene fuori un quadro in cui sono accomunati nello stesso destino vittime e superstiti delle guerre di ogni tipo, al di là delle dimensioni di spazio e tempo in cui tali avvenimenti possono essere classificati. Ma la nota dominante di questo romanzo, secondo me, è che tra i tanti sentimenti descritti spicca per la sua assenza l’odio nei confronti dei responsabili di tanto dolore. I superstiti (che sono a loro volta vittime per la perdita subita) sono infatti mossi non dal rancore o dall’odio che spinge alla rivalsa, ma da un istinto di conservazione non egoistica, di ricerca di un senso che li porti ad accettare quanto accaduto, a recuperare per quanto possibile il ricordo e gli insegnamenti di chi è mancato loro troppo presto. Significativa in tal senso, una tra le molte frasi toccanti di Oskar: “cercarla mi ha permesso di stargli vicino ancora un po’”: perché secondo me la ricerca condotta dal bambino non era dettata tanto dalla curiosità di trovare la serratura da poter aprire con la chiave rinvenuta tra le cose del padre e scoprire l’eventuale contenuto, quanto dalla volontà di scoprire in qualcuno dei Black che andava ad interrogare una persona che avesse conosciuto per qualsiasi motivo il proprio padre e potesse offrire al bambino un ricordo, un episodio da aggiungere a quelli che Oskar già conosceva, con l’intento di approfondire il ritratto del padre grazie ai contributi altrui (nell’impossibilità di farlo personalmente a causa della morte prematura).
Durante le sue ricerche, Oskar si imbatte in una serie di personaggi davvero singolari, a volte addirittura bizzarri: più volte mi sono ritrovata a chiedermi se fossero davvero così (magari perché “scossi” in qualche modo dall’impatto della tragedia dell’undici settembre sulle loro vite), oppure se le loro “stranezze” fossero il risultato del fatto che il lettore li osserva attraverso gli occhi e il racconto di Oskar, che inevitabilmente finisce per trasfigurarli. Ma forse non mi importa veramente conoscere la risposta a questo interrogativo, perché tutta questa storia si presta anche ad una interpretazione in chiave simbolica, nei toni quasi della favola in cui finiscono per apparire credibili anche personaggi che razionalmente non apparirebbero tali. Così, ad esempio, i due personaggi che hanno allestito il “museo” del proprio coniuge, come la signora che vive sulla sommità dell’Empire State Building, mentre da un lato possono apparire irreali (o surreali), dall’altro si fanno apprezzare in quanto portatori di una istanza comune, anche se realizzata in termini diversi (e a costo di fingere con se stessi): quella di possedere/conservare/custodire la persona amata nella sua entità oppure attraverso i segni e i ricordi del suo passaggio in questa vita.
Lo stesso Oskar peraltro si rivela un personaggio del tutto fuori dal comune: inizialmente ho avvertito una forte somiglianza tra lui e Christopher (il protagonista de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon), sia perché sono entrambi bambini introversi che si trovano a condurre con l’unica arma della fantasia una indagine più grande di loro, sia perché intuivo che Oskar fosse in qualche modo affetto da un disturbo simile a quello di Christopher (una forma di autismo), per l’ossessiva ripetitività di alcuni gesti, espressioni, scelte (ad esempio: indossa solo abiti bianchi), per le doti logico-matematiche che dimostra, per il fatto di essere seguito da un analista e per il fatto che sembra frequentare una scuola speciale (lui stesso afferma che quasi tutti i suoi compagni sono affetti da disturbi da deficit di attenzione). A prescindere da questo, comunque, Oskar è un personaggio a cui ci si affeziona, per la sua ingenuità, la sua fantasia, la sua inventiva e per quelle sue “invenzioni” così geniali ma allo stesso tempo irreali in cui solo i bambini possono credere (e in cui lui in particolare trasfonde i suoi desideri e rimpianti più reconditi e sentiti, come se si rammaricasse del fatto che una qualche trovata delle sue non sia stata utilizzabile dal padre per salvarsi ma possa comunque essere di aiuto per altri in futuro). Ma al contempo Oskar mi ha colpita anche per la sua precoce maturità e sensibilità, per le sue intuizioni e le sue scelte di condotta (ad esempio, di fronte a un dolore così forte reagisce in modo molto più maturo e costruttivo rispetto a quanto abbia fatto il nonno anni prima, che aveva scelto la fuga e il silenzio e si era sottratto alle proprie responsabilità pur essendo già adulto) e si finisce per avvertire come propri i sentimenti che lo muovono durante le alterne vicende che vive.
Un piccola nota negativa, a mio giudizio, è quella che riguarda la parte della storia personale dei nonni: nel complesso i loro caratteri e le loro scelte mi sono rimasti più distanti, li ho avvertiti come personaggi un po’ troppo costruiti e, di conseguenza, poco credibili. Tutto ciò ha fatto sì che io mi sentissi molto meno partecipe delle loro vicende rispetto a quanto non mi sia accaduto nei confronti di Oskar e di alcuni degli altri personaggi che si muovono sul piano temporale della ricerca condotta dal bambino.
Ciò comunque non inficia il mio giudizio più che positivo su questo romanzo, del quale ho apprezzato molto anche lo stile e in particolare alcune espressioni veramente poetiche pur nella loro semplicità (solo per fare qualche esempio: “quando la mattina diventava sera mentre sedevo sul divano”; “mi sono tirato su tutta la lampo del sacco a pelo di me stesso”; “quel segreto era il buco al centro di me stesso dove cadeva ogni felicità”). Un menzione a parte merita poi la favola del sesto distretto.
Uno stile che si estrinseca non solo nelle parole (usate con grande abilità, soprattutto se si considera la giovane età dell’autore) ma anche in una serie di altre scelte innovative e di forte impatto sul lettore (fotografie, disegni, crittografie numeriche, sovrascrittura che arriva a rendere il testo illeggibile), sempre dotate di una loro ragion d’essere e mai fine a se stesse, perché illustrano in maniera diretta ciò che forse le parole non avrebbero potuto esprimere, integrandosi con il testo scritto e arricchendolo di nuovi significati, riconducibili al testo stesso oppure anche diversamente interpretabili, a seconda della sensibilità del lettore.
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aly24j
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Messaggio da aly24j »

Anch'io vorrei scrivere qualcosa su questo libro ma...La mia recensione sarà super semplice :oops: : un bel libro, che ti fa ridere, piangere, riflettere e ti sorprende anche con degli effetti "speciali" (foto, disegni che riprendono il testo).
Quando l'ho finito non sono riuscita a metterlo via subito, mi dispiaceva lasciare Oskar (e certe sue battute secondo me esilaranti nonostante le tristezza).
Concordo sulla storia del nonno, personaggio che non mi ha toccato più di tanto.
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Sto leggendo:
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francesina
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Messaggio da francesina »

Lo sto leggendo proprio in questi giorni e mi sto centellinando le ultime pagine :D
Bello, bello, bello! Originale lo stile, l'impianto narrativo con i diversi narratori che si alternano al principale, il piccolo Oskar, che commuove e fa sorridere per le sue battute argute, ma profondamente tristi. La storia che gli racconta il padre una sera, quella del 6° distretto di New York, è un piccolo gioiellino, secondo me.
Nous habiterons une maison sans murs, de sorte que partout où nous irons ce sera chez nous- J.Safran Foer, Extrêmement fort et incroyablement près

E finalmente lui pronunciò le due semplicissime parole che nemmeno una montagna di arte e ideali scadenti potrà mai screditare del tutto. I. McEwan, Espiazione

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