"La puttana del tedesco" - G. D'Alessandro

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Towandaaa
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"La puttana del tedesco" - G. D'Alessandro

Messaggio da Towandaaa »

Davvero un bel romanzo: una storia d’amore intensa, nata e cresciuta tra mille difficoltà ma che dimostra di saper superare tutti gli ostacoli grazie alla tenacia dei due protagonisti. E un contesto storico su cui già sono state scritte migliaia di pagine e prodotti chilometri di pellicola ma che comunque viene descritto con cura, precisione e un realismo tali da far assumere a tratti a questo libro il tono di saggio.
Il lettore si trova così non solo a seguire con crescente partecipazione lo sviluppo della storia tra Ada e Helm, ma anche a ripercorrere dal punto di vista della popolazione civile gli orrori, la miseria e la disperazione che segnarono il confuso periodo del post-armistizio, circostanza particolare di una guerra che comunque, come tutte le guerre, è foriera di morte, distruzione e povertà, ma è anche capace di tirare fuori dalle persone tutto il peggio e tutto il meglio della natura umana.
E sebbene i confini spazio-temporali della storia siano ben definiti, mi è sembrato a tratti di avvertire un anelito di universalità in quegli episodi che per loro natura possono aver luogo in ogni tempo e ovunque e che, certo non a caso, l’autore narra con maggiore delicatezza e lirismo, lasciando intuire ma evitando di scendere nei dettagli. Così facendo, sia la drammaticità dei momenti in cui campeggia la morte, sia l’intimità degli incontri tra i protagonisti in cui dominano l’amore e la passione non risultano affatto sminuiti né attenuati, ma semmai esaltati da espressioni che dicono ugualmente tutto ma con poesia. Segnalo alcuni dei passi che più mi hanno colpita a tale proposito:
- “il sopravvivere aveva ucciso il vivere” (pag. 23)
- “Allora il vento si era rifugiato sulle cime dei monti, per non vedere più, per non sapere più” (pag. 83)
- “straniero ma non estraneo” (pag. 85)
- “Usavano l’eterna chiave del corpo per accedere all’anima. Praticavano l’incolpevole rito della carne per liberarsi, solo pochi istanti, dal pensiero” (pag. 99)
- “Dare un po’ di colpa alle vittime, anche se non ci si crede, aiuta sempre; fa sentire meno arbitro di tutto il destino” (pag. 117)
- “E si chiamava peccato questa gioia che si erano ritagliati” (pag. 140)
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