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> BC Journal <
Il segreto che lievita il discorso di Gerola in questo La casa di Bisorte e lo fa credibile (e voglio dire stabile a livello etico/strutturale, al di là di ogni effimero) è già lì nelle primissime pagine, dove si dice del paesaggio alpino, e della sua lunga storia non solo visibile, come di una terra straordinaria consegnata dal destino, e perciò in essa consacrata, alla morte: Morte dappertutto, insomma. Ma anche vita che sboccia da tutte le parti. La Morte che fa il nido nella vita e la vita che esplode dalla morte. Le mele sugli alberi lungo la strada o i grappoli ancora sulle viti: se la gente non li strappa via per i suoi bisogni, cascano, marciscono in terra e buttano su nuove piante. Un grande turbinare di gente e di esseri, chi va, chi arriva e nessuno che può stare più di un attimo sullo stesso piede, uguale a prima.
Di qui l'avvento di un'avventura poetica in cui si precipita la stessa casualità di un'avventura turistica, sia pure di alto turismo, che si propone di percorrere l'itinerario dei posti e degli appostamenti costruiti lungo il discrimine della catena alpina fra i due schieramenti italino e austriaco della prima guerra mondiale.
Il resoconto, che tale vuole essere, di una semplice gita estiva tra amici, si fa così racconto (di un io collettivo, sospeso tra la vita e la morte e viceversa) e questo si guadagna rapidamente il campo del favoloso o del fiabesco precipitandosi nei due generi congeniali a Gerola e destinati a scorrere paralleli ma anche a rincontrarsi nei punti nodali: l'elegia e l'epica.
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