BIG FISH - Daniel Wallace
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BIG FISH - Daniel Wallace
Ho finito anche questo libro, e devo dire che l' avevo iniziato con molto entusiasmo, e anche se il libro non èper niente brutto (anzi è bello!) è un pochino dedludente nello stile, soprattuto per tutto il parlare che si è fatto del film (che continuo a ripetere ancora non vedo ma che giuro prima o poi riuscirò a vedere). Comunque è interessante leggere con quanta fantasia questo scrittore riesce ad inventarsi delle belle storie.
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
- Miss Piggott
- Olandese Volante
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A me a un certo punto ha cominciato a irritare...
il modo in cui l'io narrante parla del padre: sembrava parlasse del nostro giovane premier
...
mio padre l'eroe, mio padre il grandissimo, mio padre qui e lì...
eccheppalle!
sempre non considerando che anche un bambino di seconda media ha un lessico più forbito di Wallace
se il film è bello deve essere tutto merito del regista
il modo in cui l'io narrante parla del padre: sembrava parlasse del nostro giovane premier

mio padre l'eroe, mio padre il grandissimo, mio padre qui e lì...
eccheppalle!
sempre non considerando che anche un bambino di seconda media ha un lessico più forbito di Wallace

se il film è bello deve essere tutto merito del regista







Il romanzo di Wallace si divide in due narrazioni: quella del padre malato, morente che cerca un legame con il figlio finora mai trovato; quella delle favole del padre, storie impossibili di vita di un uomo straordinario, con poco senso della realtà, grande voglia di scappare e di amare quante più persone possibili senza riuscire ad amarne fino in fondo nessuna.
L'autore, Wallace, non è uno scrittore di romanzi. Scrive racconti su riviste. Nella vita si occupa soprattutto di disegnare magliette, magneti per frigorifero e biglietti d'auguri. E secondo me tutto ciò nel libro si nota.
Wallace è un gran creativo: le immagini che hanno ispirato Tim Burton nel film omonimo sono tutte lì: colorate, magiche, impossibili... oppure oscure, pericolose, affascinanti. Strano che Burton non abbia usato soprattutto queste ultime. L'immagine del cane che mangia dita, futuro e speranze del grigio villaggio è molto bella.
Manca però "il romanzo", l'unità del racconto. Le pagine che narrano la malattia del padre sono abbozzate, ripetitive. Le trovate narrative (immaginare la storia dentro un set cinematografico, nel quale le scene si ripetono parola per parola dopo il classico colpo di ciak) non mi sono proprio piaciute. I personaggi che ruotano attorno al padre e al figlio (la madre, il dottore) sono tristi e basta.
Per fortuna, il capitolo finale: quello che unisce e mescola realtà e fantasia. IMHO le pagine migliori del libro. Non a caso Burton ha traslato questa parte riproducendola fedelmente in pellicola.
L'autore, Wallace, non è uno scrittore di romanzi. Scrive racconti su riviste. Nella vita si occupa soprattutto di disegnare magliette, magneti per frigorifero e biglietti d'auguri. E secondo me tutto ciò nel libro si nota.
Wallace è un gran creativo: le immagini che hanno ispirato Tim Burton nel film omonimo sono tutte lì: colorate, magiche, impossibili... oppure oscure, pericolose, affascinanti. Strano che Burton non abbia usato soprattutto queste ultime. L'immagine del cane che mangia dita, futuro e speranze del grigio villaggio è molto bella.
Manca però "il romanzo", l'unità del racconto. Le pagine che narrano la malattia del padre sono abbozzate, ripetitive. Le trovate narrative (immaginare la storia dentro un set cinematografico, nel quale le scene si ripetono parola per parola dopo il classico colpo di ciak) non mi sono proprio piaciute. I personaggi che ruotano attorno al padre e al figlio (la madre, il dottore) sono tristi e basta.
Per fortuna, il capitolo finale: quello che unisce e mescola realtà e fantasia. IMHO le pagine migliori del libro. Non a caso Burton ha traslato questa parte riproducendola fedelmente in pellicola.
- ilclaudione
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