Cesare Pavese: "Il Carcere"

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franca
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Cesare Pavese: "Il Carcere"

Messaggio da franca »

Questo dopo aver riletto "Il Carcere". E' certo che dopo una rilettura ciò che si è letto non sembra più lo stesso. Si colgono nuovi aspetti, lo si analizza sotto un'altra ottica e se ne trattogono - a seconda dell'età e del momento - considerazioni diverse.
Io ci provo, credo che se non idoneo verrà eliminato dal moderatore: senza problemi.

Tutto, tutto il romanzo, autobiografico fino all'osso, è permeato di misoginia.
Chi ha letto le lettere che Pavese, dal confino, mandava alla sorella Maria, ci ritrova Stefano, la gente del posto, i gesti e, soprattutto, si ritrova tra queste righe, l'eterna sfida di Pavese con se stesso: vincere la solitudine, dominarla, astenersi dal contatto con il mondo per rendere meno doloroso il vivere in solitudine.
Ma si è soli nella misura in cui si decide di esserlo.
Stefano come Cesare, o Cesare come Stefano, forgiati dall'isolamento del carcere, si chiudono in solitudine e temendo che ogni cedevolezza possa poi rendere più doloroso il tornare a stare con se stesssi, si precludono di vivere in maniera "normale" preferendo vivere in modo "singolare". Poi, al culmine del diniego, ecco l'astinenza volontaria pur conservandone, interiormente, un fisiologico quanto dannato bisogno.
Non si può solo possedere carnalmente una donna, non si può pensare che una donna sia solo ed esclusivamente nel momento della penetrazione e poi silenzio: non è questo l'amore e non è questo neanche solo il sesso. C'è una ricerca di sensazioni inifinitesimali che si compenetrano vicendevolmente anche se due corpi vogliono, di comune accordo e assenso, fermarsi a un minore coinvolgimento emotivo.
Ma questo Cesare lo sapeva, e anche Stefano, e per la paura di addentrarsi nel labirinto del cuore si imponeva di fermarsi prima, molto prima perchè, memore di uno svenimento alla stazione dopo aver appreso
che la "donna dalla voce rauca" non l'aveva aspettato al ritorno dal confino - affermava di aver messo, a quel tempo, l'ultima parola al riguardo delle donne.
Così Stefano non vuole amare Elena e continua a fantasticare su ciò che non può possedere: Concia; così Stefano vuole "vincere" Elena ma non sa - da uomo non se ne rende conto - che è Elena a vincere questa partita non presentandosi da lui nell'ultima notte da confinato.
Ecco: lo sapeva ma ha voluto condurre il gioco secondo le regole del suo dolore, della sua sofferenza, della sua ostinata e amata solitudine.
Così fu tutta la sua vita: una ricerca ossessiva di solitudine per il terrore di dover soffrire quando qualcosa fosse venuto a mancare.
Chi ha niente non teme niente.
" Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perchè la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione"
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Yubi40
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Incuriosita ...

Messaggio da Yubi40 »

Ciao franca!
Come mai il commento sulla possibile "eliminazione"? Non capisco e non vedrei il perché. Per il contenuto, per un'eventuale interpretazione non azzeccata? Non so sicuramente valutare, dato che non conosco il libro, anzi, devo ammettere che non conosco neanche Pavese. Mi pare in un certo senso molto triste il punto di vista dell'autore/protagonista ... ma mi incuriosisce. In fin dei conti: la vita, l'amore ... cos'è? :wink:

Posso "passarti" questa citazione dal "Lupo della steppa" di Hesse?
Alla fine dell'opera si trova una "Nota dell'autore" che inizia così:
"Le opere letterarie possono essere intese e fraintese in vari modi. Per lo più l'autore di un'opera non è competente a stabilire in qual punto termina la comprensione dei lettori e dove incomincia il malinteso. Qualche autore ha già trovato lettori per i quali la sua opera era più limpida che per lui stesso. D'altro canto in certi casi anche i malintesi possono essere fecondi" ...
:wink: :wink: :wink:

Spero di leggere presto altre tue recensioni! :yes!:
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zoe
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fraintendimenti....

Messaggio da zoe »

Non ho letto molto di Pavese, tempo fa "Donne sole" (forse era diverso il titolo :oops: ) e a strappi, dolorosi, "Il Mestiere di vivere", dove anche qui ritorna in crescendo questo sua dolorante sofferenza nei confronti delle donne.

Molto bella questa recensione e sono rimasta molto colpita dalla frase finale:
Ecco: lo sapeva ma ha voluto condurre il gioco secondo le regole del suo dolore, della sua sofferenza, della sua ostinata e amata solitudine.
Così fu tutta la sua vita: una ricerca ossessiva di solitudine per il terrore di dover soffrire quando qualcosa fosse venuto a mancare.
Chi ha niente non teme niente.
Yubi, non ho compreso il tuo commento :roll:
Yubi ha scritto:Come mai il commento sulla possibile "eliminazione"? Non capisco e non vedrei il perché. Per il contenuto, per un'eventuale interpretazione non azzeccata?
e sarei curiosa... Cosa non ti torna?
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Yubi40
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Messaggio da Yubi40 »

Quello che "non mi tornava", era il commento inziale di franca
Io ci provo, credo che se non idoneo verrà eliminato dal moderatore: senza problemi.
:think:
suppongo dovuto alla timidezza di franca ... alltrimenti non saprei perché ...
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zoe
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Messaggio da zoe »

Yubi Perfettamente in accordo con te :yes!:
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franca
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Messaggio da franca »

Sì, certo.
Essendo nuova qui, ancora non so benecome muovermi, anche se leggo per documentarmi circa il corretto utilizzo del forum.
Se è ancora lì vuo dire che va bene. Ne sono contenta.
Accetto suggerimenti e "dritte"! :wink:
Grazie.
franca
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Yucatan
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rimembranze

Messaggio da Yucatan »

Mi appello alla mia memoria per scovare dei dati biografici su C. Pavese che mi sembravano alquanto delucidanti sulla sua scrittura:
Pavese non affrontò e subì il confinio perché la polizia aveva trovato a casa sua delle armi che lui non ha usato mai, né ha pensato di farlo, ma ha tenuto nascoste su richiesta della donna che amava, che era invece politicamente impegnata, che se ne liberava per nascondere meglio l'uomo che invece amava lei??
Sempre se i miei 2 neuroni mi aiutano, mi ricordo anche "La luna ed i falò" che mi lasciarono alquanto basita per l'essere fuori di Pavese da una serie di eventi nazionali che sconvolgevano TUTTI.
Non penso sia questo quello che cerco in un poeta!
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franca
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Messaggio da franca »

I tuoi neuroni, sicuramente più di due, non ti tradiscono affatto.
"Subì" il confino per via di alcune lettere - non armi - che furono trovate tra le sue carte, durante una perquisizione, a sfondo politico che intercorrevano tra la donna che lui segretamente amava e un "compagno" che divenne poi il di lei marito.
Lei è la "donna dalla voce rauca" da me citata nel primo post.
"La luna e i falò" è la fine del suo viaggio: sono le sue ultime righe. Lui stesso pensava di aver dato, con quest'opera, tutto quanto era in suo potere - letterariamente - dare.
E' difficile avvicinarsi ed accettare la scrittura di Pavese perchè lui è stato un personaggio scomodo e diffcile.
Per me tutto questo è avvenuto "naturalmente" molto tempo fa e, scoperta con stupore l'affinità, ho cominciato a studiarlo. Così ho compreso la sua storia.
Io, essendone ormai innamorata, ne parlo con troppa enfasi e perciò accolgo sempre di buon grado le osservazioni di chi riesce a "leggerlo" con occhio critico.
Tu invece cosa ti aspetti da un poeta? Non poesia?Questa può scaturire dalle più svariate emozioni. Non trovi?
Io ne ricordo alcune sue di molto belle, altre molto prosate e più difficili da leggere. Magari ne riparliamo. Ok?
Grazie.
Ah...dimenticavo! Per quanto riguarda il suo "essere fuori" ti consiglio "La casa in collina". :yes!: :yes!:

franca
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Yucatan
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calabrese

Messaggio da Yucatan »

Forse è ora che anch'io lo rilegga; devo dire che averlo sentito leggere da un professore di Letteratura italiana a Perugia in puro calabrese, penso di Catanzaro o Vibo Valentia non è stato l'avvicinamento migliore.
Non dico per la parlata in sé, ma perché i "NON" diventavano "NONNO", moby Dick diventata Mibidicchio e decodificare una poesia lascia poco spazio poi alla gradevolezza del testo.
Certamente, da molte situazioni e sentimenti può scaturire la poesia, in genere, io preferisco quando deriva da una azione voluta che da una subita - intendo l'esilio - e da un amore vissuto o desiderato piuttosto che immaginato - come quello per la donna dalla voce rauca, che mi sembra emerga come una gran dritta, ma certamente non innamorata!
Ad ogni modo la bidimensionalità di queste lettere lascia trasparire un oltranzismo che non è nelle mie intenzioni. Poeta per poeta e poesia per poesia potrei essere d'accordo con esattamente il contrario....
rileggerò Pavese!
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