Scandalo e schiamazzi nel pollaio per la supponenza del proprietario del
Milan (oltre che di un centinaio di altre cosucce), il dottor Due Punte,
che si permette di dire ad Ancelotti come deve mettere in campo la squadra
e poi dilaga nella Domenica Sportiva della Rai per approfittare del calcio
e fare un ennesimo comizio fiume a spese degli abbonati. L'invasione di
campo era da squalifica, in una nazione civile. Ma il suo intervento
presidenziale sul Milan è perfettamente legittimo.
Per quale motivo Mister Due Punte non dovrebbe trastullarsi con il proprio
giocattolo? Dove sta scritto che il padrone di una salumeria, o di un club
di pallone, non possa dire ai propri lavoranti come affettare il salame o
come disporsi in campo?
Lo sdegno degli addetti ai lavori, tra i quali anche i più melliflui ed
evasivi questa volta hanno alzato il ditino e fatto "tsk tsk" al povero
Silvio che si era permesso di dire che lui fa quello che vuole con le sue
scatole di Lego, sorge dallo smascheramento dell'equivoco fondamentale del
calcio. Straccia la patetica illusione che la squadra appartenga ai tifosi
e che non sia semplicemente una compagnia di scavalcamontagne dove
l'impresario stabilisce, a propria discrezione, quale copioni si reciti e
quali soubrette sculettino.
Chi oggi starnazza e si scandalizza perché il padrone della salumeria
ordina al commesso di affettare la finocchiona in un certo modo è un
ipocrita o è un salume lui stesso. Lo scandalo non sta nella prepotenza
padronale sul povero Ancelotti che fu assunto - guarda guarda - proprio
dopo uno spuntino a base di pane e salame, come disse Galliani, "lo chef".
Lo scandalo sta nel fatto che il salumiere in questione tratti la nazione
intera, il Parlamento, la propria coalizione con lo stesso atteggiamento
che usa verso il Milan, come se fosse il proprio negozietto privato, e
approfitti della propria doppia (e triplice, e quadruplice, e quintuplice
etc etc) posizione per farsi affettare leggi su misura.
Il Milan è suo e se vuol far giocare la squadra con le piume sul sedere
come la Wanda Osiris, in minigonna come le Veline o in muta di gomma da
subacqueo, lo può fare. L'Italia invece no, non è sua, eppure le reazioni
popolari sembrano dire il contrario.
Lo shock può esistere soltanto per quei poveri tifosi che, onestamente e
disperatamente, continuano a pensare che tra "sport" e "politica" non
esistano incesti, commistioni e reciproche prostituzioni che che il
conflitto di interessi sia un'invenzione odiosa della sinistra, anziché un
veleno che intossica ogni aspetto della vita nazionale, da una banalissima
Domenica Sportiva all'amministrazione della giustizia.
Se qualcuno di loro avesse guardato appunto la Domenica Sportiva del 22
febbraio, ieri sera, avrebbe visto quanto trasparente sia ormai la foglia
di fico e quanto falsa sia la leggenda della "squadra che appartiene ai
tifosi". Ai tifosi appartiene soltanto il diritto costituzionale di
comperare gli abbonamenti, pagare il prezzo del biglietto, dissanguarsi per
acquistare magliette e carabattole sponsorizzate, versare il proprio
tributo alla pay-tv. Poi di ululare o applaudire se la squadra vince o
perde. E basta.
Berlusconi ha il diritto di fare quello che vuole con il Milan.
Come io ho il diritto di astenermi dal fare il tifo per una squadra che lui
adopera come un cartellone elettorale.
V. Zucconi
da "La Repubblica.it"
"ll grande salumiere"
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