Biografia con venature trucide: bookcorsari si parte!
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Biografia con venature trucide: bookcorsari si parte!
Un vago pensierino erotico germogliato nella palude della follia: ecco cos'ero prima di prendere corpo nell'essere più disperatamente sventurato che mai abbia aperto gli occhi su questa terra.
L'intera umanità ha avuto origine da pensieri erotici, ma quello che ha attraversato la mente di mio padre non doveva essere stato condiviso, almeno non fin nel profondo, da mia madre perché lei, dopo avergli detto "grazie tesoro, è stato stupendo" si è alzata, nuda e bella come Eva. Ha cercato la sua borsetta sul comò. L'ha aperta e ci ha frugato dentro.
Ma non erano le sigarette che voleva.
Era un taglierino.
Lui, papà se così si può chiamare chi non ha mai saputo di averti dato la vita, stava ancora cercando le mutande e i calzini finiti sotto il letto quando...
Se non vi piace questo incipit potete proporne un altro a cui sarei felice di agganciarmi.
Ciao da Lisa
L'intera umanità ha avuto origine da pensieri erotici, ma quello che ha attraversato la mente di mio padre non doveva essere stato condiviso, almeno non fin nel profondo, da mia madre perché lei, dopo avergli detto "grazie tesoro, è stato stupendo" si è alzata, nuda e bella come Eva. Ha cercato la sua borsetta sul comò. L'ha aperta e ci ha frugato dentro.
Ma non erano le sigarette che voleva.
Era un taglierino.
Lui, papà se così si può chiamare chi non ha mai saputo di averti dato la vita, stava ancora cercando le mutande e i calzini finiti sotto il letto quando...
Se non vi piace questo incipit potete proporne un altro a cui sarei felice di agganciarmi.
Ciao da Lisa
Ragazzi, vogliono spegnerci il cervello: non lasciamoglielo fare. Go on!
Re: Biografia con venature trucide: bookcorsari si parte!
...insomma, i dettagli potete andarli a leggere sul referto del medico legale, se anche voi nutrite queste curiosità. La maggior parte dello spettacolo che fece svenire la donna delle pulizie, non prima di essersi vomitata addosso, non colpì più di tanto gli uomini della scientifica. Ma quella lingua sezionata in striscioline, ancora attaccate al palato come allegre stelle filanti penzolanti da un balcone, quella sì che diede loro da pensare.Lisa ha scritto:quando...
A loro, e a me.
Ma non precorriamo i tempi, io sono ancora poco più che un glomerulo di cellule lucide in frenetica attività. Stesso impulso, stesso aspetto di formiche a frotte attorno al carapace di un coleottero spiaccicato. Nutrite loro dal palmo di madre Terra, io dal grembo di madre Follia.
-gioRgio-
"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico." (proverbio cinese)
"ma non e' detto che tu sarai in condizioni migliori" (gRg)
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- Spugna
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Re: Biografia con venature trucide: bookcorsari si parte!
-gioRgio- ha scritto:
Terra, io dal grembo di madre Follia.
la quale, in realtà, aveva un nome che nessun cronista, nessun investigatore, riuscì mai a scoprire. Si chiamava semplicemente Emanuela ed era tutt'altro che folle, anche se sulla sua lucidità, sul suo equilibrio psichico ed emotivo lo stesso Freud avrebbe avuto molto da obiettare, credo. Per me, in ogni caso, Emanuela fu Eva, la Donna, la Madre, l'essenza primaria di tutto. Il principio e la fine. Fu Angelo protettore e Furia vendicatrice scagliato contro chiunque osasse anche soltanto sollevare un sopracciglio contro di me.
Ma fu anche un angelo sterminatore. Non tardai molto, nella mia incredibilmente bizzarra infanzia, ad accorgermi di quali forze si agitassero dietro la calma assoluta del suo squardo, dietro le sue parole appena sussurrate a fior di labbra. Dietro il tocco lieve e gentile delle sue dita. Avevo cinque anni quando, beatamente inconsapevole, chiesi, per la prima e ultima volta:
-Chi è il mio papà?
Mamma non mosse un muscolo, non battè neppure le ciglia. Mi fissò immobile e per un istante fu come sel'oscurità l'avesse avvolta. La guardai impietrito e tornai ai miei giochi, vagamente
C'è un tempo per ogni cosa. Adesso è il momento di leggere. Go on!
- Therese
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consapevole della furia che bruciava in quei due buchi neri che erano i suoi occhi. Rammento ancora lo sgomento che provai un pomeriggio a scuola, c'era il ricevimento dei genitori ed io correvo per tutto il corridoio con una canzoncina piantata in testa ed in gola, Emanuela, mia madre, nell'aula, davanti alla maestra che compilava i miei difetti.
Fu un rantolo, un singhiozzo, mi affacciai sull'uscio, la maestra a terra, gli occhi sbarrati, la bocca aperta , la saliva sulla camicetta di seta e mia madre intenta a spezzarle un braccio.
Sollevò appena la testa, Emanuela, mia madre, per dirmi:"
Fu un rantolo, un singhiozzo, mi affacciai sull'uscio, la maestra a terra, gli occhi sbarrati, la bocca aperta , la saliva sulla camicetta di seta e mia madre intenta a spezzarle un braccio.
Sollevò appena la testa, Emanuela, mia madre, per dirmi:"
-...è solo che non ho tempo per leggere.
- Mi dispiace per te.
- Oh, non direi.Ci sono tanti altri modi per passare il tempo.
Giulio vorrebbe replicare che leggere non è "passare il tempo"...
(T. Avoledo)
cinefila integralista
Non inviatemi ring senza avvertire, grazie ^_^
- Mi dispiace per te.
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- Tanelorn
- Olandese Volante
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"Non ti stupire per quello che vedi. Devi guardare, e imparare. Un giorno tu sarai tutto questo, e anche di piu'... Perche' sei il prescelto, e se questa donna non riesce a capirlo, allora e' bene stamparglielo in testa". Se oggi ci ripenso vengo ancora assalito da dubbi... era il delirio di una donna insana o era vero ? Lei aveva incarnato in me qualche suo assurdo pensiero oppure veramente ero qualcuno di speciale? Non lo so... Tuttavia mi sono sempre sentito diverso dagli altri... E poi, appena adolescente, e' successo cio' che mi avrebbe segnato per sempre. La ragazza dai capelli scuri era bellissima, nei suoi occhi neri mi ci perdevo, unico essere di sesso femminile (oltre a mia madre) capace di attirare il mio interesse. Peccato che lei non fosse interessata a me, ma se ne andasse sempre in giro con quel ragazzo... per carita', lui era un bravissimo ragazzo, uno dei pochi che mi difendevano quando tutti mi prendevano in giro perche' avevo solo la madre, e che madre poi (che lei non fosse tanto stabile lo sapevano tutti, seppur stranamente nessuno castigo' mai i suoi eccessi di violenza)... tuttavia io ero gelosissimo del suo stare con colei che desideravo io!! E cosi' pensavo a loro due, e mi immaginavo cose indicibili. In realta' non so se sognavo o se la mia mente rievocava qualcosa che avevo visto e che tentavo di rimuovere, ma spessissimo mi appariva l'immagine di quel ragazzo che tornava a casa dopo una serata con la mia amata, poi dietro di lui appariva un gruppo di figuri incappucciati che, come una strana litania, ripetevano il mio nome, mentre un altro gruppo di figuri incappucciati entrava in casa della dolce morettina, e ad aprire la porta erano sua madre (e dietro di lei c'era mia madre!!)... E poi...
[Non so se vale, in ogni caso io continuo da solo correggendo il post con un'aggiunta, visto che mi e' venuta un'idea che mi piace ;oP !!!]
... e poi come tutti i giorni mi risveglio. L'ospedale psichiatrico che mi ospita si fa sempre piu' stretto, il pastone di cui mi nutro ogni giorno e' sempre piu' schifoso... Io e le mie fantasie siamo sempre insieme, e questa camica che stringe ci lega ancora di piu', madri omicide, sette strane nella mia infanzia di ragazzo "paranormale"... la mente oscurata cerca di illuminarsi con immagini ancora piu' oscure... perche', perche' la mia immaginazione produce queste visioni ? Il dottore, mentre mi imbottisce di sedativo, spesso dice che ---
[Non so se vale, in ogni caso io continuo da solo correggendo il post con un'aggiunta, visto che mi e' venuta un'idea che mi piace ;oP !!!]
... e poi come tutti i giorni mi risveglio. L'ospedale psichiatrico che mi ospita si fa sempre piu' stretto, il pastone di cui mi nutro ogni giorno e' sempre piu' schifoso... Io e le mie fantasie siamo sempre insieme, e questa camica che stringe ci lega ancora di piu', madri omicide, sette strane nella mia infanzia di ragazzo "paranormale"... la mente oscurata cerca di illuminarsi con immagini ancora piu' oscure... perche', perche' la mia immaginazione produce queste visioni ? Il dottore, mentre mi imbottisce di sedativo, spesso dice che ---
"And there's so many many thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
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- Corsaro Rosso
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con una buona terapia i miei problemi si risolveranno.
Che non devo temere le visioni che mi appaiono, ma le devo inseguire, perchè sono loro la chiave della mia guarigione, della mia salvezza... ma esiste salvezza?
Così ecco, che nella stanza bianca,steso sul mio lettino, con mani e gambe legate, la chiamo e lei arriva.
Arriva la mia visione...arriva un pomeriggio di sole, un caldo infernale...
Silenzio per le strade, è l'ora della siesta forse, o forse semplicemente io non ricordo i suoni.
Mia madre è nel portico della casa, e si dondola su una sedia.
Ah ecco un suono... il cigolio del suo dondolarsi.
Un continuo, ed identico rumore....alienante.
Mi guardo introno, vedo le lenzuola stese al sole, dritte, nemmeno un alito di vento a scuoterle.
Riguardo in direzione di mia madre, lei non c'è più....
Un senso d'angoscia m'assale.
La sedia è vuota e continua a dondolare da sola.
Poi un particolare coglie la mia attenzione, ai piedi della sedia eccolo, un temperino sporco di sangue.
Strano, quella visione non mi stupisce, forse perchè...
Che non devo temere le visioni che mi appaiono, ma le devo inseguire, perchè sono loro la chiave della mia guarigione, della mia salvezza... ma esiste salvezza?
Così ecco, che nella stanza bianca,steso sul mio lettino, con mani e gambe legate, la chiamo e lei arriva.
Arriva la mia visione...arriva un pomeriggio di sole, un caldo infernale...
Silenzio per le strade, è l'ora della siesta forse, o forse semplicemente io non ricordo i suoni.
Mia madre è nel portico della casa, e si dondola su una sedia.
Ah ecco un suono... il cigolio del suo dondolarsi.
Un continuo, ed identico rumore....alienante.
Mi guardo introno, vedo le lenzuola stese al sole, dritte, nemmeno un alito di vento a scuoterle.
Riguardo in direzione di mia madre, lei non c'è più....
Un senso d'angoscia m'assale.
La sedia è vuota e continua a dondolare da sola.
Poi un particolare coglie la mia attenzione, ai piedi della sedia eccolo, un temperino sporco di sangue.
Strano, quella visione non mi stupisce, forse perchè...
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La farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo il suo breve tempo le basta
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Blog: ~ Il Tempo delle Farfalle ~
La farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo il suo breve tempo le basta
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Blog: ~ Il Tempo delle Farfalle ~
cominciavo ad abituarmi...salii le scale lentamente, gradino dopo gradino.
Piu' salivo e piu' le pulsazioni aumentavano. Ero intriso di un misto di paura ed eccitazione. Quasi non respiravo piu'.
Seguii la scia di sangue che, come per molte altre volte, portava invariabilmente alla camera da letto di Emanuela. Ormai era tempo che non pensavo piu' a lei come a mia madre piuttosto era diventata la mia inseparabile compagna di quei terribili e affascinanti giochi.
Mi affaciai lentamente presagendo gia' lo spettacolo che si sarebbe offerto ai miei occhi. Emanuela era china sul corpo della vicina, il sangue era dappertutto. Non parlo', non disse nulla. Mi guardo' con quei suoi occhi lucidi e imploranti. Mi porse il temperino. Era caldo, viscido e appiccicoso.
Lo strinsi nel pugno, forte, talmente forte che le dita scrocchiarono sinistramente mentre il calore mi invadeva. Dall'inguine si diffondeva piacevolemente per tutto il corpo risalendo la spina dorsale. Era una sensazione languida, dolce e purtuttavia terribilmente eccitante.
Mi chiani sul quel che restava della vicina e...........
ps
Non e' che per caso ho esagerato un tantino??????
Piu' salivo e piu' le pulsazioni aumentavano. Ero intriso di un misto di paura ed eccitazione. Quasi non respiravo piu'.
Seguii la scia di sangue che, come per molte altre volte, portava invariabilmente alla camera da letto di Emanuela. Ormai era tempo che non pensavo piu' a lei come a mia madre piuttosto era diventata la mia inseparabile compagna di quei terribili e affascinanti giochi.
Mi affaciai lentamente presagendo gia' lo spettacolo che si sarebbe offerto ai miei occhi. Emanuela era china sul corpo della vicina, il sangue era dappertutto. Non parlo', non disse nulla. Mi guardo' con quei suoi occhi lucidi e imploranti. Mi porse il temperino. Era caldo, viscido e appiccicoso.
Lo strinsi nel pugno, forte, talmente forte che le dita scrocchiarono sinistramente mentre il calore mi invadeva. Dall'inguine si diffondeva piacevolemente per tutto il corpo risalendo la spina dorsale. Era una sensazione languida, dolce e purtuttavia terribilmente eccitante.
Mi chiani sul quel che restava della vicina e...........
ps
Non e' che per caso ho esagerato un tantino??????
Anche per perdere bisogna sapersi battere- Jean Claude Izzo
...ed all'improvviso la sua mano sulla spalla che mi scuote! La mano del dottore. Puntuale come tutte le volte che l'incubo mi assale. Già incubo. Inutile protestare che questa forse è LA visione, la strada della mia salvezza; inutile recriminare le raccomandazioni del dottore a lasciar correre i miei pensieri per trovare la chiave della mia verità. Nessuna visione, nessuna premonizione!
"Questo è il tuo peggior castigo piccolo!"
Così mi sveglia sempre il dottore che, qui in basso, legato mani e piedi al freddo giaciglio, mi appare come una scultura di marmo, avvolto nel suo camice bianco, come una di quelle statue che, da bambino, dal basso del tuo metro e venti osservi e ti sembrano alte chi sa quanto. E lui è lì con il suo sguardo quasi paterno, di quelli che a me la mamma non mi ha dato l'opportunità di conoscere, quasi preoccupato e chino sul lettino del piccolo figlio che di notte si sveglia all'improvviso.
"Questo è il tuo peggior castigo piccolo!" E con fare lento e parsimonioso mi disinfetta l'incavo del braccio, avvolge il freddo laccio emostatico attorno al bicipite e con delicatezza buca una delle poche vene rimasta pervia, sopravvissuta a tutte quei "viaggi" a cui la mamma mi sottoponeva quotidianamente negli ultimi anni.
Nessuna visione era necessaria per trovare la chiave della propria salvezza. Aveva già pensato a tutto la cronaca nera e la TV.
Già il dottore esce, con in mano la siringa dispensatrice di quiete e sonno, e non può non rabbrividire un'altra volta all'idea di quali atroci immagini possano popolare la mente del piccolo ogni volta che le palpebre lo isolano dal guscio bianco della cella di isolamento e lo riproiettano nel festival della morte di cui si era reso fautore.
Ancora se lo vede il titolo a nove colonne in cronaca locale "Giovane dodicenne uccide la madre con 3 colpi di bisturi", e la macabra foto di Emanuela riversa in un immenso lago di sangue. Tre colpi netti e precisi: femorale, ventricolo sinistro e carotide. Con precisione da chirurgo il piccolo toglieva alla madre ciò che lei aveva tolto a suo padre.
Ma nessuno, neanche la cronaca e la TV si era mai accorto di quel particolare che solo il medico legale scoprì: la lingua sezionata in striscioline, ancora attaccate al palato come allegre stelle filanti penzolanti da un balcone!. Stesso macabro rituale che dieci anni prima aveva lui stesso riscontrato su un cadavere ritrovato nudo su un letto di un bordello, di periferia. Oggi a due giorni dalla pensione aveva fatto la scoperta che...
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La mente crede cio' che l'orecchio ascolta e l'occhio vede!
"Questo è il tuo peggior castigo piccolo!"
Così mi sveglia sempre il dottore che, qui in basso, legato mani e piedi al freddo giaciglio, mi appare come una scultura di marmo, avvolto nel suo camice bianco, come una di quelle statue che, da bambino, dal basso del tuo metro e venti osservi e ti sembrano alte chi sa quanto. E lui è lì con il suo sguardo quasi paterno, di quelli che a me la mamma non mi ha dato l'opportunità di conoscere, quasi preoccupato e chino sul lettino del piccolo figlio che di notte si sveglia all'improvviso.
"Questo è il tuo peggior castigo piccolo!" E con fare lento e parsimonioso mi disinfetta l'incavo del braccio, avvolge il freddo laccio emostatico attorno al bicipite e con delicatezza buca una delle poche vene rimasta pervia, sopravvissuta a tutte quei "viaggi" a cui la mamma mi sottoponeva quotidianamente negli ultimi anni.
Nessuna visione era necessaria per trovare la chiave della propria salvezza. Aveva già pensato a tutto la cronaca nera e la TV.
Già il dottore esce, con in mano la siringa dispensatrice di quiete e sonno, e non può non rabbrividire un'altra volta all'idea di quali atroci immagini possano popolare la mente del piccolo ogni volta che le palpebre lo isolano dal guscio bianco della cella di isolamento e lo riproiettano nel festival della morte di cui si era reso fautore.
Ancora se lo vede il titolo a nove colonne in cronaca locale "Giovane dodicenne uccide la madre con 3 colpi di bisturi", e la macabra foto di Emanuela riversa in un immenso lago di sangue. Tre colpi netti e precisi: femorale, ventricolo sinistro e carotide. Con precisione da chirurgo il piccolo toglieva alla madre ciò che lei aveva tolto a suo padre.
Ma nessuno, neanche la cronaca e la TV si era mai accorto di quel particolare che solo il medico legale scoprì: la lingua sezionata in striscioline, ancora attaccate al palato come allegre stelle filanti penzolanti da un balcone!. Stesso macabro rituale che dieci anni prima aveva lui stesso riscontrato su un cadavere ritrovato nudo su un letto di un bordello, di periferia. Oggi a due giorni dalla pensione aveva fatto la scoperta che...
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- zazie
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che...
... l'infanzia aveva finito una volte per tutte di essere il dorato paradiso da ricordare negli anni della vecchiaia.
Gli anni di pratica come psichiatra in uno dei più frequentati ospedali del paese non erano ancora riusciti a cancellare
l'idea che l'essere umano potesse trovare nelle sue origini una forma di riscatto alla degradazione in cui riusciva
a immergersi.
Non era preparato a questo. Non era preparato al silenzio di questo bambino,
ai suoi occhi immobili e asciutti. Troppo asciutti, per un orfano.
Non era preparato a incontrare me più di quanto lo fossi io a trovarmi qui,
steso e impotente davanti a lui e alle sue terapie.
Queste consistevano per lo più nel guardarmi, scuotere la testa e mormorare qualche parola
prima di iniettarmi un nuovo farmaco destinato a ridarmi la parola.
Forse era davvero convinto che un bel giorno sarei saltato su dal letto e avrei iniziato
a singhiozzare rievocando quello che era successo.
Ogni giorno alimentavo la sua disillusione ricacciando in gola le parole che mi affioravano
alle labbra, consapevole che se mi fossi lasciato sfuggire
una sola parola non mi avrebbe più lasciato in pace. Mi avrebbe chiesto di raccontare
cose e avvenimenti che non ricordo, o che per meglio dire
non riesco a trarre fuori dai sogni in cui vivo e dai fantasmi che mi appaiono.
Una macchia scura, sangue rappreso...il suo, il mio, quello del vitello ammazzato sotto i miei occhi da Fausto?
Quando riuscirò a fare chiarezza ricomincerò a parlare, ma non qui, non davanti a
quest'uomo che mi guarda e chiede con gli occhi risposte a
domande sbagliate.
Ho un piano, io. Domani...
Gli anni di pratica come psichiatra in uno dei più frequentati ospedali del paese non erano ancora riusciti a cancellare
l'idea che l'essere umano potesse trovare nelle sue origini una forma di riscatto alla degradazione in cui riusciva
a immergersi.
Non era preparato a questo. Non era preparato al silenzio di questo bambino,
ai suoi occhi immobili e asciutti. Troppo asciutti, per un orfano.
Non era preparato a incontrare me più di quanto lo fossi io a trovarmi qui,
steso e impotente davanti a lui e alle sue terapie.
Queste consistevano per lo più nel guardarmi, scuotere la testa e mormorare qualche parola
prima di iniettarmi un nuovo farmaco destinato a ridarmi la parola.
Forse era davvero convinto che un bel giorno sarei saltato su dal letto e avrei iniziato
a singhiozzare rievocando quello che era successo.
Ogni giorno alimentavo la sua disillusione ricacciando in gola le parole che mi affioravano
alle labbra, consapevole che se mi fossi lasciato sfuggire
una sola parola non mi avrebbe più lasciato in pace. Mi avrebbe chiesto di raccontare
cose e avvenimenti che non ricordo, o che per meglio dire
non riesco a trarre fuori dai sogni in cui vivo e dai fantasmi che mi appaiono.
Una macchia scura, sangue rappreso...il suo, il mio, quello del vitello ammazzato sotto i miei occhi da Fausto?
Quando riuscirò a fare chiarezza ricomincerò a parlare, ma non qui, non davanti a
quest'uomo che mi guarda e chiede con gli occhi risposte a
domande sbagliate.
Ho un piano, io. Domani...
Re: che...
Quel domani, e poi un altro, e un altro ancora. Sono passati senza emozioni. Giorni tutti uguali, scanditi dal grigiore opaco della luce che filtrava da una finestra perennemente schermata. Ce ne sono voluti molti di giorni così prima che io capissi che era tutto sbagliato. Che non mi avrebbero dato tregua finché non non avessi dato loro quello che volevano, e cioè la verità su quel pomeriggio sotto il portico. E così, cinque anni dopo, alla vigilia del mio diciottesimo compleanno, li ho accontentati.zazie ha scritto:...
Ho un piano, io. Domani...
E’ successo durante una seduta di ipnosi. Niente viaggio all’indietro quel giorno. Ormai avevo capito che per non scivolare nel calore vischioso che mi avrebbe trasportato al di là della coscienza dovevo crearmi un solido appiglio. Come quello offerto dal dolore fisico. Così, mentre il dottore parlava, mi ero morsicato a sangue la lingua. Dopo, con gli occhi chiusi,avevo raccontato, come se lo stessi rivivendo minuto per minuto, come avevo ammazzato mia madre cancellandone l’identità a colpi di taglierino.
“Perché lo fai”, chiedeva il dottore mentre con i gesti mimavo ogni fendente.
“Per farla smettere di farmi male”
“Lei ti maltratta? Ti picchia?”
“Sì, di continuo. Sono tutto coperto di graffi». A quel punto avevo alzato con gesto melodrammatico le braccia coperte dai lividi lasciati dalle siringhe ipodermiche.
Una grande recitazione. Lo psichiatra, in preda all’emozione perché vedeva chiudersi il cerchio delle sue teorie, aveva creduto a ogni parola. Aveva annotato nel suo taccuino ogni mio gesto, descritto ogni ombra passata sul mio viso.
Ma niente avrebbe potuto essere più lontano dalla verità. Io non avevo ammazzato mia madre così come lei non aveva mai alzato le mani su di me se non per accarezzarmi.
No, la verità era un’altra.
Ma non potevo raccontarla perché altrimenti non mi avrebbero permesso di uscire dall’istituto che mi aveva accolto quando ero stato trovato piangente e insanguinato accanto al corpo di una donna uccisa che troppo frettolosamente era stata scambiata per Emanuela. Non mi avrebbero permesso di abbandonare le cure psichiatriche.
Soprattutto non mi avrebbero permesso di partire alla ricerca di lei.
Capitolo secondo
La telefonata mi era arrivata in ufficio. Erano passati otto anni dall'ultima volta che ci eravamo sentiti, ma la voce
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aveva sempre lo stesso effetto su di me, i suoi toni rochi che mi avvolgevano in spirali e lentamente i miei occhi si socchiudevano e il mio cervello aspettava avidamente ogni sua sillaba, come un nutrimento celestiale, come l’unica stilla di vita possibile.
“Figlio” mormorava,”mi hai aspettata, sapevi che sarei tornata da te, e ora, eccomi, il tuo premio è pronto, perché sai che ho preparato tutto per te, perché non è passata una sola ora di questi anni senza che tu fossi il baricentro del mio pensiero, perché tutto dipende da te, tutti dipendiamo da te. Vieni, questa sera…”
Rimasi un minuto con le palpebre abbassate e il tutu del telefono addosso, incapace di fermare le lacrime, con un unico pensiero che m’invadeva fino alle ossa: l’avrei avuta ancora accanto.
In tutto questo tempo mi ero sentito perduto, e invece lei vegliava su di me, rievocando quei giorni in cui realtà e delirio si fondevano in un continuo amplesso,mi chiesi: quei volti incappucciati che scorgevo a volte chini su di me, erano davvero un sogno?
“Figlio” mormorava,”mi hai aspettata, sapevi che sarei tornata da te, e ora, eccomi, il tuo premio è pronto, perché sai che ho preparato tutto per te, perché non è passata una sola ora di questi anni senza che tu fossi il baricentro del mio pensiero, perché tutto dipende da te, tutti dipendiamo da te. Vieni, questa sera…”
Rimasi un minuto con le palpebre abbassate e il tutu del telefono addosso, incapace di fermare le lacrime, con un unico pensiero che m’invadeva fino alle ossa: l’avrei avuta ancora accanto.
In tutto questo tempo mi ero sentito perduto, e invece lei vegliava su di me, rievocando quei giorni in cui realtà e delirio si fondevano in un continuo amplesso,mi chiesi: quei volti incappucciati che scorgevo a volte chini su di me, erano davvero un sogno?
-...è solo che non ho tempo per leggere.
- Mi dispiace per te.
- Oh, non direi.Ci sono tanti altri modi per passare il tempo.
Giulio vorrebbe replicare che leggere non è "passare il tempo"...
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... forse no, non erano solo sogni....
perche' quell'infermiere che a volte mi iniettava quella strana sostanza che mi provocava le allucinazioni piu' mostruose non si vedeva tanto spesso... e ho sempre avuto l'impressione, il sentore, non saprei dire il perche', che lui fosse uno di loro... peccato che ora le cose siano cambiate!!! Io non sono piu' il soggetto del gioco, qualsiasi esso sia, io sono IL gioco. E sto gia' pensando alle regole... Emanuela, mi hai fatto sempre credere di essere mia madre, ma io lo so, non sei tu la mia vera madre... mi hai fatto credere di avere preparato tutto per me, ma questa volta sono io ad avere preparato tutto. Ci incontreremo domani, a mezzogiorno nel parco principale della citta' (un posto strano per un incontro che dovrebbe presagire oscurita' future...), e io so gia' che...
perche' quell'infermiere che a volte mi iniettava quella strana sostanza che mi provocava le allucinazioni piu' mostruose non si vedeva tanto spesso... e ho sempre avuto l'impressione, il sentore, non saprei dire il perche', che lui fosse uno di loro... peccato che ora le cose siano cambiate!!! Io non sono piu' il soggetto del gioco, qualsiasi esso sia, io sono IL gioco. E sto gia' pensando alle regole... Emanuela, mi hai fatto sempre credere di essere mia madre, ma io lo so, non sei tu la mia vera madre... mi hai fatto credere di avere preparato tutto per me, ma questa volta sono io ad avere preparato tutto. Ci incontreremo domani, a mezzogiorno nel parco principale della citta' (un posto strano per un incontro che dovrebbe presagire oscurita' future...), e io so gia' che...
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a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
...che la trovaro' li' con accanto il suo angelo custode. Con il <Mago dei Morti>, come amava farsi definire. Con il suo amico medico legale che in tutti questi anni ha custodito il suo segreto, con colui che, a due giorni dalla pensione, ha scoperto il Grande Gioco e da allora ha preteso.......Tanelorn ha scritto:... e io so gia' che...
lei tornerà a risucchiami nei suoi incubi. Ma non posso farci niente. Emanuela è sempre e comunque la più forte.
Il ricordo delle ore trascorse fra la telefonata e l’appuntamento è molto nebuloso. Non ricordo come sia potuto arrivare alla fine di quella giornata, è certo comunque che alle cinque del pomeriggio devo aver indossato il soprabito e preso l’ombrello per avviarmi.
Parco, seconda traversa a sinistra partendo dal viale centrale. Terza panchina dopo la fontana. Trovo facilmente il posto, che mi appare quasi buio, ombreggiato com’è da un leccio centenario i cui rami incurvandosi verso il suolo formano una nicchia verde. Un’occhiata mi basta per capire che quello è il punto più isolato del giardino, peraltro già completamente deserto a quell’ora e in quella stagione. Un angolo strano e inquietante, perfettamente in carattere con Emanuela.
Lei non c’è.
Mi siedo con tutti i sensi all’erta, ma l’immobilità dell’aria per parecchi minuti viene spezzata solo dai richiami serali delle taccole.
“Ciao Lucio”.
Il saluto bisbigliato all’improvviso alle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi giro di scatto trovandomi a fissare il volto di un’estranea.
Non è Emanuela la donna con l’impermeabile chiaro che mi posa le mani sulle spalle con un gesto di grande confidenza. Mentre la fisso da sotto in su, una veloce quanto affannata perquisizione della memoria mi conferma che non c’è niente da ricordare, semplicemente perché non ci siamo mai incontrati prima di quel momento. Niente, assolutamente niente mi collega a quegli occhi grigio azzurri, a quei lineamenti, che sarebbero stati piatti, ordinari e non fosse stato per la linea dritta e dura della bocca quasi priva di labbra.
“Chi è lei?”
“Sono tua madre, tesoro. Non mi riconosci?”
“Non dica idiozie! Lei non è mia madre! Perché cerca di farsi passare per lei? Cosa vuole da me?”
Invece di rispondere la sconosciuta mi percorre tutto con una interminabile occhiata. Poi sospira: “Tesoro mio, cos’hanno fatto alla tua povera mente? Davvero non mi riconosci?”.
Un brivido mi ghiaccia la nuca mentre il cuore sprofonda in fondo ai visceri. Ero arrivato lì pronto a battermi contro il fantasma che aveva infestato il mio passato e al suo posto trovavo un incubo. La mia memoria aveva molti strappi forse irrimediabili, ma quella donna non era Emanuela. La chirurgia plastica può fare miracoli con i lineamenti, le lenti a contatto modificano il colore degli occhi. Ma ci sono dettagli in una persona che nessun artificio può cancellare. Come l’attaccatura dei capelli e la forma delle mani. Ricordavo bene la piccola V scurissima al centro della fronte di mia madre. Inoltre, né gli psicofarmaci né l’elettroshock avevano cancellato il ricordo del tocco lieve delle sue dita lunghe, nervose ed eleganti. La sconosciuta, che nel frattempo aveva aggirato la panchina per sedermi accanto, aveva invece la fronte incorniciata da una linea dritta di capelli neri, mentre la mano che cercava la mia con un gesto di molle stanchezza era larga, con dita corte e articolazioni nodose.
Ma a darmi la certezza che quella donna non poteva essere Emanuela è la sensazione di allarmato ribrezzo che provo al contatto fisico. Lei mi legge le domande sbigottite sulla fronte.
“Sono tornata per stare con te, tesoro. Per sempre”.
Parole pronunciate con un tono morbido, quasi soave, e per questo tanto più minacciose. A partire da quel momento tutto diventa un film al rallentatore in cui spezzoni di déja vu si sovrappongono a sequenze surreali.
“Ma non se ne parla proprio. Io non resto qui un minuto di più!” urlo afferrando l’ombrello e alzandomi di scatto. “Non so chi sia lei e non intendo ascoltarla”.
Sono già voltato e sto per avviarmi quando la sua voce mi inchioda.
“Lucio, aspetta!”
Dio, io non mi chiamo Lucio. Quello era il nome che mi aveva dato Emanuela quando ero piccolo. Un nome classico, da antico romano, diceva. Un nome segreto, solo per noi due. La risata della donna davanti alla mia espressione attonita risuona più minacciosa di uno sparo. “Non sei curioso di sapere perché non puoi sfuggirmi, Lucio? Eh, no, caro. Non te ne puoi proprio andare...!”
Lei adesso è in piedi e sorride ancora, ma la maschera è caduta. Niente più Emanuela. Di colpo mi appare per quello che è: una miserabile ricattatrice convinta di tenermi in pugno.
“Non te ne puoi andare” ripete “Non senza avermi dato quello che voglio. Meglio che non cerchi di sfuggirmi perché non andresti lontano. Una mossa avventata e finiresti in un manicomio giudiziario. Pareti imbottire, finestre con le sbarre e tante belle iniezioni che fanno sognare. Ricordi? Questa volta però sarebbe per sempre. Perché non sei più un bambino di 12 anni. Sei un adulto che la notte scorsa ha massacrato una prostituta. Non sei curioso di conoscere i particolari? Dà un’occhiata qui. Rapido frugare nella borsetta e in mano le compare il ritaglio di un quotidiano. “Con i tuoi precedenti non usciresti più”.
Alberi, prato, tutto mi rotea intorno e per un momento la vista si oscura. Mi piego in due ma non svengo.
“Ma che cazzo sta dicendo? Io non ho ammazzato nessuno”, protesto non appena ritrovo la stabilità.
“Oh, tesoro!”.
Ancora quel sorriso da squalo
“Questo è quello che pensi tu», prosegue. «Sicuro che la memoria non torni a farti brutti scherzi? Comunque aspetta che faccia arrivare sul tavolo del magistrato la tua bella sciarpa rossa e blu tutta inzuppata del sangue di quella povera ragazza. Ricordi quella sciarpa? Beh, se non la ricordi pazienza!”
Un sospiro.
“L’importante” continua implacabile,“ è che nella lana, insieme con il sangue della ragazza è rimasto abbastanza del tuo DNA da inchiodarti”
Ricordavo vagamente la sciarpa. Ma non capivo.
“Sangue? DNA? Ma di cosa sta parlando? Io non ho ucciso nessuno.”, esplodo esasperato.
“Certo che non hai ucciso nessuno!”
Altro sorriso.
“Però la ragazza è stata tagliuzzata oh, oh! con un taglierino! E poi naturalmente è stata strangolata e la sciarpa ce l’ho io. Non vuoi sapere nemmeno come l’ho avuta da Emanuela? “
Sempre peggio.
“Dov’è mia madre?”, ho urlato a quel punto. “Per l’ultima volta, cosa vuole da me?”
Un soffio leggero e caldo sul viso.
“Voglio venire a casa tua, Lucio. Subito. Andiamo!”
Il ricordo delle ore trascorse fra la telefonata e l’appuntamento è molto nebuloso. Non ricordo come sia potuto arrivare alla fine di quella giornata, è certo comunque che alle cinque del pomeriggio devo aver indossato il soprabito e preso l’ombrello per avviarmi.
Parco, seconda traversa a sinistra partendo dal viale centrale. Terza panchina dopo la fontana. Trovo facilmente il posto, che mi appare quasi buio, ombreggiato com’è da un leccio centenario i cui rami incurvandosi verso il suolo formano una nicchia verde. Un’occhiata mi basta per capire che quello è il punto più isolato del giardino, peraltro già completamente deserto a quell’ora e in quella stagione. Un angolo strano e inquietante, perfettamente in carattere con Emanuela.
Lei non c’è.
Mi siedo con tutti i sensi all’erta, ma l’immobilità dell’aria per parecchi minuti viene spezzata solo dai richiami serali delle taccole.
“Ciao Lucio”.
Il saluto bisbigliato all’improvviso alle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi giro di scatto trovandomi a fissare il volto di un’estranea.
Non è Emanuela la donna con l’impermeabile chiaro che mi posa le mani sulle spalle con un gesto di grande confidenza. Mentre la fisso da sotto in su, una veloce quanto affannata perquisizione della memoria mi conferma che non c’è niente da ricordare, semplicemente perché non ci siamo mai incontrati prima di quel momento. Niente, assolutamente niente mi collega a quegli occhi grigio azzurri, a quei lineamenti, che sarebbero stati piatti, ordinari e non fosse stato per la linea dritta e dura della bocca quasi priva di labbra.
“Chi è lei?”
“Sono tua madre, tesoro. Non mi riconosci?”
“Non dica idiozie! Lei non è mia madre! Perché cerca di farsi passare per lei? Cosa vuole da me?”
Invece di rispondere la sconosciuta mi percorre tutto con una interminabile occhiata. Poi sospira: “Tesoro mio, cos’hanno fatto alla tua povera mente? Davvero non mi riconosci?”.
Un brivido mi ghiaccia la nuca mentre il cuore sprofonda in fondo ai visceri. Ero arrivato lì pronto a battermi contro il fantasma che aveva infestato il mio passato e al suo posto trovavo un incubo. La mia memoria aveva molti strappi forse irrimediabili, ma quella donna non era Emanuela. La chirurgia plastica può fare miracoli con i lineamenti, le lenti a contatto modificano il colore degli occhi. Ma ci sono dettagli in una persona che nessun artificio può cancellare. Come l’attaccatura dei capelli e la forma delle mani. Ricordavo bene la piccola V scurissima al centro della fronte di mia madre. Inoltre, né gli psicofarmaci né l’elettroshock avevano cancellato il ricordo del tocco lieve delle sue dita lunghe, nervose ed eleganti. La sconosciuta, che nel frattempo aveva aggirato la panchina per sedermi accanto, aveva invece la fronte incorniciata da una linea dritta di capelli neri, mentre la mano che cercava la mia con un gesto di molle stanchezza era larga, con dita corte e articolazioni nodose.
Ma a darmi la certezza che quella donna non poteva essere Emanuela è la sensazione di allarmato ribrezzo che provo al contatto fisico. Lei mi legge le domande sbigottite sulla fronte.
“Sono tornata per stare con te, tesoro. Per sempre”.
Parole pronunciate con un tono morbido, quasi soave, e per questo tanto più minacciose. A partire da quel momento tutto diventa un film al rallentatore in cui spezzoni di déja vu si sovrappongono a sequenze surreali.
“Ma non se ne parla proprio. Io non resto qui un minuto di più!” urlo afferrando l’ombrello e alzandomi di scatto. “Non so chi sia lei e non intendo ascoltarla”.
Sono già voltato e sto per avviarmi quando la sua voce mi inchioda.
“Lucio, aspetta!”
Dio, io non mi chiamo Lucio. Quello era il nome che mi aveva dato Emanuela quando ero piccolo. Un nome classico, da antico romano, diceva. Un nome segreto, solo per noi due. La risata della donna davanti alla mia espressione attonita risuona più minacciosa di uno sparo. “Non sei curioso di sapere perché non puoi sfuggirmi, Lucio? Eh, no, caro. Non te ne puoi proprio andare...!”
Lei adesso è in piedi e sorride ancora, ma la maschera è caduta. Niente più Emanuela. Di colpo mi appare per quello che è: una miserabile ricattatrice convinta di tenermi in pugno.
“Non te ne puoi andare” ripete “Non senza avermi dato quello che voglio. Meglio che non cerchi di sfuggirmi perché non andresti lontano. Una mossa avventata e finiresti in un manicomio giudiziario. Pareti imbottire, finestre con le sbarre e tante belle iniezioni che fanno sognare. Ricordi? Questa volta però sarebbe per sempre. Perché non sei più un bambino di 12 anni. Sei un adulto che la notte scorsa ha massacrato una prostituta. Non sei curioso di conoscere i particolari? Dà un’occhiata qui. Rapido frugare nella borsetta e in mano le compare il ritaglio di un quotidiano. “Con i tuoi precedenti non usciresti più”.
Alberi, prato, tutto mi rotea intorno e per un momento la vista si oscura. Mi piego in due ma non svengo.
“Ma che cazzo sta dicendo? Io non ho ammazzato nessuno”, protesto non appena ritrovo la stabilità.
“Oh, tesoro!”.
Ancora quel sorriso da squalo
“Questo è quello che pensi tu», prosegue. «Sicuro che la memoria non torni a farti brutti scherzi? Comunque aspetta che faccia arrivare sul tavolo del magistrato la tua bella sciarpa rossa e blu tutta inzuppata del sangue di quella povera ragazza. Ricordi quella sciarpa? Beh, se non la ricordi pazienza!”
Un sospiro.
“L’importante” continua implacabile,“ è che nella lana, insieme con il sangue della ragazza è rimasto abbastanza del tuo DNA da inchiodarti”
Ricordavo vagamente la sciarpa. Ma non capivo.
“Sangue? DNA? Ma di cosa sta parlando? Io non ho ucciso nessuno.”, esplodo esasperato.
“Certo che non hai ucciso nessuno!”
Altro sorriso.
“Però la ragazza è stata tagliuzzata oh, oh! con un taglierino! E poi naturalmente è stata strangolata e la sciarpa ce l’ho io. Non vuoi sapere nemmeno come l’ho avuta da Emanuela? “
Sempre peggio.
“Dov’è mia madre?”, ho urlato a quel punto. “Per l’ultima volta, cosa vuole da me?”
Un soffio leggero e caldo sul viso.
“Voglio venire a casa tua, Lucio. Subito. Andiamo!”
Ragazzi, vogliono spegnerci il cervello: non lasciamoglielo fare. Go on!
- Therese
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"Sei pazza, non mi lascerò manipolare da te!", la mia voce suona meno ferma di quanto vorrei...
"Scommettiamo?", scopre i denti nell'ennesimo sorriso, poi tira fuori dalla tasca una scatolina di cartone a fiori, chiusa con un nastro di raso, lo scioglie, la apre, me la porge. Non voglio, non voglio guardare, ma è inevitabile, abbasso lo sguardo e tra quei piccoli fiorellini gialli, c'è qualcosa di rosso e rosa, qualcosa di molle, vischioso, vedo le sue dita tozze prenderne un'estremità ed estrarla, una lunga striscia di carne sanguinolenta, sottile, ora capisco, sento qualcosa di acido in gola che risale di colpo fino alla mia bocca, sento la carotide bruciare, mi gira la testa, una lingua a strisioline che pende da quella mano, le mie ginocchia si piegano, appoggio le mani a terra e vomito.
"Non vorrai che faccia questo ad Emanuela, vero?" i suoi denti sono ancora lì a sorridere, quando riesco a risollevare la testa.
Alzati, alzati, mi ripeto, ma le mie gambe non si muovono, alzati per Emanuela...
Tremante la guardo negli occhi:"Andiamo".
Casa mia è piccola, le pareti chiare, pochi mobili, l'essenziale, se ci penso somiglia alla camera dell'ospedale...
Si siede sul divano, accende una sigaretta, socchiude gli occhi, posso vederla mentre gusta la sua prossima vittoria.
"Fu la luna a suggerirmi che quello sarebbe stato tuo padre, se l'ho ucciso è stato per benedire il seme che dovevo portare, niente di personale, era necessario. In fondo a lui è bastata una scopata per dare uno scopo alla sua vita, non c'era altro di buono che potesse fare, credimi".
Mi guarda, sono in piedi, in continuo movimento, come fermarla, come sottrarmi a lsuo gioco, se le saltassi addosso, se la uccidessi...
Un brivido mi percorre.
"Poi lei ha rovinato tutto, ti ha portato via da me, da tua madre, ti ha nascosto, protetto, ma ora...
"Scommettiamo?", scopre i denti nell'ennesimo sorriso, poi tira fuori dalla tasca una scatolina di cartone a fiori, chiusa con un nastro di raso, lo scioglie, la apre, me la porge. Non voglio, non voglio guardare, ma è inevitabile, abbasso lo sguardo e tra quei piccoli fiorellini gialli, c'è qualcosa di rosso e rosa, qualcosa di molle, vischioso, vedo le sue dita tozze prenderne un'estremità ed estrarla, una lunga striscia di carne sanguinolenta, sottile, ora capisco, sento qualcosa di acido in gola che risale di colpo fino alla mia bocca, sento la carotide bruciare, mi gira la testa, una lingua a strisioline che pende da quella mano, le mie ginocchia si piegano, appoggio le mani a terra e vomito.
"Non vorrai che faccia questo ad Emanuela, vero?" i suoi denti sono ancora lì a sorridere, quando riesco a risollevare la testa.
Alzati, alzati, mi ripeto, ma le mie gambe non si muovono, alzati per Emanuela...
Tremante la guardo negli occhi:"Andiamo".
Casa mia è piccola, le pareti chiare, pochi mobili, l'essenziale, se ci penso somiglia alla camera dell'ospedale...
Si siede sul divano, accende una sigaretta, socchiude gli occhi, posso vederla mentre gusta la sua prossima vittoria.
"Fu la luna a suggerirmi che quello sarebbe stato tuo padre, se l'ho ucciso è stato per benedire il seme che dovevo portare, niente di personale, era necessario. In fondo a lui è bastata una scopata per dare uno scopo alla sua vita, non c'era altro di buono che potesse fare, credimi".
Mi guarda, sono in piedi, in continuo movimento, come fermarla, come sottrarmi a lsuo gioco, se le saltassi addosso, se la uccidessi...
Un brivido mi percorre.
"Poi lei ha rovinato tutto, ti ha portato via da me, da tua madre, ti ha nascosto, protetto, ma ora...
-...è solo che non ho tempo per leggere.
- Mi dispiace per te.
- Oh, non direi.Ci sono tanti altri modi per passare il tempo.
Giulio vorrebbe replicare che leggere non è "passare il tempo"...
(T. Avoledo)
cinefila integralista
Non inviatemi ring senza avvertire, grazie ^_^
- Mi dispiace per te.
- Oh, non direi.Ci sono tanti altri modi per passare il tempo.
Giulio vorrebbe replicare che leggere non è "passare il tempo"...
(T. Avoledo)
cinefila integralista
Non inviatemi ring senza avvertire, grazie ^_^