La speranza

Se volete parlare seriamente di qualcosa che non è presente in nessuna delle altre aree e/o volete dare un annuncio generale a tutti per una cosa importante, questa è l'area appropriata.

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invisigot
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La speranza

Messaggio da invisigot »

Leggo il blog di una di noi...
quando un popolo bombarda un luogo di culto di un altro popolo allora viene da chiedersi quale strada abbia preso la speranza...
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Bilbo
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Messaggio da Bilbo »

La prima domanda che mi sono posto quando ho appreso la notizia è stata: cosa avremmo pensato se l'esercito di un paese islamico avesse bombardato una chiesa cristiana perché al suo interno erano presenti alcuni generali dell'esercito USA? Se riuscissimo a rispondere a questa domanda, avremmo fatto un piccolo passo avanti.
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TierrayLibertad
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Messaggio da TierrayLibertad »

Forse basterebbe chiedersi che cosa avremmo pensato se nel 2002 gli israeliani avessero bombardato la basilica della natività perché c'erano all'interno dei palestinesi sospettati di terrorismo. L'impatto mediatico sarebbe stato fortissimo.
Forse per questo si limitarono ad assediarla.

Ciao
TyL
Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.

(A. Machado)

Se parlassi le lingue degli uomini e quelle degli angeli, ma non avessi l'amore, sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

«Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe.

Se dici qualcosa che non offende nessuno, non hai detto niente
(O. Wilde)

Vero Acquario

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-gioRgio-
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Messaggio da -gioRgio- »

Come Tierra.
Aggiungo: i favolosi USA, paese a larga maggioranza cristiana, non sarebbero stati felici. Con i mussulmani invece, in fin dei conti, si puo' anche fare...
-gioRgio-

"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico." (proverbio cinese)
"ma non e' detto che tu sarai in condizioni migliori" (gRg)
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invisigot
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Messaggio da invisigot »

Una lettera dall'Iraq
(scritta da un ex militare del Golfo ora impegnato nella ricostruzione in Iraq)

Conosco la notizia. Bisogna che Colin Powell riprenda il comando. La disciplina delle truppe sta degenerando e riporta alla memoria le vecchie immagini del Vietnam. Invece di militari professionali qui abbiamo un branco di cowboys e vigilantes che scorrazzano senza freni per le strade. The ugly American («l’americano cattivo», ndr) non è mai stato così prominente. Bisogna che qualcuno al comando cali la mazza su questa mancanza di disciplina, specialmente quella mostrata dalle forze speciali, dalle guardie private e dalle «altre agenzie governative.» Abbiamo vinto la guerra ma questo non vuol dire che possiamo trattare la gente di questo paese con disprezzo e brutalità senza pensare alle conseguenze. Quelle guardie private, proprio come le ultime che sono state uccise, erano fuori a scorrazzare liberi senza scorta militare. Armati o meno, questa è una violazione dei protocolli e un grave rischio. Sono addolorato per le famiglie di quelle persone, ma vorrei vedere la persona che ha deciso che potevano andarsene in giro là fuori senza scorta militare trascinata davanti a un tribunale, a meno che quella persona non fosse nel convoglio, nel qual caso almeno non provocherà più la morte di nessuno. Sono furioso per come stiamo trattando la gente qui. So che non sono tutti i militari, in effetti si tratta di una piccola parte circoscritta che crede in qualche modo di essere al di sopra della legge, non solo della legge di questa terra ma anche della legge militare e delle leggi che ci sono care nel nostro paese. Se qualcuno provasse a trattare i nostri compatrioti americani come questa gente sta trattando gli iracheni, le corti lo sbatterebbero di sicuro in galera. Mi verrebbe da esprimere l’ultima frase in maniera più forte, ma alla luce degli eventi recenti sarebbe una crudeltà. Qui c’è bisogno di disciplina e non sono sicuro che l’attuale amministrazione abbia la volontà di fare quello che occorre per fermare tutto questo. Per ripristinare la disciplina credo davvero che Donald Rumsfeld dovrebbe ammettere che forse le regole di guerra di Powell in effetti erano valide.
Sentiti pure autorizzata a mandare queste considerazioni a tutti i senatori,
parlamentare, governatori, presidente o ministri della Difesa che vuoi.


Qui il testo originale
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invisigot
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Messaggio da invisigot »

L'arma di distruzione di massa
di VITTORIO ZUCCONI

C'era davvero un'arma di distruzione di massa in Iraq e finalmente è stata individuata. E' la stessa arma micidiale che da secoli uccide più esseri umani di tutte le armi atomiche, chimiche, biologiche e di tutti i terroristi messi assieme, mentre arricchisce chi la fabbrica e chi la spaccia. E quest'arma è l'ignoranza. La madre di tutte le arroganze, delle ideologie, delle guerre, delle menzogne che sta ammazzando e devastando in Iraq come ieri ammazzò in Europa, negli Stati Uniti, in Asia, ovunque.

L'ignoranza è l'arma che ha spinto le divisioni corazzate di Bush in Iraq, costruendo sulla base di ideologie e di teorie formulate nei comodi uffici e nei think tank di Washington, divenuti più tank che think, dottrine e scenari che poi il campo si sta diligentemente e sanguinosamente preoccupando di demolire. Non sono i terroristi e i guerriglieri quelli che stanno uccidendo soldati e civili, che stanno rapendo lavoratori e soccorritori stranieri in Iraq. Loro sono soltanto gli strumenti, i figli del male.

La madre è la spaventosa ignoranza dell'Iraq, della sua storia, della sua cultura, dei suoi costumi, della realtà.
Ignoranti sono, altrettanto, coloro che sparano e resistono e bruciano vivi gli occupanti, persuasi dalla propaganda, che dell'ignoranza è la figlia prediletta, che gli americani siano in Iraq per trasformare quel Paese (immaginario anch'esso) nel 51esimo stato americano e succhiarne via il petrolio per rifornire a basso prezzo le auto degli infedeli. Ignorando, appunto, che qualunque soluzione politica emergesse dall'occupazione sarebbe, in ogni caso, infinitamente migliore per la gente disgraziata di quelle terre, di quanto non fosse la dittatura Saddamita o di quanto sarebbe il governo dei fanatici integralisti. L'America non è quell'angelo liberatore e casto che le brochures diffuse dagli uffici stampa delle ambasciate e i discorsi surgelati e riscaldati al microonde di Bush descrivono, ma soltanto un idiota potrebbe sostenere che l'Italia di De Gasperi, di Togliatti, persino di Craxi e di Berlusconi, sia un luogo peggiore di quanto fosse l'Italia di Mussolini e del maresciallo Kesselring o che la Germania di Adenauer fosse peggiore di quella di Hitler.

Di Iraq, Washington non sapeva nulla e per questo credeva di poter cambiare tutto con una sfilata di tanks M1A1 per le vie di Bagdad, tirando giù, un anno fa, la statua vuota di Saddam. Paul Wolfowitz, il sottosegretario del Pentagono che passa per il cervello fino, per l'intellettuale della banda neo conservatrice oggi fortunatamente in crisi, disse alla radio pubblica americana, la Npr, che l'Iraq aveva il vantaggio immenso per un invasore cristiano di non contenere sul proprio territorio luoghi sacri all'Islam come invece ha l'Arabia Saudita, ignorando - appunto - che proprio nei luoghi dove ora si combatte e si sganciano bombe stanno alcuni dei massimi santuari musulmani, capaci di incendiare la furia e lo spirito dei fedeli.

Mentre aspettiamo, con il cuore in gola, di vedere come finirà, se finirà, questa fase di combattimenti e di violenza in Iraq che ormai investe anche la nostra missione insolentemente chiamata di "peace keeping" (ma quale pace si può mantenere, in un luogo dove pace non c'è mai stata?) torniamo al dubbio iniziale, quello che rese tanti di noi Europei avversi o perplessi alla furia di guerra americana, un anno fa: come può uno dei Presidenti più visibilmente ignoranti di storia e geografia nella storia americana essere colui che cambia la storia e la geografia di un mondo che non capisce e che non conosce?

Affidereste a un chirurgo che ignora l'anatomia, l'intervento su una persona cara, su un figlio, su voi stessi? E' davvero così sorprendente se, 13 mesi dopo la guerra vinta, la guerra vinta continua e le budella del paziente stanno sparse alla rinfusa sul tavolo operatorio mentre gli aiuti e gli infermieri del capo chirurgo tentano disperatamente di ricomporle e di ricucire il malato?

Qualche potente somaro ha confuso ancora una volta la forza con la conoscenza, la collera con la sapienza, la prepotenza con il diritto e ha deciso di aprire il ventre del malato dopo avere fatto da lontano diagnosi e prognosi sbagliate e ora, a causa di quell'errore, non c'è altra scelta che cercare di richiuderlo e di proclamarlo guarito. L'ideologia, che gli spacciatori confondono con idee e ideali, ha guidato la mano del maldestro chirurgo, nella autoreferenzialità classica di quella forma suprema di petulante ignoranza che si vende come cultura soltanto perché confezionata in libri di successo, saggi, studi e discorsi retorici. In Iraq, sta fallendo ancora una volta la sottocultura del pregiudizio e del preconcetto, delle pseudoidee pietrificate nelle "dottrine", dell'arroganza che si crede migliore soltanto perché ha i mezzi materiali per imporsi.

Sono trascorsi 13 mesi di occupazione e nessuno sa chi siano davvero coloro che si stanno ribellando e le false spiegazioni degli uffici stampa si rincorrono ansimando (lo sceicco del terrore, il chierico pazzo, l'ayatollah burattinaio, il medico demente, il Sunnita geloso, lo Sciita schiumante) per spiegare quello che neppure loro stanno spiegare. Sono terroristi stranieri, delinquenti, infiltrati iraniani, al-quaedisti, fanatici, criminali, "banditen", il punto è che non lo sappiamo, non lo sanno gli Americani, non lo sanno i nostri soldati a Nassiriya, che la propaganda del governo di Roma costringe a ripetere che tutti ci vogliono bene, laggiù, che soltanto una piccola minoranza di chissà chi ci spara addosso e forse ci rapisce, come se mai guerre e rivolte e massacri fossero stati compiuti dalla "maggioranza". Restiamo aggrappati alla nostra profonda ignoranza, che neppure i talk-show di falsi esperti che si parlano addosso e rimasticano luoghi comuni, riescono a dissipare. E, aggrappati al salvagente di piombo dei nostri preconcetti, contiamo i morti e andiamo a fondo.


(9 aprile 2004)
Ultima modifica di invisigot il sab apr 10, 2004 12:19 pm, modificato 1 volta in totale.
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Kiarina
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Messaggio da Kiarina »

Grazie Invi :)
Ero fortunato ad avere ancora mia madre che, occupandosi di me, mi permetteva di protrarre l'adolescenza. Molto fortunato. Ero nato con la camicia: tanto valeva che me la stirasse. (Il conto dell'ultima cena-Andrea Pinketts)

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invisigot
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invisigot
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Messaggio da invisigot »

posto qui di seguito un reportage che a me ha messo i brividi

Viaggio a Falluja
la città dell'odio

di Renato Caprile

FALLUJA - Il camion della Croce rossa italiana ha appena superato il check point americano. Siamo nascosti nel cassone su un tappeto di acqua, biscotti e scatolame. Cerchiamo di non fare troppo rumore, i marines sono ancora nei pressi. Poi finalmente il via libera ci fa tirare un sospiro di sollievo. Il grosso Iveco su cui viaggiamo è telonato: attraverso qualche fessura sfilano così davanti ai nostri occhi le prime immagini di Falluja, la tana della resistenza antiUsa, assediata e off-limit da oltre due settimane, forse sta qui il covo dove sono tenuti prigionieri i nostri tre ostaggi.

E quel che vediamo è un immenso deserto urbano. Non un solo essere umano per chilometri. Solo cani randagi a rovistare in mezzo a mucchi di spazzatura. Macerie e silenzio, dunque. Un silenzio che mette paura. Siamo diretti da qualche parte in periferia dove Maurizio Scelli, il commissario straordinario della Croce rossa italiana, e i suoi uomini, devono scaricare il secondo stock di aiuti umanitari. Gli aiuti che ci avevano illuso avrebbero potuto far tornare a casa Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Umberto Cupertino. E invece non sembrano aver prodotto altro che un po' di temporaneo sollievo a una popolazione stremata.

Cinque chilometri più avanti la scena cambia, qualcosa inizia a muoversi in lontananza. Gruppi di uomini armati ci si parano davanti. Fortuna vuole che nella jeep che ci precede ci sia lo sceicco Basher al Faidhi del Consiglio degli ulema sunniti. Anche se le facce di quegli uomini non promettono niente di buono, rispondono ugualmente al saluto dell'imam di Bagdad. È la moschea Saad Ben Abi Wkass il nostro capolinea. Smontiamo dal camion. Ci sono tonnellate di viveri ma nessuno sembra farci caso. Non un solo grazie si leva dalla piccola folla del comitato di accoglienza. Sanno che siamo italiani e ci guardano con diffidenza.
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Andiamo un po' in giro per constatare di persona i danni di due settimane di bombe su questa media città del nord dell'Iraq, giusto al centro del triangolo sunnita. La stessa che appena sette giorni dopo la caduta di Saddam iniziò ad infliggere le prime grosse perdite all'esercito della coalizione. "Siete liberi di farlo, anche se a vostro rischio e pericolo", mette subito le mani avanti Ahmed Jassin, una trentina d'anni, il rosario tra le mani e occhi pieni d'odio. "Venite italiani, in giro vi ci porto io".

Non abbiamo molto tempo, è quasi già scuro e Jassin non è certo una presenza rassicurante. Ma è l'unico disponibile a farci da autista e a parlare un po' di inglese. Un giro breve, concordiamo, perché la Croce rossa non può certo aspettarci. "Voglio soltanto farvi vedere Al Jalon, il mio quartiere, e come lo hanno ridotto i vostri amici americani. Venti minuti al massimo e saremo di ritorno", promette.

Partiamo su una vecchia, sgangheratissima Volkswagen Passat. Jassin guida come un pazzo per evitare le grosse buche scavate dalle bombe. Strada facendo incontriamo solo guerriglieri, kalashnikov e volti nascosti dalla kefia. Sembrano gli unici abitanti di questo posto che appena un mese fa ne contava quattrocentomila. Molti certo saranno fuggiti, venti, trentamila, ma tutti gli altri dove saranno? Niente fa pensare che dietro quelle finestre sbarrate ci sia un qualche segno di vita. Non c'è luce, non c'è acqua, non ci sono più bombole di gas. Al Jalon è a ridosso della ferrovia, nella parte ovest della città vecchia, con botteghe miserrime e palazzi diroccati. Quelli che ancora sono rimasti in piedi. Perché ad Al Jalon, e in questo Jassin ha ragione, gli americani hanno usato la mano pesante. Un edifico su due è ridotto a un mucchio di pietre.

"La vedete quella? - Jassin indica una costruzione bassa che sembra una lattina accartocciata - Era la casa di Hamid. Sono morti tutti. Venticinque persone in un sol colpo. E molti erano donne e bambini. E poi vi chiedete perché odiamo tanto l'America e i suoi alleati. Quella gente non aveva fatto niente a nessuno eppure è stata uccisa".

Da dietro quella che era la casa di Hamid spuntano quattro giovani armati. Fanno un segno a Jassin, che vorrebbe farci parlare con loro. Fatichiamo a convincerlo a tornare subito indietro. In cinque minuti siamo di ritorno alla moschea. Gli uomini della Croce rossa non sono ancora tornati dal deposito dove dovevano scaricare le loro casse di viveri. Siamo preoccupati. Ci invitano ad entrare in una stanza del compound della moschea, dove ci sono una decina di uomini. Tutti giovani. Ci offrono del tè. Vogliono parlare.

Soprattutto Sabah al Kalifa, che ha una storia da raccontare. Quella di suo figlio Ali. Aveva una grave infezione intestinale. Era ricoverato all'ospedale, situato oltre il famigerato ponte su cui vennero trucidati i quattro americani. Il padre lo aveva portato lì prima che iniziassero a piovere bombe. Ma quando è scoppiato l'inferno glielo hanno consegnato che aveva ancora la flebo attaccata al braccio. Due giorni dopo Ali è morto. Aveva soltanto un anno. Morto come almeno altre settecento persone, 300 dei quali erano donne e bambini. I feriti poi sarebbero un numero incalcolabile.

Sotto le macerie ci sarebbero mucchi di cadaveri. Impossibile recuperarli, si correrebbe il rischio - ci dicono - di finire sotto i colpi di un qualche cecchino. Lo stadio sarebbe diventato un'enorme fossa comune. La tregua non reggerebbe. L'accordo tra le parti un documento senza valore. Nessuno o quasi dei profughi sarebbe tornato e di consegnare le armi pesanti, i nostri interlocutori non ne vogliono nemmeno sentire parlare. "Abbiamo solo qualche kalashnikov e con quelli riusciamo a dare scacco al più forte esercito del mondo. Dio è con noi, altrimenti ci avrebbero già ammazzati tutti".

Il discorso si sposta lentamente sugli ostaggi italiani. Omar prima dice "non ne sappiamo niente", poi si lancia in un rosario di invettive contro il nostro paese. "Siete nostri nemici, venuti dopo gli americani con i quali avevamo già un conto aperto, ma siete come loro. Assassini. I morti di Nassiriya, quelli di questa città e di tutti l'Iraq pesano anche sulla vostra coscienza. Andatevene e forse dimenticheremo, ma se vi ostinate a restare, allora saranno guai". Il gesto di pace, il fatto che la Croce rossa sia riuscita a riaprire il corridoio umanitario per Omar e i suoi amici non significa niente. "E' come se io prima ti accoltellassi e poi mandassi mio fratello a curarti. Ma chi volete prendere in giro?".

La sensazione di essere anche noi ostaggi in quella stanza si fa sempre più pesante, chi parla ormai lo fa urlando. Un tonfo sordo, un ordigno esploso da qualche parte distrae i nostri interlocutori. È caduto a un centinaio di metri in linea d'aria da dove siamo. Omar beffardamente ci invita a seguirlo per andare a vedere che danni ha fatto. Ormai è notte. E in questa città senza luci è una notte che mette i brividi.

Come mettono i brividi questi soldati della nuova resistenza di Falluja. Gli stessi che hanno sconfessato ieri a Bagdad sia il Consiglio degli ulema, sia il partito islamico. La "Resistenza irachena di Falluja" ha diffuso un documento in cui si criticano i due gruppi che hanno contribuito a negoziare una tregua con le forze Usa e che partecipano alle trattative per il rilascio degli ostaggi, compresi i tre italiani. Un documento a forma di opuscoletto, distribuito davanti alla moschea Ibn Taymiya di Bagdad, nel quale si legge che "il Partito islamico iracheno, promuovendo la tregua, ha provocato la disorganizzazione tra i mujaehddin e consentito al nemico di riorganizzarsi".

"Gli ulema - dice Omar - piangono sugli ostaggi stranieri sapendo benissimo che si tratta di gente venuta in Iraq per saccheggiare le nostre ricchezze. In che modo il rilascio di costoro ci può tornare utile, mentre le galere della Coalizione sono pieni di uomini, donne e vecchi iracheni? Non sarebbe stato meglio concentrare gli sforzi su uno scambio tra ostaggi e detenuti nelle prigioni del nemico?". Parole che trasudano odio e ci fanno capire come la liberazione dei tre sequestrati italiani sia ancora lontana.

Questa gente non scherza. È organizzata e decisa a tutto. Le armi non le consegneranno mai, piuttosto sono disposti a morire e a infiammare tutto l'Iraq. "Se attaccheranno Falluja, esploderà l'intero paese", ripete Omar facendo sue le parole che proprio ieri lo sceicco sunnita Samarrai ha pronunciato nella capitale, a sessanta chilometri di distanza da qui. E' ormai buio pesto quando il nostro camion lascia mestamente Falluja nell'indifferenza di chi ci ha accolti.
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Messaggio da invisigot »

"Calci, pugni e umiliazioni
l'incubo di noi prigionieri"

ATTILIO BOLZONI

BAGDAD - Scivolano fuori lentamente, contano i passi che mancano all'ultimo filo spinato, si trascinano nella polvere. E non si voltano mai i dannati di Abu Ghraib. Zoppicano, barcollano, storditi dall'aria che non respiravano più e dalla luce che non vedevano più si guardano intorno sperduti, cercano una faccia amica, cercano un fratello, un padre, una madre. Poi finalmente calpestano un po' di terra che è la loro libertà. E uno dopo l'altro, cominciano a raccontare gli orrori. Acqua bollente e sabbia infilata con gli imbuti nelle orecchie. Gas spruzzati negli occhi. Colpi di bastone in faccia e in testa. Sostanze irritanti spalmate sulla pelle. Minacce di stupro. Cani aizzati contro. Tutti gli incubi di Abu Ghraib. Parlano loro, parlano le vittime del carcere della vergogna.

Sembrano come fantasmi questi uomini che hanno appena lasciato l'inferno che è lì dietro. E' proprio lì a cento metri la prigione dove Saddam per trent'anni aveva massacrato gli iracheni, il "campo" dove soldati americani negli ultimi mesi hanno seviziato veri e presunti guerriglieri catturati in quel "triangolo sunnita" che da Bagdad tocca da una parte Falluja e dall'altra la città di Ramadi.

Mezzogiorno, sole implacabile, folla dei parenti che urla "go home" ai militari sempre più nervosi sulle torrette del carcere. Ecco, all'improvviso esce il primo dei quasi trecento prigionieri che saranno liberati entro il tramonto. Cammina a fatica, inciampa, cade, si rialza ondeggiando. E' alto, smilzo, la barba incolta. E' di Khanakine, un villaggio ad est della capitale. Si chiama Alì El Shibibi e ha trentadue anni. La sua voce sofferente spiega cosa è stata la sua vita per otto mesi: "Mi sono accadute cose terribili, in certi momenti avrei preferito morire. A settembre mi hanno rinchiuso là dentro e ho sempre dormito a terra. Di giorno e di notte i soldati americani mi prendevano a calci in faccia e nello stomaco, quando urlavo mi spruzzavano negli occhi un gas e non vedevo più niente. Loro ridevano e continuavano a picchiarmi". Alì si ferma, guarda il ragazzo che sta avanzando oltre il filo spinato. E' un altro che stava anche lui in uno degli otto "settori" di Abu Ghraib, era finito in una cella di pochi metri dove erano pigiati in venti. Il suo nome è Salh Hussein, è di Falluja. Salh non parla, non dice neanche una parola. E' sotto choc. Arriva un fratello e se lo porta via, lo carica su un furgone che scompare sulla strada per Bagdad.
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La folla dei parenti arrivata di prima mattina davanti Abu Ghraib è in tumulto. I ragazzini cominciano a lanciare pietre contro i soldati, le donne gridano, gli uomini si accalcano sempre più vicini all'ultima barriera prima delle torrette. Esce Aizat, che ha 28 anni ed è di Ramadi. Anche lui da settembre era rinchiuso in una camerata dove ce ne stavano più di cinquanta. Racconta: "Ogni sera i soldati mi dicevano che mi avrebbero messo dentro le orecchie acqua calda e sabbia, qualche volta lo facevano... diventava un impasto come il cemento, il dolore era insopportabile, urlavo, piangevo e loro facevano finta di non sentire e continuavano a infilarmi acqua e sabbia nelle orecchie con un imbuto". E racconta: "Qualche volta mi gettavano addosso una sostanza irritante, ho tutta la pelle della schiena bruciata". Solleva la tunica bianca e mostra i segni della tortura. E racconta ancora: "Tutti i mesi li ho passati sdraiato a terra, di giorno e di notte. Non mi facevano alzare mai, appena provavo a sollevarmi mi insultavano e mi bastonavano. D'inverno accendevano i condizionatori per farci morire dal freddo. Eravamo sempre nudi, non ci facevano avere mai uno straccio addosso. Qualcuno ci diceva che prima o poi ci avrebbero anche violentato".

Escono soli o a gruppi di tre o di quattro i prigionieri sopravvissuti ai gironi di Abu Ghraib. Sono tutti ragazzi o giovani uomini. Oggi libertà anche per Hadi Phasan, vent'anni, preso una notte di sedici giorni fa in un quartiere di Bagdad insieme ai suoi quattro fratelli. Dice: "Da quella notte di metà aprile non li ho più visti, credo che siano ancora in un angolo di questa prigione. Per me e per i miei fratelli nessuna accusa specifica, ci hanno preso e basta. E poi portato qui". Apre la bocca Hadi e fa vedere che non ha più quattro o cinque denti. Spiega: "Me li hanno rotti a colpi di canna di fucile e di bastone, mi facevano domande alle quali non sapevo cosa rispondere e continuavano a spaccarmi tutto. Una notte i soldati sono venuti nella mia cella con i cani. Ce li hanno scagliati contro senza museruola per farci paura. Poi se ne sono andati ridendo. Proprio come ai tempi di Saddam". Alle sue spalle arriva un altro prigioniero liberato. E anche lui parla delle sevizie. Poi però dice: "Da una settimana là dentro non succede più nulla, non sfiorano più nessuno".

Spariscono tra la folla dei parenti i dannati di Abu Ghraib, la folla che si era radunata qui fin dal primo mattino per protestare contro le torture, per poter vedere un figlio o un fratello, per chiedere un colloquio dopo mesi e mesi di silenzio. Sono in mille e forse anche di più. C'è pure il capo della tribù locale Sahk Thari, sventolano bandiere irachene, i ragazzini alzano cartelli con su scritto: "Soldati americani tornate a casa, le vostre famiglie vi aspettano", "Ricordatevi che questo paese è degli iracheni", "Liberate le donne o lanceremo la guerra santa". La folla all'improvviso insorge, poi si placa. C'è un poliziotto iracheno che sale sui sacchi di sabbia a difesa intorno al carcere. Alza la voce, per farsi sentire da tutti. Annuncia che ha una lista di prigionieri che saranno liberati nel pomeriggio o forse domani. La folla si ammutolisce. Il poliziotto urla quasi duecento numeri. Ogni numero corrisponde a un prigionierio, a un uomo che nelle prossime ore lascerà l'inferno di Abu Ghraib.

(6 maggio 2004)


Genova, Abu Grahib e chissà quanti altri ancora...a me questa democrazia non interessa più.
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Yubi40
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Messaggio da Yubi40 »

Cercando tutt'altra cosa, sono incappata in un editoriale di Luigi Casadei, in arte "Doc" e una serie di sue vignette pubblicate sul settimanale di Rimini "Il Ponte". Per queste 2 il disegno non è strettamente necessario:

"Allora come vanno queste bombe intelligenti di ultima generazione?"
" .. non lo sappiamo signore ... si rifiutano di salire sugli aerei .."
*********
"... dietro a questa guerra c'e' una question di principio!"
"Sì .. ho visto il principio, ma non vedo la fine ..."

Il dramma di queste vignette: sono state pubblicate nel 1999, durante la guerra nei Balcani ... come dire che non c'è nulla di nuovo sotto il sole e le verità, anche se dette così, restano tali ... putroppo ...

Risata a denti stretti ... sembra piuttosto un digrignare di denti!
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DNA75
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Messaggio da DNA75 »

L'orrore della tortura semina terrorismo, violenza e altro orrore. Come il terrorismo semina la tortura e altri bombardamenti e altro orrore. E' un gioco folle. E noi ci siamo dentro.
Quello che possiamo fare e' ostacolare questa violenza contrastando l'ideologia della distruzione e della morte casa per casa. Giorno per giorno.
E vorrei a questo proposito lanciare un allarme: molti compagni stanno sbroccando sotto il peso dell'orrore e si sente di nuovo la gente parlare di "opporsi all'orrore con tutti i mezzi". Non ci vuole molto a capire che siamo sull'orlo di un fenomeno di ritorno a "quei mezzi". Le armi.
Davanti a questo drammatico momento storico esiste il rischio gravissimo che una (piccola) minoranza del movimento scelga di tentare nuovamente la radicalizzazione dello scontro. Ma basterebbero un centinaio di "schegge impazzite" per scatenare, in Italia, un quinquennio di morte e distruzione.
I segni, lo sapete, ci sono tutti. L'esasperazione e' alle stelle. Il senso di impotenza davanti all'orrore quotidiano e' enorme e le persone sensibili lo vivono fisicamente. E apparentemente non c'e' nessun progetto che ci possa portare fuori dal tunnel di questo divertimento.
Possiamo sperare che succeda qualche cosa che blocchi questa deriva di suicidio collettivo? Nel Cacao del 4 maggio, cercavo di raccontare le poche cose positive che stanno succedendo in Iraq.
E speravo che iniziassero a venire segni piu' consistenti. Ed ecco che arriva la notizia, che 150 capi famiglia sciiti (Ulema) hanno chiesto alle milizie armate di ritirarsi dalle citta' assediate. Dopodiche' gli Usa hanno attaccato. Forse quello che temono e' proprio che si manifesti una terza posizione pacifista che abbia la forza di imporre una trattativa sulle elezioni e il passaggio all'Onu del controllo dell'ordine pubblico. Comunque qualcuno sta cercando di fare qualche cosa in mezzo alle bombe. Sosteniamoli almeno parlando di loro.
Dai una possibilita' alla pace!
Ma intanto abbiamo un problema immediato: fare i conti con il trauma che abbiamo vissuto rispetto a questa storia orrenda delle torture. Vedere l'impietoso realismo delle immagini e' stato uno shock. Credo che sia giusto allora chiedersi:


((titolo))
Alcune osservazioni sulla misura dello scandalo tortura



C'e' un tempo in cui bisogna sudare e faticare con la mente per scoprire un filo di vita nel baratro dell'orrore.
Sinceramente sto male da parecchi giorni per questa storia delle torture in Iraq. Da anni denunciamo le torture in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, nella ex Jugoslavia... Diventai un attivista politico a 11 anni dopo aver letto un libro sulle torture praticate dai marines in Vietnam.
La tortura non e' una novita'.
Lo shock terribile per me e' vedere che davanti all'evidenza assoluta dei crimini non ci sia una reale crisi, un reale rendersi conto del significato di cio' che succede. Bush e Blair si dichiarano sinceramente inorriditi e il generale Janice Carpinski, che comandava il carcere sara' processata. E chi mandano a sostituirla? Il generale che comandava Guantanamo!!! Un altro lager dove a torture non scherzano.
Il fatto che per la prima volta l'orrore della tortura venga ammesso e, almeno a parole, condannato dai capi dei torturatori stessi, e' certamente un passaggio essenziale verso la nascita di un umanita' amorevole.
Ed e' una grande novita' che, finalmente, nessuno possa negare l'evidenza.
Sono secoli che pochi individui denunciano l'orrore delle torture. E queste persone sensibili alla vita sono aumentate via via e oggi sono milioni. Ma fino a quando queste informazioni sulla tortura giravano soltanto sui bollettini di Amnesty International, un angolo della nostra mente poteva continuare a sperare che fossero esagerazioni, che le cose non stessero esattamente cosi'. E invece ora la misura della verita' si mostra in tutto il suo orrore.
Quella faccia di giovane donna che indica il membro del prigioniero e sorride allegra e spensierata. Quell'altra, anch'essa carina e felice che ride stando sopra una pigna di uomini nudi e incappucciati, disposti a piramide, in posizioni che potrebbero essere sessuali... Quell'assenza del senso del male in quei visi di giovani donne. Potrebbe essere la pubblicita' di un nuovo sapone se non fosse l'orrore della Citta' della Morte. Cosi' chiamavano il carcere di Baghdad i prigionieri ai tempi di Saddam.
Un presidente, un presidente vero, un presidente con un cuore, con un'etica, un presidente come quelli dei film... che quando scopre che i suoi soldati hanno fatto quello che hanno fatto, non si limita a dire "Sono sinceramente inorridito".
No, dovrebbe chiedersi se e' vero che, come sostiene Amnesty International, la tortura e' il sistema standard delle truppe americane ovunque e comunque.
E scoprirebbe anche che il suo paese istitui' scuole per torturatori americani e stranieri, dove si insegno' la tecnica della distruzione dell'uomo e della donna, la tecnica dell'umiliazione e dello stupro, delle scosse elettriche e delle pastiglie che ti spappolano la mente.
E' ancora lunga la strada per fermare la tortura (quella dei russi in Cecenia, quella dei cinesi nelle carceri di Pechino, quella dei generali birmani e dei colonnelli Coreani del nord e del sud).
Ora che la tortura e' stata mostrata in tutto il suo orrore sento il bisogno di capire la storia di questo male. Se ci riesco posso dargli una misura umana e sperare che si possa estinguerlo. Ho bisogno di scrivere questo articolo per fuggire alla paura che queste notizie mi danno. La paura di vivere in un mondo di mostri senza la possibilita' di un cambiamento.

Ma andiamo con ordine. Prima prendiamo bene le misure.
E' importante capire che l'inviolabilita' del corpo non e' un tabu' per buona parte della popolazione dell'Occidente Cristiano.
Gesu' ha patito il supplizio della Croce ma questo non sembra ispirare pieta'...
Quel pazzo di leghista che sostiene la legittimita' della tortura se episodica (non ripetuta) dimostra che c'e' chi non prova disgusto totale per l'idea di catturare un essere umano e strappargli le unghie.
Per loro e' un'eventualita' che si puo' prendere in considerazione.
A riprova di questo la storia di come e' venuto fuori lo scandalo inglese delle torture. Mesi fa, lo racconto' Nuovi Mondi Media, una pacifista che lavorava in un centro sviluppo e stampa foto, ricevette un rullino con scene di uomini picchiati, soldati che pisciavano loro addosso, sghignazzavano mentre li costringevano a reciproche fellatio, eccetera eccetera.
La ragazza corre alla polizia ma nessuno le da' retta. Astutamente aveva fatto delle copie e le mette su internet e vengono riprese dai siti pacifisti di tutto il mondo.
Avete letto una riga su uno dei grandi quotidiani italiani? Avete visto una qualche iniziativa politica da parte dei grandi partiti della sinistra? Silenzio assoluto in tutto il mondo occidentale. Perche' ovviamente sui giornali arabi stavano in prima pagina.
Volete dirmi che nessun giornalista italiano e' collegato a internet?
Poveri piccoli sprovveduti...
Questa e' la reale situazione dell'orrore. Solo quando un gruppo di esseri umani annidati nel cuore dell'Impero riesce a violare il segreto si scatena una reazione a catena. E finalmente nelle periferie questi giornalisti col tassametro hanno il coraggio di alzare la voce e gridare allo scandalo. Che grandi merde puzzolenti!
Ma e' un grande segnale, comunque. Un piccolo gruppo di sorelle e fratelli, al di la' dell'Oceano, e' riuscito a far crollare la diga. E ora neanche Bruno Vespa puo' dire che non e' vero.
E dobbiamo osservare che e' stato solo grazie ad alcuni militari e a qualche generale Usa che e' scoppiato lo scandalo.
Questa e' la novita'. Lo dicemmo dopo il massacro di Genova: ci sono stati carabinieri che hanno difeso i pacifisti e pacifisti che hanno difeso i Carabinieri dai Black Block. Sta lentamente crescendo una nuova forma di rispetto umano che non riconosce neppure ai tuoi "compagni" il diritto di violare il corpo dei vinti e dei prigionieri.


Come puo' un uomo, una donna, torturare un altro essere umano?
Dobbiamo capire i meccanismi della tortura se vogliamo digerirla emotivamente e poi cancellarla dal mondo.

Ma per capire cosa stia succedendo bisogna parlare di Baghdad, e di un fatto passato inosservato: il primo tentativo di massacro umanitario.
Forse vi sarete chiesti anche voi perche' il carcere, la Citta' del Male, sia stato bombardato a colpi di mortaio dalla resistenza (scusa Bruno Vespa). Il risultato sono stati 22 morti tra i prigionieri. Mi sono chiesto: perche' uccidere i prigionieri? ...Forse e' stato un errore...
Ma non c'e' stato nessun errore. I siti internet di quella che una volta era la resistenza irachena anti-Saddam raccontano la storia di una donna che riesce a far uscire un bigliettino dal carcere. E questo bigliettino arriva a destinazione e viene copiato in migliaia di copie e incollato sui muri della citta' di Baghdad e nei villaggi vicini. Il bigliettino dice: "Sono qui nella Citta' della Morte, ci violentano. Se restero' incinta mi uccidero'. Vi prego attaccate questa prigione. Venite a liberarci."
Ma attaccare la Citta' della Morte e' impossibile. L'unico atto di pieta' puo' essere quello di cercare di uccidere tutti i prigionieri.
Hanno liberato 22 anime dalla Morte. 22 anime come le carte dei tarocchi di Alessandria d'Egitto. In oriente i simboli hanno un potere.
E' terribile. E' un messaggio di morte e vendetta che non ha pari. L'orrore che l'occupazione americana sta provocando nel popolo musulmano e' smisurato.
...Questa e' la storia della Citta' della Morte che si racconta oggi nei bazar e nei suk...E' una storia che grida vendetta. Una storia che muove la fantasia delle persone verso una forma di odio illimitato.
Avete idea cosa hanno pensato milioni di mussulmani guardando le foto di quelle donne sorridenti davanti a uomini costretti a mimare la sodomia?
Puoi immaginare signor Bush quanto odio ci costera' questo?
E tu sei mortificato? E mi metti a capo di quella prigione il famoso torturatore di Guantanamo?
Si dice che sia uno specialista in sodomia e uso creativo del trapano dentistico...Dice che l'ha visto in un film. Bravi ragazzi.

Ma a questo punto c'e' da chiedersi di che malattia si tratti. Non riesco proprio a pensare che un qualsiasi piano diabolico preveda la fine del mondo dopo un agitato periodo di guerre, avvelenamenti da inquinamento, massacri dovuti a disastri ecologici, cibi transgenici ed epidemie scatenate da eccesso di antibiotici.
Questo e' un grosso problema.
Puoi pensare che lo fanno apposta. Io non ci credo. Anche uno scemo ormai puo' capire che si possono fare tanti soldi in tanti modi e che inquinare e ammazzare non e' il modo piu' comodo e intelligente...
No, io credo che siamo di fronte a una malattia mentale. Un gene culturale impazzito. Impazzito da millenni, non e' una novita'. E in effetti una volta era peggio, i prigionieri li squartavano per strada e la folla andava a applaudire.
Oggi meta' dell'umanita' almeno ha capito che infilare spranghe elettriche nell'ano delle persone non e' segno di distinzione e classe. L'altra meta' ha dei dubbi e un certo numero di strapazzati mentali e' tanto fuori dal tempo da pensare che sara' carino mostrare ai vicini di casa riuniti intorno al tacchino le foto di quando pisciava in faccia ai sospetti terroristi col suo grasso pisellone in primo piano. Fa fine! E' glamour.
Questo e' l'aspetto centrale. Questa possibilita' di esibire come souvenir dei bei tempi della guerra immagini di orrore puro.
Uno dei marines americani sotto processo ha dichiarato: "C'erano ufficiali, agenti della Cia, della Polizia Militare, ci dicevano che eravamo bravi, ottenevamo molti risultati."
La tollerabilita' del male e' la linea di demarcazione tra sanita' e follia.
Ma se vogliamo fare qualche cosa per il futuro di questo mondo dobbiamo andare oltre. Andare a fare visita ai nostri spettri per capire come una ragazzina cresciuta a Coca Cola e McDonald's possa giocare con il terrore di altri esseri umani e andarne tanto fiera da farsi fotografare. E questo senza che mai possa neppure sfiorarla l'idea che possa farsi dieci anni di carcere proprio grazie a quella fotografia...
E' essenziale capire questo per salvare quel minimo di fiducia nel genere umano che ci serve per continuare a sognare.
Innanzi tutto dobbiamo collocare questo evento sulla linea della storia. Oggi esplode lo scandalo. Questa e' la novita'. E siamo di fronte a relitti umani trivellati dai telefilm violenti e dalle merendine ipercaloriche.
Sono persone tanto sprovviste di senso della realta' che non capiscono di avere commesso atti esecrandi.
Ma cento anni fa non ci sarebbe stato uno scandalo e trecento anni fa, i nobili e i ricchi programmavano i tour turistici in carrozza, tenendo conto del calendario delle impiccagioni. Faceva fine non perdersene neanche una. Gli antichi romani, al Colosseo si godevano lo strazio dei prigionieri in diretta, se ne ammazzavano mille per volta, quarantamila in un mese ai tempi di Traiano il Pazzo.
Poi i patrizi tornavano a casa e rifacevano le scene che gli erano piaciute di piu' con i loro schiavi. I limiti legali entro i quali un padrone poteva torturare i suoi schiavi erano incredibilmente labili e peraltro le poche sanzioni previste non vennero quasi mai applicate.
Quindi dobbiamo renderci conto che siamo alla fine di un ciclo storico di orrore conclamato e acclamato e che questi psicotici che si mostrano nelle foto, felici delle loro bravate, sono l'ultimo colpo di coda del delirio che una volta era la cultura comune dei bravi cittadini onesti.
Ma ancora abbiamo bisogno di conoscere meglio la natura di questo orrore. Per anni mi sono chiesto come sia possibile che un essere umano giunga a tanto abominio. Molti grandi persone hanno lavorato per darci una risposta, una soluzione a questa angoscia logica e spirituale.
Come puoi farlo?
Questi ricercatori hanno fatto qualche cosa di incredibilmente difficile. Sono andati da questi maniaci e hanno parlato con loro con l'intenzione di ascoltare. E hanno scoperto un baratro di follia che ha una forma molto chiara e definita. Innanzi tutto la maggioranza di questi devastati psichici, una volta che trova chi li ascolti in modo neutro (senza esprimere giudizio), rivelano un bisogno terribile di parlare e di raccontare nei dettagli tutto l'orrore che hanno commesso. E sono disposti anche a descrivere minutamente i meccanismi mentali che mettono in pratica per riuscire a compiere tali orrori. Si tratta sempre dello stesso meccanismo di base, anche se le varianti sono infinite come gli oggetti che si possono usare per provocare dolore.
Tutte queste persone hanno una grave lesione emotiva che impedisce loro di capire che esiste veramente un mondo esterno indipendente dalla loro mente.
Lo so che sembra un pensiero assurdo, ma c'e' un esempio che rende tutto piu' chiaro.
Un gruppo di scienziati scopri' che prima dello stupro i maniaci sessuali violenti passano ore a pensare a come prenderanno la loro vittima e a come la violenteranno, esplorando i dettagli piu' minuti della loro azione, i dettagli della stoffa, delle mani, dei capelli. Percorrono questo delirio centinaia di volte generalmente masturbandosi. Poi quando compiono realmente lo stupro rivivono le fantasie e questo permette loro di trattare le immagini di cio' che sta avvenendo come se non fossero reali. Sostanzialmente agiscono in uno stato di totale sordita' alle sensazioni, l'azione avviene per loro solo nella testa, non ascoltano le sensazioni reali ma quelle mentali.
Nelle loro fantasie la vittima gode della violenza che loro le infliggono e alla fine ringrazia e diventa schiava masochista di qualunque aberrazione.
Il fatto che la vittima reale urli veramente e pianga, per lo stupratore e' solo una finzione.
Questi ricercatori hanno cercato di verificare se la loro ipotesi fosse corretta proponendo agli stupratori di recitare lo stupro di cui sono colpevoli. Si e' notato in molti casi che i boia riescono a descrivere molto bene quello che hanno fatto mimando le proprie azioni piuttosto che descrivendole a parole. La mente tende a cancellare il ricordo dell'orrore commesso, il corpo ricorda.
Dopo che lo stupratore ha mimato tutta la scena della violenza con un attore, allora si invertono i ruoli e lo stupratore rivive l'azione interpretando il ruolo della sua vittima.
A questo punto in molti casi si e' verificato una specie di corto circuito mentale. Mentre lo stupratore e' meccanico e automatico quando esegue i gesti atroci che ha compiuto veramente, se li rivive dalla parte della vittima e' sconvolto da crisi emotive violente e sembra colpito dall'orrore commesso, se ne rende conto per la prima volta.
Siamo cioe' in presenza di vittime di un qualche trauma (a volte la vita di provincia in un'amorosa famigliola di egoisti e' un trauma sufficiente). Essi hanno perso una fondamentale funzione umana: la capacita' di empatia, di sentire l'altro, di entrare in comunione con chi ti sta vicino.
Questa menomazione emotiva e culturale e' di per se' una mutilazione terribile: impedisce di innamorarsi, di giocare, di lasciarsi andare, di creare arte, di comunicare con gli esseri umani. Sono persone che pensano magari che con una foto in mano che li ritrae mentre picchiano la gente risulteranno piu' simpatici e saranno meno soli.
Arida consolazione del torturato e' sapere che il suo aguzzino soffre un tormento interiore feroce che lo rende insensibile all'esterno perche' ha ucciso dentro di se' tutti i ricettori del piacere.
E' come vivere in un sarcofago di pietra.
Si parla poco della frigidita' femminile, per niente del fatto che la meta' degli uomini soffrono di frigidita'. Eiaculano ma non provano piacere. Gli antichi romani parlavano di "Tristezza post coitum". Essere felici dopo aver fatto l'amore era per loro impossibile e innaturale.
Sui libri di medicina si chiama ADENIA, ma e' una parola che non trovi sul dizionario Zanichelli ne' sul Garzanti. E neanche sui manuali di sessuologia a uso del popolo.
Da qui nasce la negazione del corpo. Dal sesso. Dove gli uomini hanno la clitoride? Dov'e' il punto L?
Il sistema sessuale e culturale nega l'esistenza di una malattia che si chiama "non sento la vita, non ho piacere", I can get no satisfaction!
E allora ti puo' sembrare sensato prendere un altro uomo, un'altra donna, infilargli delle lame nelle carni e rompere le sue ossa con un bel bastone mentre penzola dal soffitto.
Cosa pensava quel marines Usa mentre sparava sulle pecore per provare il mitra nuovo?...Come si e' sentito quando gli hanno fatto notare che non aveva visto il bambino di 4 anni che era in mezzo alle pecore e che adesso non aveva piu' la testa?

Perdona loro perche' non sanno quello che fanno.... E perche' non ci siano piu' mostri di questo genere c'e' da compiere una grande opera. Altro che la ricerca del Santo Graal... Bisogna iniziare a parlare in modo che molti di piu' capiscano.
Ma attenzione, bisognera' anche capire che la tortura e' un gene culturale prolifico e astuto, non basta estirparlo "nei malati". Dobbiamo estirparlo dal nostro modo di vedere... Una dimostrazione? Prova a immaginare che succeda qualche cosa di pazzesco e ti trovi in una stanza, solo tu e Berlusconi, e lui e' legato e incappucciato e nessuno mai potra' sapere che sei stato li'...Glielo dai uno schiaffo o no? E quanti bravi compagni conosci che secondo te in una situazione simile un bel ceffone glielo darebbero... come minimo...
E la giustificazione quale sarebbe? Quella leghista? "Una percossa episodica non e' tortura"?

E non ditemi che non ci riusciremo mai. A estirpare questa malattia della percezione. Non vi credo. Stiamo andando avanti.
Quella gente la', che ha tirato fuori le foto, le ha messe su Internet, ha fatto le denunce alla polizia firmando con nome e cognome... Quelli li' hanno rischiato del loro... E alcuni non erano neanche pacifisti.
L'umanita' e' sull'orlo del collasso. Lo ha detto anche il Pentagono.
Loro parlavano del collasso ecologico. Poi c'e' il collasso della guerra e quello della fiducia negli altri. Il collasso del traffico e il collasso dei veleni alimentari e delle allergie derivate.
Ma oggi c'erano centomila persone in piazza San Giovanni a Roma, al concerto del primo maggio dei sindacati. E ridevano e cantavano e ballavano: "Io non porto sfortuna, io vengo dalla luna..."
Forse abbiamo ancora qualche possibilita' impossibile da giocarci per salvare il mondo. Come dice Sherlock Holmes: "Quando le possibilita' possibili sono finite non restano che le possibilita' impossibili."
Facciamo qualche cosa di assurdo! Alla svelta.

Jacopo Fo
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