Ricevuto stamattina da un buon amico ... andro' a cercarmi anche l'articolo originale (URL in fondo all'articolo).
Nei prossimi cento anni la metà delle specie della Terra scomparirà. La battaglia contro l'estinzione di massa è finita. E noi l'abbiamo persa. Non si tratta della profezia di un gruppo di attivisti radicali o del catastrofismo interessato di ambientalisti in cerca di fondi. È la realtà che sta emergendo da una montagna di articoli scientifici che sono stati pubblicati negli ultimi dieci anni da riviste prestigiose come Nature, Science e gli Atti dell'accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti. Per miliardi di anni l'evoluzione sulla Terra è stata determinata da una serie di forze che agivano su piccola scala, come la selezione sessuale, e da occasionali sconvolgimenti su vasta scala, come la tettonica a zolle, la geochimica, i cambiamenti climatici globali e perfino gli asteroidi di passaggio. Nei prossimi cento anni un quarto del patrimonio genetico del pianeta scomparirà. Le terre e gli oceani continueranno a brulicare di vita, ma sarà un insieme di organismi selezionati in modo naturale o innaturale per la loro compatibilità con una forza fondamentale: noi.
Non c'è nulla- né le leggi nazionali né quelle internazionali, né le bioriserve
globali né i progetti locali di sostenibilità e neppure le fantasie di "ritorno alla natura" - che possa impedire quello che sta succedendo. Grazie alla nostra straordinaria capacità di modificare il mondo che ci circonda, noi esseri umani stiamo rendendo il pianeta particolarmente ospitale per le specie infestanti: piante, animali e altri organismi che vivono negli ambienti dominati dall'uomo. Molti di questi organismi sono estremamente adattabili, i loro bisogni sono soddisfatti in modo più completo e soddisfacente dall'uomo che non da madre natura. Dai soffioni ai coyote, in futuro aumenteranno le specie infestanti, così come crescerà la loro distribuzione sul territorio e il loro predominio ecologico. Molte di queste specie sono ormai talmente a proprio agio con noi da essere considerate parassite e da richiedere rigide misure di controllo, come per il ratto comune e il cervo a coda bianca.
Specie relitte. Ai margini, in numero sempre inferiore e con una distribuzione sempre più limitata nel territorio, vivono le specie relitte. Sono quelle che non riescono a prosperare negli ambienti dominati dall'uomo. In pericolo di estinzione, sopravvivono in popolazioni ecologicamente emarginate - come gli elefanti - o accuratamente protette - come i panda. La maggior parte di loro per sopravvivere avrà sempre più bisogno dell'intervento umano, dall'allevamento in cattività al ripopolamento continuo.
Specie fantasma. Ma altre specie non saranno così fortunate. Sono le specie fantasma: organismi che non potranno sopravvivere in un pianeta abitato da miliardi di persone. Anche se è probabile che continuino a esistere per qualche decina di anni, la loro estinzione è certa, fatta eccezione per pochi esemplari nei giardini zoologici. Mentre negli Stati Uniti ci sono diecimila tigri tenute come animali domestici, quelle che vivono in libertà in tutto il mondo sono appena settemila. Nei prossimi cento anni la quasi metà delle specie terrestri diventerà relitta o fantasma, mentre quelle infestanti saranno una percentuale sempre più grande delle piante e degli animali che ci circondano. Grazie alla loro compatibilità con noi, le specie infestanti sono in grado di seguirci per tutto il pianeta e di omogeneizzare la biosfera, andando a riempire gli spazi lasciati vuoti dai relitti e dai fantasmi. In ogni continente incontreremo specie sempre più simili, se non esattamente uguali, di piante, uccelli, insetti, mammiferi e altri organismi.
Non possiamo fare nulla. Man mano che ci siamo resi conto del problema
dell'estinzione, abbiamo cominciato a prendere provvedimenti. Questi tentativi, limitati e sempre tardivi, rientrano in un insidioso processo che sta trasformando la vita sulla Terra. I mezzi più comuni che usiamo per preservare la biodiversità - leggi e regolamenti, bioriserve e programmi di sviluppo sostenibile - sono essi stessi potenti strumenti di selezione umana, che ritardano - per il nostro piacere - ma non modificano l'esito: l'estinzione di massa delle specie viventi. L'idea stessa di poter fermare l'estinzione con le leggi - come se i governi potessero costringere la natura incontaminata a restare tale - si basa su una premessa sostanzialmente falsa: vale a dire che le cause dell'estinzione siano finite e riducibili, e che il numero di specie davvero in pericolo sia ragionevolmente limitato. Il grande paradosso della legge per la tutela delle specie a rischio americana è l'istituzionalizzazione dell'evoluzione condizionata dall'uomo. Siamo noi a decidere quali specie entreranno nella lista e saranno protette e quali no. Decidiamo noi quali sono gli habitat in pericolo. Di fatto, le decisioni su quali specie proteggere sono determinate dal nostro gusto estetico e dai nostri interessi
economici piuttosto che dal loro ruolo ecologico e biologico. Le regolamentazioni, insomma, non fanno altro che trasformare la natura in un prodotto dell'immaginazione umana.
Un buon motivo per non fare nulla? Non possiamo impedire la fine della natura selvaggia. Senza un'immediata riduzione del 95 per cento della popolazione umana (un pensiero che ci fa inorridire) non possiamo cambiare l'attuale corso degli eventi.
Anche l'idea di lasciare che "la natura faccia il suo corso" in un mondo dominato a tal punto dall'umanità è pericolosa e contraddittoria. Che ci piaccia o meno, adesso la natura lavora per noi. Se l'umanità deve sopravvivere e prosperare su questo pianeta, non abbiamo altra scelta se non quella di gestire la fine della natura incontaminata nel minimo dettaglio. Spendere cento miliardi nei prossimi dieci anni per capire le dimensioni del processo di estinzione è molto più importante per l'umanità che non andare a scavare sulla superficie di Marte per scoprire i segni dell'estinzione di ipotetici batteri vissuti miliardi di anni fa. Oggi la spesa globale per tutela degli ecosistemi è appena superiore a tre miliardi di dollari l'anno, il prezzo di due bombardieri invisibili B-2. Se vogliamo che la fine della natura incontaminata non danneggi anche l'uomo, dobbiamo spendere dieci volte quella cifra per compensare l'impatto involontario della selezione umana. La fine della natura selvaggia non vuol dire che il mondo diventerà un luogo sterile e desolato.
Ci saranno molte forme di vita. Saranno solo meno diversificate, molto meno esotiche, molto più prevedibili e, dato il predominio delle specie infestanti, molto più fastidiose. Noi abbiamo perso la natura selvaggia. Ma forse tra cinque o dieci milioni di anni ritornerà.
(L'articolo completo di Stephen M.Meyer, insegnante di scienze politiche al
Massachusetts Institute of Tecnology, pubblicato su Boston Review, lo trovate su Internazionale n°544. Il progetto sulle politiche ambientali del MIT, diretto da Meyer, lo trovate all'url web.mit.edu/polisci/mpepp.)
Addio alla natura incontaminata.
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"... as every one knows, meditation and water are wedded for ever"
"... of all tools used in the shadow of the moon, men are most apt to get out of order."
H.Melville, "Moby Dick"
"Fra la vita e la morte c'è un posto dove si può mettere in equilibrio l'impossibile"
Amy Tan "I cento sensi segreti"
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Gli articoli di questo tipo mi hanno sempre lasciato un pochino perplessa
Non perchè non condivida il panorama tragico o il buio delle prospettive future..meno che mai perchè non condivida l'opinione che siano necessari interventi e soprattutto risorse (economiche, umane, progettuali...)
Ciò che non mi convince (a parte il tono da apocalisse
) è che contribuiscono - magari involontariamente - a diffondere un messaggio a mio avviso profondamente equivoco se non del tutto sbagliato, ovvero che la protezione ambientale sia un qualcosa di cui altri- politici, ricercatori, esperti, legislatori ecc...- debbano in qualche modo occuparsi a prescindere da noi per poi dirci cosa fare per evitare che...
Non dico tutte ma molte cose le sappiamo già. Rimane da bypssare il problema che, se veramente ce ne volessimo occupare, la lista delle cose che dovremmo smettere di fare sarebbe di gran lunga superiore a quella delle cose da fare. Sappiamo tutti ormai che andare in massa in quei luoghi che definiamo ancora "paradisi naturali" è uno scempio, indipendentemente dal comportamento rispettoso ed ecologico che si può
adottare. Eppure scagli la prima pietra chi non partirebbe domattina per le Galapagos (io per prima). Noi in realtà chiediamo alla scienza e alla ricerca soluzioni che ci consentano di vivere come adesso senza però fare danno, senza che il nostro essere uomini che possono andare ovunque e fare qualunque cosa abbia effetti ovunque e su tutto. A volte mi sembra che più che di scienza abbiamo evidentemente bisogno di filosofia, di un pentagramma etico morale ed ontologico che ci ricollochi mentalmente al nostro posto. Fermare il disastro significa tornare ad essere umili, o imparare ad esserlo se dovessimo scoprire che non lo siamo mai stati. L'umiltà della specie ha un grande vantaggio: può essere esercitata fuori dalle leggi, fuori dai regolamenti e anche in una dimensione strettamente individuale ovvero fuori dalla logica del branco.
Probabilmente è che sono troppo d'accordo con ciò che dice questo articolo per ritenere sufficiente investire in ricerca. Quella occorre per rimediare i danni...per prevenirli occorre abbassare la cresta di fronte alle altre specie, accettare cose tipo che le Galapagos sono delle tartarughe marine e che noi saremo grandi uomini se moriremo senza averle viste e non invece per l'averle viste. Concordo su tutto ciò che c'è scritto nell'articolo...tranne sul fatto che sia sufficiente qualche scienziato e una manciata di miliardi per insegnarci questa umiltà. Serviranno a poco se a cambiare non saranno le nostre aspettative e pretese esistenziali.
Scusate la lunghezza, spero almeno che si capisca

Non perchè non condivida il panorama tragico o il buio delle prospettive future..meno che mai perchè non condivida l'opinione che siano necessari interventi e soprattutto risorse (economiche, umane, progettuali...)
Ciò che non mi convince (a parte il tono da apocalisse

Non dico tutte ma molte cose le sappiamo già. Rimane da bypssare il problema che, se veramente ce ne volessimo occupare, la lista delle cose che dovremmo smettere di fare sarebbe di gran lunga superiore a quella delle cose da fare. Sappiamo tutti ormai che andare in massa in quei luoghi che definiamo ancora "paradisi naturali" è uno scempio, indipendentemente dal comportamento rispettoso ed ecologico che si può
adottare. Eppure scagli la prima pietra chi non partirebbe domattina per le Galapagos (io per prima). Noi in realtà chiediamo alla scienza e alla ricerca soluzioni che ci consentano di vivere come adesso senza però fare danno, senza che il nostro essere uomini che possono andare ovunque e fare qualunque cosa abbia effetti ovunque e su tutto. A volte mi sembra che più che di scienza abbiamo evidentemente bisogno di filosofia, di un pentagramma etico morale ed ontologico che ci ricollochi mentalmente al nostro posto. Fermare il disastro significa tornare ad essere umili, o imparare ad esserlo se dovessimo scoprire che non lo siamo mai stati. L'umiltà della specie ha un grande vantaggio: può essere esercitata fuori dalle leggi, fuori dai regolamenti e anche in una dimensione strettamente individuale ovvero fuori dalla logica del branco.
Probabilmente è che sono troppo d'accordo con ciò che dice questo articolo per ritenere sufficiente investire in ricerca. Quella occorre per rimediare i danni...per prevenirli occorre abbassare la cresta di fronte alle altre specie, accettare cose tipo che le Galapagos sono delle tartarughe marine e che noi saremo grandi uomini se moriremo senza averle viste e non invece per l'averle viste. Concordo su tutto ciò che c'è scritto nell'articolo...tranne sul fatto che sia sufficiente qualche scienziato e una manciata di miliardi per insegnarci questa umiltà. Serviranno a poco se a cambiare non saranno le nostre aspettative e pretese esistenziali.
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Un libro dovrebbe essere una sfera di luce nelle mani di chiunque (Ezra Pound)
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Cara Babette!
WOW! Bello quello che hai scritto!
Gia' da sempre dico che i nostri "bollettini per i consumatori" sono le notizie piu' "ecologiche" che esistano e che il nostro comportamento, di singoli "consumatori", ma anche "produttori", "pensatori" ha il suo peso!
Penso che magari l'articolo sia anche scaturito dalla polemica che imperversa al momento negli Stati Uniti su cosa valga la pena spendere i soldi dei contribuenti ... e in questo caso forse si capisce il perche' del paragone armi-ricerca e il perche' si parli appunto di soldi ...
Ora sono io a chiedere se si capisce cosa intendo dire ...

WOW! Bello quello che hai scritto!

Gia' da sempre dico che i nostri "bollettini per i consumatori" sono le notizie piu' "ecologiche" che esistano e che il nostro comportamento, di singoli "consumatori", ma anche "produttori", "pensatori" ha il suo peso!
Penso che magari l'articolo sia anche scaturito dalla polemica che imperversa al momento negli Stati Uniti su cosa valga la pena spendere i soldi dei contribuenti ... e in questo caso forse si capisce il perche' del paragone armi-ricerca e il perche' si parli appunto di soldi ...
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Si capisce si...a parte i "bollettini dei consumatori"
(cosa sono?). Non vorrei andare OT ma mi interessano tutte le iniziative in campo consumo critico...vedi tu se rispondere qua o per mp 
Per quanto riguarda i motivi contingenti da cui scaturisce l'articolo comprendo.....però è un po' il cane che si morde la coda. In pratica quello ambientale dovrebbe divenire un profilo di tutte le altre discipline (meccanica, ingegneria, chimica, fisica ecc...). Finchè rimane una disciplina a sè stante, fatta di teorie e principi, temo che non avrà mai la forza di condizionare le scelte



Per quanto riguarda i motivi contingenti da cui scaturisce l'articolo comprendo.....però è un po' il cane che si morde la coda. In pratica quello ambientale dovrebbe divenire un profilo di tutte le altre discipline (meccanica, ingegneria, chimica, fisica ecc...). Finchè rimane una disciplina a sè stante, fatta di teorie e principi, temo che non avrà mai la forza di condizionare le scelte

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