Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
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Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
... bellisssssssssimo...
Roth è quanto di più sboccato e dissacrante la contemporaneità proponga, (anche se ammetto candidamente di non aver mai letto Bukowskij - si scrive così?! ), eppure riesce a dominare talmente bene le parole da meritarsi un'aura di genialità intorno al nome...
La trama è molto semplice: il romanzo è infatti una sorta di stream of consciousness (tipo La Coscienza di Zeno - ma MOLTO meno pesante e MOLTO più coinvolgente - o Mrs Dalloway - ma MOLTO meno sintatticamente sciolto e MOLTO più semplice da seguire, mi perdoni la dea Virginia ), nella quale il narratore, Alex Portnoy, racconta a uno psicologo i momenti più significativi della propria vita, che sono incentrati soprattutto sul suo scomodo ateismo (lui è figlio di ebrei, ma preferirebbe essere un comunista in Russia che un ebreo a Gerusalemme - o qualcosa del genere, correggetemi se sbaglio), e della sua sfrenata bramosia di sesso (fantasie ludico/erotiche comprese e descritte abbastanza nel dettaglio).
E' un "maledetto" contemporaneo, se ancora ne possono esistere... io per il momento ho letto L'animale morente, e mi è piaciuto moltissimo, ma adesso vorrei darmi a La macchia umana, soprattutto per genuina curiosità: voglio vedere come la penna cattivissima di Roth riesca a tracciare i contorni di una storia che vista al cinema era stata pressoché soporifera, e un po' retorica...
Roth è quanto di più sboccato e dissacrante la contemporaneità proponga, (anche se ammetto candidamente di non aver mai letto Bukowskij - si scrive così?! ), eppure riesce a dominare talmente bene le parole da meritarsi un'aura di genialità intorno al nome...
La trama è molto semplice: il romanzo è infatti una sorta di stream of consciousness (tipo La Coscienza di Zeno - ma MOLTO meno pesante e MOLTO più coinvolgente - o Mrs Dalloway - ma MOLTO meno sintatticamente sciolto e MOLTO più semplice da seguire, mi perdoni la dea Virginia ), nella quale il narratore, Alex Portnoy, racconta a uno psicologo i momenti più significativi della propria vita, che sono incentrati soprattutto sul suo scomodo ateismo (lui è figlio di ebrei, ma preferirebbe essere un comunista in Russia che un ebreo a Gerusalemme - o qualcosa del genere, correggetemi se sbaglio), e della sua sfrenata bramosia di sesso (fantasie ludico/erotiche comprese e descritte abbastanza nel dettaglio).
E' un "maledetto" contemporaneo, se ancora ne possono esistere... io per il momento ho letto L'animale morente, e mi è piaciuto moltissimo, ma adesso vorrei darmi a La macchia umana, soprattutto per genuina curiosità: voglio vedere come la penna cattivissima di Roth riesca a tracciare i contorni di una storia che vista al cinema era stata pressoché soporifera, e un po' retorica...
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Re: Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
si bellissimo!
è piaciuto tanto anche a me!
ho iniziato da L'animale morente, penso il più bel libro suo che ho letto per adesso, poi
Pastorale Americana, che se fossi in te leggerei prima de La macchia umana, in quanto è il primo della trilogia storica.. ma penso che non faccia troppa differenza..
Poi ho letto anche lo Scrittore Fantasma, Il lamento di Portnoy, Zucherman Scatenato ed adesso stò leggendo l'ultimo Complotto contro l'America.
Devo dire che al genere storico preferisco l'altro, quello del Lamento, più divertente, irriverente e cinico, di quel ciniscmo lucido e tagliente che ti mostra una inquadratura molto personale del mondo.
è piaciuto tanto anche a me!
ho iniziato da L'animale morente, penso il più bel libro suo che ho letto per adesso, poi
Pastorale Americana, che se fossi in te leggerei prima de La macchia umana, in quanto è il primo della trilogia storica.. ma penso che non faccia troppa differenza..
Poi ho letto anche lo Scrittore Fantasma, Il lamento di Portnoy, Zucherman Scatenato ed adesso stò leggendo l'ultimo Complotto contro l'America.
Devo dire che al genere storico preferisco l'altro, quello del Lamento, più divertente, irriverente e cinico, di quel ciniscmo lucido e tagliente che ti mostra una inquadratura molto personale del mondo.
lamento di Portnoy
Confermo l'impressione positiva che mi ha lasciato questo libro.
Aggiungo che il valore dell'averlo letto aumenta col passare del tempo. In particolare mi rendo conto dello spessore di quelle parole nei rapporti coi miei figli (2 maschi) e quando si parla di masturbazione.
Aggiungo che il valore dell'averlo letto aumenta col passare del tempo. In particolare mi rendo conto dello spessore di quelle parole nei rapporti coi miei figli (2 maschi) e quando si parla di masturbazione.
- zoe
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Re: lamento di Portnoy
Io non l'ho molto amato.. anzi, a dir la verità... riconosco la grandezza di Roth anche in questo romanzo, ma mentre lo leggevo avevo un pò un senso di "fastidio emotivo"...
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Io preferisco non esprimermi perchè credo che utilizzerei un tono degno della groupie più adolescente e scalmanata... a proposito: sapete mica se l'ometto è impegnato? Perchè io me lo sposerei anche domani!
Lucy: "Oh, guarda! Una grossa farfalla gialla! E' insolito vederne una in questa stagione, a meno che non venga dal Brasile... Dev'essere così!Certe volte lo fanno, sai... Volano sul dal Brasile e..."
Linus: "Non è una farfalla, è una patatina fritta!"
Lucy: "Ma guarda! E' vero! Chissà come ha fatto una patatina ad arrivare fin qui dal Brasile?"
Linus: "Non è una farfalla, è una patatina fritta!"
Lucy: "Ma guarda! E' vero! Chissà come ha fatto una patatina ad arrivare fin qui dal Brasile?"
- ciucchino
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Ironico, divertente e dissacrante: bellissimo!
Questo lungo monologo è sicuramente uno dei libri più belli che ho letto ultimamente. In particolare è fantastico come Roth riesca a tratteggiare la figura della madre così brava a creare sensi di colpa.
“Mi era così profondamente radicata nella coscienza, che penso di aver creduto per tutto il primo anno scolastico che ognuna delle mie insegnanti fosse mia madre travestita.”
“che radar quella donna! Mi controllava le addizioni in cerca di errori; i calzini alla ricerca di buchi; le unghie, il collo, ogni piega o grinza del mio corpo alla ricerca di sporcizia.”
Questo lungo monologo è sicuramente uno dei libri più belli che ho letto ultimamente. In particolare è fantastico come Roth riesca a tratteggiare la figura della madre così brava a creare sensi di colpa.
“Mi era così profondamente radicata nella coscienza, che penso di aver creduto per tutto il primo anno scolastico che ognuna delle mie insegnanti fosse mia madre travestita.”
“che radar quella donna! Mi controllava le addizioni in cerca di errori; i calzini alla ricerca di buchi; le unghie, il collo, ogni piega o grinza del mio corpo alla ricerca di sporcizia.”
- MartinaViola
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Re: Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
lo sto leggendo in questi giorni, il mio primo Roth.
devo dire che le prime pagine mi hanno entusiasmato, mi sembrava di leggere un'opera fluida, divertente e dissacrante al punto giusto.
le figure dei genitori di alex sono tratteggiate fin troppo bene ma adesso che sono a metà mi sembra che il monologo diventi un pò ridondante...mi esprimerò in modo definitivo soltanto alla fine.
devo dire che le prime pagine mi hanno entusiasmato, mi sembrava di leggere un'opera fluida, divertente e dissacrante al punto giusto.
le figure dei genitori di alex sono tratteggiate fin troppo bene ma adesso che sono a metà mi sembra che il monologo diventi un pò ridondante...mi esprimerò in modo definitivo soltanto alla fine.
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Re: Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
Mi sento un po' una voce fuori dal coro, ma a me non era piaciuto per niente
Devo però dire che l'avevo dovuto leggere obbligatoriamente per un esame, magari c'entra il fatto di averlo dovuto leggere a tutti i costi, chissà... di solito sento commenti veramente entusiasti su Roth, e anche se personalmente apprezzo maggiormente il suo omonimo Henry , prima o poi proverò a leggere qualche altra sua opera per poter cambiare opinione in meglio (o in peggio, chissà ).
Devo però dire che l'avevo dovuto leggere obbligatoriamente per un esame, magari c'entra il fatto di averlo dovuto leggere a tutti i costi, chissà... di solito sento commenti veramente entusiasti su Roth, e anche se personalmente apprezzo maggiormente il suo omonimo Henry , prima o poi proverò a leggere qualche altra sua opera per poter cambiare opinione in meglio (o in peggio, chissà ).
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Re: Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
La recensione che scrive Philip Roth a proposito del suo libro a 45 anni di distanza:
Da "la Repubblica" (che riprende dal NYT), 17.11.2014:
Rileggendo il Lamento di Portnoy a quarantacinque anni di distanza sono rimasto scioccato e compiaciuto: scioccato di essere stato così sconsiderato e compiaciuto di essere stato così sconsiderato. Di certo mentre scrivevo il libro non mi rendevo conto che di lì in avanti non mi sarei più liberato di questo paziente psicanalitico che chiamavo Alexander Portnoy, che stavo per barattare la mia identità con la sua e che tante persone avrebbero identificato la sua personalità e tutto il suo armamentario con i miei, e i miei rapporti con persone conosciute e sconosciute sarebbero cambiati di conseguenza.
Il lamento di Portnoy è stato il quarto dei trentuno libri che ho scritto. Quando lo scrissi, l’unica libertà che stavo cercando era liberarmi dallo scrittore che avevo cominciato a essere nei miei primi tre libri. Non ricercavo una catarsi come nevrotico o come figlio, come qualcuno ha ipotizzato, semmai di emanciparmi dagli approcci tradizionali alla narrazione. Mentre il protagonista si sforza di sfuggire alla propria coscienza morale, io cercavo di liberarmi da una coscienza letteraria che era stata costruita dalle mie letture, dalla mia scolarizzazione e dalla mia pignoleria, da una percezione convenzionale del galateo della prosa. Insofferente alle virtù della progressione logica, volevo rinnegare lo sviluppo coerente e ordinato di un mondo immaginato e avanzare alla rinfusa e freneticamente, come procede idealmente il classico paziente dell’analista fra gli spasimi della libera associazione.
Ho ritratto un uomo che è il ricettacolo di ogni pensiero inaccettabile, un uomo di trentatré anni posseduto da sensazioni pericolose, opinioni sgradevoli, rancori feroci e sentimenti sinistri, e naturalmente perseguitato dalla presenza implacabile della lussuria. Insomma, ho scritto di quella parte di asocializzato che è dentro quasi tutti noi, e che ognuno affronta con vari gradi di successo. Qui captiamo Portnoy intento allo sforzo estemporaneo del paziente psicanalitico di gestire (o malgestire) il proprio disordine.
Portnoy abbonda di ira quanto di lussuria. Chi non è così? Qual è la parola chiave dell’incipit dell’Iliade? L’ira. Così comincia l’intera letteratura europea: cantando l’ira virile di Achille. Uno scrive un libro repellente (e il Lamento di Portnoy da molti è stato visto unicamente in questa veste) non per essere repellente, ma per rappresentare il repellente, per diffondere il repellente, per svelarlo, per mostrare che aspetto ha e cos’è. Cechov diceva saggiamente che il compito dello scrittore non è risolvere i problemi, ma presentare il problema in modo appropriato.
Dal momento che la regola di base freudiana è che nulla, in una storia personale, è troppo insignificante o volgare per parlarne, e nulla, allo stesso modo, è troppo mostruoso o troppo grande per parlarne, la sessione psicanalitica offriva il vascello appropriato per contenere tutto. L’ufficio dell’analista, l’ambientazione del libro, è quel posto dove non si deve censurare nulla. La regola è che non c’è nessuna regola, e questa è stata la regola che ho seguito per tratteggiare la derisione satirica di un figlio della propria famiglia ebrea, dove l’oggetto più comico della derisione si rivela essere proprio il figlio che la deride. L’aggressività sgraziata della satira, combinata all’iperrealismo della satira — il ritratto che rasenta la caricatura, l’appetito comico per l’inconsueto — ovviamente non sono piaciute a tutti. Io, d’altra parte, sulle ali della gaiezza sono volato lontano dai miei primi tre, rispettabili libri.
La grottesca concezione che ha Portnoy della propria vita era molto influenzata da regolamenti, inibizioni e tabù che non hanno più alcuna presa sulla gioventù eroticamente affrancata dei nostri giorni, nemmeno nel più sperduto paesucolo degli Stati Uniti. Ma in un’adolescenza americana degli anni Quaranta — un lungo mezzo secolo prima che la pornografia in Rete fosse anche soltanto un sogno — queste costrizioni predominavano, nell’angusto contesto in cui Portnoy, tra mille inquietudini, stava diventando grande. Grazie alla drastica alterazione della prospettiva morale negli ultimi quarantacinque anni, le notizie sessuali così apparentemente calamitose quando Portnoy strombazzò per la prima volta all’analista la sua storia fallica, nel 1969, ormai sono state disintossicate. Sotto questo aspetto, il mio libro sregolato ormai è datato quanto La lettera scarlatta o il suo compagno di scuderia di fine anni Sessanta, Coppie di John Updike, un altro romanzo genitalico che all’epoca scioccò ancora a sufficienza da mettere in discussione certezze sociali già vacillanti sui confini dell’eros e le prerogative della lussuria.
Alexander Portnoy, riposa in pace. - PHILIP ROTH
Da "la Repubblica" (che riprende dal NYT), 17.11.2014:
Rileggendo il Lamento di Portnoy a quarantacinque anni di distanza sono rimasto scioccato e compiaciuto: scioccato di essere stato così sconsiderato e compiaciuto di essere stato così sconsiderato. Di certo mentre scrivevo il libro non mi rendevo conto che di lì in avanti non mi sarei più liberato di questo paziente psicanalitico che chiamavo Alexander Portnoy, che stavo per barattare la mia identità con la sua e che tante persone avrebbero identificato la sua personalità e tutto il suo armamentario con i miei, e i miei rapporti con persone conosciute e sconosciute sarebbero cambiati di conseguenza.
Il lamento di Portnoy è stato il quarto dei trentuno libri che ho scritto. Quando lo scrissi, l’unica libertà che stavo cercando era liberarmi dallo scrittore che avevo cominciato a essere nei miei primi tre libri. Non ricercavo una catarsi come nevrotico o come figlio, come qualcuno ha ipotizzato, semmai di emanciparmi dagli approcci tradizionali alla narrazione. Mentre il protagonista si sforza di sfuggire alla propria coscienza morale, io cercavo di liberarmi da una coscienza letteraria che era stata costruita dalle mie letture, dalla mia scolarizzazione e dalla mia pignoleria, da una percezione convenzionale del galateo della prosa. Insofferente alle virtù della progressione logica, volevo rinnegare lo sviluppo coerente e ordinato di un mondo immaginato e avanzare alla rinfusa e freneticamente, come procede idealmente il classico paziente dell’analista fra gli spasimi della libera associazione.
Ho ritratto un uomo che è il ricettacolo di ogni pensiero inaccettabile, un uomo di trentatré anni posseduto da sensazioni pericolose, opinioni sgradevoli, rancori feroci e sentimenti sinistri, e naturalmente perseguitato dalla presenza implacabile della lussuria. Insomma, ho scritto di quella parte di asocializzato che è dentro quasi tutti noi, e che ognuno affronta con vari gradi di successo. Qui captiamo Portnoy intento allo sforzo estemporaneo del paziente psicanalitico di gestire (o malgestire) il proprio disordine.
Portnoy abbonda di ira quanto di lussuria. Chi non è così? Qual è la parola chiave dell’incipit dell’Iliade? L’ira. Così comincia l’intera letteratura europea: cantando l’ira virile di Achille. Uno scrive un libro repellente (e il Lamento di Portnoy da molti è stato visto unicamente in questa veste) non per essere repellente, ma per rappresentare il repellente, per diffondere il repellente, per svelarlo, per mostrare che aspetto ha e cos’è. Cechov diceva saggiamente che il compito dello scrittore non è risolvere i problemi, ma presentare il problema in modo appropriato.
Dal momento che la regola di base freudiana è che nulla, in una storia personale, è troppo insignificante o volgare per parlarne, e nulla, allo stesso modo, è troppo mostruoso o troppo grande per parlarne, la sessione psicanalitica offriva il vascello appropriato per contenere tutto. L’ufficio dell’analista, l’ambientazione del libro, è quel posto dove non si deve censurare nulla. La regola è che non c’è nessuna regola, e questa è stata la regola che ho seguito per tratteggiare la derisione satirica di un figlio della propria famiglia ebrea, dove l’oggetto più comico della derisione si rivela essere proprio il figlio che la deride. L’aggressività sgraziata della satira, combinata all’iperrealismo della satira — il ritratto che rasenta la caricatura, l’appetito comico per l’inconsueto — ovviamente non sono piaciute a tutti. Io, d’altra parte, sulle ali della gaiezza sono volato lontano dai miei primi tre, rispettabili libri.
La grottesca concezione che ha Portnoy della propria vita era molto influenzata da regolamenti, inibizioni e tabù che non hanno più alcuna presa sulla gioventù eroticamente affrancata dei nostri giorni, nemmeno nel più sperduto paesucolo degli Stati Uniti. Ma in un’adolescenza americana degli anni Quaranta — un lungo mezzo secolo prima che la pornografia in Rete fosse anche soltanto un sogno — queste costrizioni predominavano, nell’angusto contesto in cui Portnoy, tra mille inquietudini, stava diventando grande. Grazie alla drastica alterazione della prospettiva morale negli ultimi quarantacinque anni, le notizie sessuali così apparentemente calamitose quando Portnoy strombazzò per la prima volta all’analista la sua storia fallica, nel 1969, ormai sono state disintossicate. Sotto questo aspetto, il mio libro sregolato ormai è datato quanto La lettera scarlatta o il suo compagno di scuderia di fine anni Sessanta, Coppie di John Updike, un altro romanzo genitalico che all’epoca scioccò ancora a sufficienza da mettere in discussione certezze sociali già vacillanti sui confini dell’eros e le prerogative della lussuria.
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Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato (U.Saba)
Piove sui panni stesi / perché niente va mai come dovrebbe...(Kegiz)
Nam concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur.(Sallustio)
...l'erba / lieta, dove non passa l'uomo ((Ungaretti)
LE MIE ETICHETTE E I MIEI RING
Su anobii sono lisolachenoncè
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Re: Philip Roth, "Lamento di Portnoy"
Mi aggiungo ai pochi a cui questo libro non è piaciuto.
Mi sono veramente sforzata di farmi piacere Philip Roth, questo è il 6° libro suo che leggo, ma tutti in qualche modo mi hanno delusa.
Per carità, scritto bene però la prosa infarcita di termini ebraici, la questione religiosa, la famiglia opprimente, l'erotismo morboso... è tutta roba già vista, trita e ritrita.
Mi sono veramente sforzata di farmi piacere Philip Roth, questo è il 6° libro suo che leggo, ma tutti in qualche modo mi hanno delusa.
Per carità, scritto bene però la prosa infarcita di termini ebraici, la questione religiosa, la famiglia opprimente, l'erotismo morboso... è tutta roba già vista, trita e ritrita.
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