La cultura non è una merce!

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shandy
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La cultura non è una merce!

Messaggio da shandy »

La Francia ha vinto la sua decennale battaglia contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio per l'affermazione del principio di "eccezione culturale" (si tradurrà così? :think: ) che serve a escludere i prodotti culturali dal quadro del GATT e quindi dall'applicazione delle regole del "libero mercato", in quanto non riducibili allo statuto di merci ordinarie.
Soprattutto nel campo del cinema e dell'audiovisivo, la diversa concezione di "prodotto culturale" fra Europa e Stati Uniti provoca una diversa concezione del sistema di produzione e distribuzione e una impossibilità materiale di porre limiti a protezione della produzione interna. E questo fa sì che se il cinema USA si è imposto nel mondo per una serie di concause dagli anni '50 in poi, oggi sia impossibile limitarne l'egemonia e in molti casi salvaguardare una produzione nazionale.
L'adozione della Convenzione da parte dell'Unesco è un grande passo in difesa della Cultura.

Non ho trovato articoli in italiano, vi segnalo però questo tratto da Le soir, principale quotidiano belga francofono.
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Messaggio da liberliber »

non ho capito tanto... e non so il francese :(

però se difende la cultura va bene :D
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shandy
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tento una traduzione al volo :wink:
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Messaggio da shandy »

al volo al volo...
La Conferenza generale dell'Unesco ha adottato giovedì a Parigi con una schiacciante maggioranza una convenzione che libera la Cultura dalle regole del commercio internazionale, a grande scapito degli Stati Unitiche hanno combattuto questo testo fino alla fine.

Lanciata e ardentemente promossa da Francia e Canada, la Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità di espressione culturale ha ottenuto un plebiscito in occasione di una seduta plenaria: su 154 paesi rappresentati, 148 hanno votato a favore del testo, due si sono opposti (Stati Uniti e Israele) e quattro si sono astenuti (Australia, nicaragua, Honduras, Liberia).

Composto di 35 articoli, il testo stipula che le attività, beni e servizi culturali (...) non devono essere trattati come aventi esclusivo valore commerciale e autorizza i paesi a prendere le misure che giudicano appropriate per proteggere il proprio patrimonio culturale.

La Convenzione, che entrerà in vigore con la ratifica di 30 paesi, è stata cosiderata da alcuni dei suoi sostenitori come un baluardo di fronte all'imperialismo culturale americano. L'articolo 20 conferisce alla Convenzione lo stesso valore giuridico dei trattati bilaterali e il quadro dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. La Francia e il Canada parlano di una Convenzione rigida, di un diritto sovranazionale opponibile all'OMC, ma il testo è abbastanza sfumato per suscitare interpretazioni varie.

Parigi stima di aver fatto riconoscere il suo concetto di eccezione culturale e di avergli assicurato una base giuridica con l'appoggio quasi completo della comunità internazionale, che ha visto, come la Mauritania, un antidoto contro la globalizzazione. Il presidente francese Jacques Chirac sì è immediatamente felicitato per l'adozione del testo, giudicando che esso apra la speranza per una globalizzazione più rispettosa delle identità dei popoli.

Questa convenzione è un grande passo in un mondo che ha bisogno di proteggere la diversità culturale e di organizzare il dialogo delle culture nel rispetto di tutti, ha dichiarato Chirac in un comunicato.

Esprimendosi dopo il voto a nome dell'Unione Europea, il rappresentante britannico all'Unesco, Timothy Craddock - il cui Paese aveva espresso delle riserve iniziali - ha parlato di un grande giorno per l'Unesco. Con questa convenzione, ha assicurato, la diversità culturale diventa un diritto condiviso da tutti.

Al contrario, la rappresentante americana Louise Olivier ha vivamente denunciato un testo redatto in fretta che rischia di essere usato per controllare e non facilitare la circolazione dei beni culturali. E' essenziale che i Paesi dicano chiaramente che questa Convenzione non diventerà un nuovo strumento per nuocere alla libera circolazione dei beni e dei serizi, che va a scalzare il principio dell'Unesco di libera circolazione delle idee. Questo può legittimare le violazioni dei diritti dell'uomo, ha dichiarato la Oliver dopo il voto.

La Cina e altri Paesi repressivi sono entusiasti, ha scritto questa settimana il giornale conservatore americano The Wall Street Journal, perché questa Convenzione della Non-diversità culturale potrà facilmente giustificare la chiusura di canali satellitari o di giornali in nome della "sicurezza culturale".

Ma gli Stati Uniti si sono alla fine trovati isolati con Israele. In assenza di diritto di veto, sono privi di ogni mezzo eccetto la moltiplicazione di accordi bilaterali prima dell'entrata in vigore della Convenzione.

Washington aveva disertato epr 19 anni l'Unesco, accusato di anti-americanismo e di cattiva gestione, prima di tornarci nel 2003 come contribuente maggiore. La luna di miele è stata di breve durata.
Ultima modifica di shandy il ven ott 21, 2005 12:11 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da liberliber »

Grazie!
Non ho capito tanto quello che succederà nella pratica, ma nel frattempo mi preoccupa un po' questo:
un testo redatto in fretta che rischia di essere usato per controllare e non facilitare la circolazione dei beni culturali. E' essenziale che i Paesi dicano chiaramente che questa Convenzione non diventerà un nuovo strumento per nuocere alla libera circolazione dei beni e dei serizi, che va a scalzare il principio dell'Unesco di libera circolazione delle idee. Questo può legittimare le violazioni dei diritti dell'uomo, ha dichiarato la Oliver dopo il voto.

La Cina e altri Paesi repressivi sono entusiasti, ha scritto questa settimana il giornale conservatore americano The Wall Street Journal, perché questa Convenzione della Non-diversità culturale potrà facilmente giustificare la chiusura di canali satellitari o di giornali in nome della "sicurezza culturale".
:?
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Messaggio da shandy »

Ah! Questo è un argomento assolutamente pretestuoso...

Allora, parlo del caso del cinema, che è quello che conosco meglio. Sulla base del principio di libero scambio ed equiparando i prodotti audiovisivi a qualunque altro tipo di prodotto, gli Stati Uniti cercano da anni di bloccare il sistema europeo di finanziamento pubblico alla produzione e alla distribuzione.
Se un tale visione passasse, l'unica cinematografia in grado di produrre e distribuire film sarebbe quella statunitense. E' l'unica "industria" propriamente detta nel settore e l'unica ad avere un mercato interno talmente ampio da ammortizzare prima dell'esportazione i costi di produzione.
Insomma, saremmo condannati a vedere film prodotti da major americane. E basta.

La Francia, che ha il sistema di aiuto pubblico alla produzione più sviluppato d'Europa e che infatti ha la cinematografia più viva e interessante, si oppone da anni a questa visione, proprio in virtù di quel principio di "eccezionalità culturale" che ha inventato, non essendo previsto negli accordi costitutivi dell'OMC (il WTO...). Introdurre questo principio significa rivedere il concetto di "concorrenza applicato ai prodotti culturali.
In un sistema di concorrenza pura, come OMC comanda, solo il cinema USA sopravviverebbe. Ammettendo che i prodotti culturali hanno uno statuto diverso da una paio di scarpe o da un lettore mp3 si può sperare di salvare la diversità della proposta di prodotti culturali, proteggendo anche piccole e piccolissime cinematografie che sarebbero altrimenti stritolate dal meccanismo.

Gli Stati Uniti, ovviamente, si oppongono da anni a questa proposta. L'argomento che riporti è solo l'ultimo di una lunga serie, tutti "smontati" in sede di discussione. Insomma, non sapendo più cosa inventare... :wink:
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ah ho capito :P
concordo per quanto riguarda gli Stati Uniti, non discuto, pretestuoso è pretestuoso perché tanto Cina & co. lo fanno già senza bisogno dell'Unesco :?
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Messaggio da next05 »

In effetti la "valanga" cinematografica (e non solo) made in U.S.A. sembra travolgerci completamente. Cercare di arginare il fenomeno non mi sembra male. Anzi.
Certo neanche chiudersi del tutto e perdere completamente la strada per un'industria culturale (che in Italia sembra non essere mai nata del tutto) mi sembra sensato.
...quella statunitense. E' l'unica "industria" propriamente detta nel settore e l'unica ad avere un mercato interno talmente ampio da ammortizzare prima dell'esportazione i costi di produzione.
Ci sarebbe anche Bollywood, ma mi sa che è troppo legata al mercato interno.
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