Gli abitanti di Abacrasta non arrivano alla vecchiaia. Gli uomini usano la cinghia e se la legano al collo, le donne di preferenza usano la fune. Non c’è un motivo particolare legato alla miseria o alla disperazione sentimentale, la fine non arriva per depressione o svanimento dei più intimi sogni. Accade una cosa molto più semplice. A un certo momento della vita arriva la morte, anzi arriva la Voce, che democraticamente sussurra a tutti i cittadini: “Ajò! Preparati, che il tuo tempo è scaduto!”. E i cittadini agiscono di conseguenza. Così, da sempre e solo ad Abacrasta [...] Perché quello che conta è che uomini e donne di ogni età e patrimonio diventano docili scolari della Voce e senza fiatare si chiudono gli occhi per sempre. Per sempre, almeno fino all’arrivo ad Abacrasta di una ragazza cieca, Redenta Tiria [...]
Diciotto capitoli (più uno particolare, riservato all’autore) per narrare altrettante storie di abacrastesi (!), chi obbedienti alla Voce e chi riportati alla vita da Redenta Tiria. Esistenza negata ed esistenza ritrovata. Con la quale comunque si gioca, vivendola o cancellandola. Nessuna differenza allora, appartenendoci nulla di più della nostra stessa impronta sulla terra? Ma perbacco eccome se c’è la differenza, evidente come il buio e la luce, la notte e il giorno, la nouvelle cousine e i sapori sardi sulla tavola: preferiamo essere eterodiretti in una scelta che vestiamo come nostra o mondare ogni nemesi per godere di carne e spirito come meglio siamo capaci? Spremere la vita come un’arancia e ubriacarsi di bellezza riconducendo la nostra presenza su questo pianeta a una sorta di naturalismo che non abbia tra i suoi confini il senso di colpa come primigenio calco nell’anima, ecco la scelta che paga. E poco importa se abbiamo bisogno di Redenta Tiria per tornare a fiorire nel sole.
Nuorese, insegnante, scrittore con una trentina di titoli alle spalle (tutti rigorosamente pubblicati da case editrici locali, talvolta anche grazie al supporto di generose collette), volto luciferino se allacciato dal pizzetto bianco o a palla di luna se il risvolto manca, Salvatore Niffoi ha stregato prima Roberto Calasso, il “signor Adelphi”, che lo ha messo sotto contratto con l’intenzione di pubblicarne l’opera omnia, e poi Antonio D’Orrico, che sulle pagine del Magazine del Corriere della Sera ne ha sottolineato la grandezza. E sì perché di questo si tratta. Di grandezza letteraria. E di vita propria. Che riporta sulla pagine il calore della scrittura camilleriana, senza ammicarne l’estetica (ma allora esiste davvero un’essenza isolana della scrittura?), utilizzando un linguaggio rapace ma brutalmente poetico, opera d’alto artigianato che nelle crepe dell’italiano inserisce iniezioni di dialetto senza irritanti maccheronismi. Da qui la domanda: abbiamo uno scrittore o un narratore baciato dalla divina ispirazione nella scrittura di un libro? Noi, toccati da Redenta Tiria, il proclama lo facciamo. Italiane e italiani: abbiamo uno scrittore!
Sono storie scritte in prosa, che stupiscono per gli atteggiamenti antichi in un mondo moderno
queste persone con nomi impensabili che vanno scalze e hanno il telefonino; sono frammenti di vita e di morte, scritti con perizia e che si leggono d'un fiato
o anche sera per sera volendo, si possono centellinare, tanto sono racconti autoconclusivi di poche pagine, legati da un filo comune, che non è Redenta Tiria secondo me, ma il paese stesso di Abacrasta. A volte sono crudi, a volte fantastici, spesso da ridere o da piangere ma sempre leggeri, anche nel dramma finale del suicidio, perchè è la Voce che ha chiamato e allora è naturale, anche se triste, mettersi la cinghia al collo.
Uno di quei libri da tenere nella libreria e leggere di tanto in tanto.
Mi meraviglia che nessuna recensione trovata in giro abbia accennato all'antologia di spoon river, a me continua a venire in mente.
A proposito, c'è un banchetto in centro che vende delle copie della "leggenda" a metà prezzo (c'è scritto "seconda scelta" ma i libri sono quasi perfetti)
se volete posso mettere in piedi un ring.