racconto
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racconto
Ciao
mi hanno detto che se voglio qui posso inserire un mio raccontino, è vero?
Allora io lo inserisco. Ho pensato che poi ne metterò uno anche nei libri che libererò
e buona lettura
>
> Ricostruire la storia così com'è avvenuta non è stato facile e a
tutt'oggi non sappiamo come si siano svolti effettivamente i fatti. Per
conoscere l'accaduto abbiamo dovuto affidarci ai ricordi di Celia, ma
essi vanno scomparendo sempre più dalla sua mente, si confondono, si
attorcigliano come fili annodati e poi riprendono vie diverse
dall'usuale, irraggiungibili per ogni pensare che si dica normale. E
alla fine le sue memorie si perdono brano a brano, minuto per minuto,
cosicché alla fine non resterà nulla se non il vuoto.La voce sul
registratore si fa più flebile, lontana, distante ad ogni incontro e
temiamo, ad un anno di distanza dall'accaduto, timore che si va
tramutando in certezza, che andiamo perdendo Celia. Abbiamo sentito i
testimoni, ma se è difficile trovare racconti concordi su fatti
eclatanti che fanno notizia, perché siamo portati a trasfigurarli con
la nostra immaginazione e a riviverli secondo nostre prospettive e
punti di vista, seppur involontariamente, tanto più quando si tratta di
fatti che rientrano nella nostra norma consueta di ogni giorno e ai
quali prestiamo non più di uno sguardo indifferente. E' difficile
ricordare i tratti del signore distinto che ci siede di fronte in
treno, immerso nella lettura del suo giornale o di un libro. Così andò
per Celia, una ragazza normale in una giornata normale.
>
> Stranamente la prima cosa che Celia rimosse, della quale non seppe
dire nulla fu proprio la giornata, ma del resto è la cosa che meno
importa per la nostra narrazione dei fatti. Le colleghe testimoniarono
che Celia era tranquilla, poco vivace come di consueto, leggermente
raffreddata, ma poco altro. La sera, una nebbiosa sera di dicembre
Celia si era avviata alla stazione. Portava un libro sotto il braccio.
Un noir di quelli che nelle librerie sono indicati come best seller.
Celia non cercava libri particolari, solo un modo per riempire il vuoto
di quell'ora di viaggio. E la storia della Dalia Nera si prestava in
modo perfetto a quell'evenienza consueta. Abbastanza truce da suscitare
emozioni col suo fascino di storia vera, ma discretamente lontano nel
tempo per ricreare un'atmosfera. La nebbia si infittiva mano a mano
che il treno si avvicinava alla stazione di discesa, una piccola
stazione isolata dove scendevano a quell'ora non più di tre persone, a
volte cinque. . L'uomo seduto di fronte a Celia raccontò che la ragazza
leggeva il suo libro e di tanto in tanto portava lo sguardo fuori dal
finestrino e fissava lo sguardo nella nebbia. Celia non poteva vedere
nulla, ma conosceva ogni tratto del paesaggio. Sapeva che i fossi
contornavano la ferrovia, coi filari di pioppi che si ergevano
orgogliosi nel buio. La madre ci raccontò che da piccola Celia amava
perdersi nella nebbia. A volte vi fissava lo sguardo cercando qualcosa
di indefinito, di lontano, come se un sogno la prendesse e la portasse
via. A volte camminava lungo i fossi, tra i pioppi, senza una meta.
Sogna a occhi aperti diceva la mamma.
>
> Finalmente era arrivata alla sua stazione, aveva messo il libro nella
borsa voluminosa e si era allontanata nel corridoio. L'uomo di fronte a
lei le aveva lanciato uno sguardo distratto e si era rimesso a
sonnecchiare.
>
> L'ultimo testimone che aveva visto Celia, era un altro passeggero,
l'unico ad aver notato la seconda ragazza sotto quel lampione. Andava
di corsa, le era passato davanti, ma quella non aveva fatto cenno a
chiedere un passaggio. La nebbia era fittissima, tutto il mondo
circostante sembrava inglobato in quel grigio. I lampioni illuminavano
fette di marciapiede rendendo ancora più sinistra l'atmosfera. Il
testimone raccontò che aveva pensato ad una passeggiatrice (il termine
è nostro, il suo era molto più colorito e per certi versi efficace), ma
la ragazza non si era mossa, non aveva fatto un cenno. Nulla. Si
limitava a stare lì nella nebbia sotto quel lampione. E del resto non
aveva l'abbigliamento di una passeggiatrice né in quel luogo poteva
aspettarsi di trovare dei clienti. Il cappotto era lungo, aveva detto
quel passeggero, un impiegato della Camera di Commercio. I capelli
erano biondi, lunghi sulle spalle, una sciarpa era come contorta
attorno al collo. Il passeggero, richiesto se si ricordasse di qualcosa
di particolare, aveva detto nulla, se non che dava un' impressione di
bagnato. Nulla di strano, ammettendo l'umidità di quella notte.
Comunque la ragazza era rimasta immobile. Lui si era avvicinato alla
sua auto per muoversi. Allora aveva dato uno sguardo attorno. Celia
(lui non la conosceva per nome, noi gli abbiamo detto in seguito come
si chiamasse) era già salita in macchina e si stava allontanando. Poi
l'aveva vista fare una cosa strana. Un'inversione improvvisa, si era
avvicinata al lampione, aveva aperto la portiera. La ragazza si era
mossa lentamente ed era salita in auto. Poi si erano allontanate nella
nebbia. E lui se n'era andato alla sua quotidianità.
>
> A questo punto tutto si perde. Dobbiamo rifarci al racconto di Celia,
per quanta fede possiamo prestare. Del resto all'inizio ci seppe
raccontare qualche particolare e noi l'abbiamo fedelmente trascritto.
Dobbiamo puntualizzare che il racconto non è stato fatto davanti a noi
come medici. Celia non distingue, per lei il volto di sua madre si
confonde con quello dell'infermiera che la mattina le porta la
colazione, il padre è una figura rimossa dalla sua memoria. Celia
ripete continuamente la sua storia. Null'altro. A chi si avvicina
chiede se abbiamo visto la ragazza e dov'è andata e poi racconta la sua
storia senza preoccuparsi di dare un volto logico al suo pensiero,
come se la sua mente fosse regredita ad uno stadio inferiore di
sviluppo.
>
> Comunque, traduciamo i fatti così come ci sono stati riportati. Celia
non ci ha detto cosa la spinse a raccogliere la ragazza.. La vide, ma
non la notò se non di sfuggita .Del resto non la conosceva e non
l'aveva vista scendere dal treno. Aveva fatto poche decine di metri
quando una voce l'aveva chiamata. Non disse quale voce e del resto oggi
nella sua mente sono decine le voci che si accavallano, impossibili a
essere distinte, fra vive e reali e creazioni fantastiche. Quella voce
allora l'aveva chiamata e lei aveva fatto quell'inversione inconsueta e
fuori luogo. Aveva raccolto la ragazza e l'aveva salutata con un cenno.
E lei era salita. Da principio aveva detto poche parole, che studiava
lingue straniere, che aspettava il suo ragazzo ma lui non era arrivato.
Poi le parole si erano perse e tra loro era calato il silenzio, un
silenzio all'inizio piacevole, poi imbarazzante e alla fine latore di
angoscia. Celia aveva provato a conversare ma i suoi tentativi non
avevano risposta. La strada correva lenta e sembrava non aver mai fine.
Erano come perdute nella nebbia che costringeva Celia a rallentare.
Qualche macchina in senso inverso illuminava di tratto in tratto la
strada e si allontanava perdendosi nel buio.
>
> Il silenzio diventava angosciante. La ragazza sembrava farsi più
pallida ad ogni istante. Il suo volto era come esangue. Emergeva dai
suoi tratti un'idea già rilevata dal testimone, di bagnato, di umido.
Le mani erano lunghe e affusolate, con le unghie lunghe, il cappotto
era lungo fino ai piedi ma bagnato molto bagnato. Così disse Celia
bagnato molto bagnato. Ma quello che più di ogni cosa terrorizzò Celia
fu la puzza, puzza insopportabile che invase l'abitacolo. Una puzza che
si alzava e si diffondeva, insostenibile. Un senso di nausea prendeva
Celia allo stomaco. Ebbe l'impulso di aprire la portiera e di fuggire
via, ma non poteva, qualcosa la tratteneva. La ragazza la guardava,
fissa, ma non la vedeva. Guardava un punto lontano. Al di là di Celia.
Il viso diafano sembrava illuminare la notte con quegli occhi immensi
nei quali non c'era sguardo se non a tratti. La ragazza allungò le
mani, toccò la gamba di Celia. Un senso di gelo le percorse il corpo
come una scossa improvvisa. Il senso di bagnato aumentò come se le si
fosse trasmesso a tutto il corpo dai piedi fino alla fronte passando
per lo stomaco. Celia continuava a fissare la ragazza ed ecco come dei
fili le pendevano tra i capelli. Verdi. Celia non seppe dire cosa
fossero, non seppe dare un nome a quello spavento. Allora fermò la
macchina per fuggire ai bordi della strada, si allontanò correndo da
quella figura muta. Cadde e si rialzò. Non sentì nessuno alle sue
spalle, ma continuò a correre col cappotto che le impediva i movimenti,
che diventava ogni minuto più pesante, il senso di freddo che
aumentava, la nebbia che l'avvolgeva. Quando cadde la seconda volta la
figura era lì vicino a lei e Celia dice di aver urlato, ma non ne è
certa, non sentì la propria voce uscire. Eppure è sicura di aver urlato
ancora e ancora. La figura le si avvicinava sempre di più. Celia era a
terra, sull'orlo di un fosso. Le mani della donna erano su di lei,
sulle sue spalle, il viso premeva contro il suo, pallido e scarno.
Improvvisamente la ragazza fu a un attimo di distanza da lei e
inaspettatamente la baciò sulla bocca. Sentì le sue labbra premerle
contro. Labbra fredde, gelide, mentre l'odore la percorreva tutta. E
Celia comprese che era odore di acqua, di acqua lurida, di fango, di
alghe. Dell'odore dei canali quando li pulivano e lei era piccola e si
fermava a guardare. Un odore di morte. Celia serrò le labbra ma la
ragazza insistette, le aprì la bocca, si insinuò e in breve respirarono
dello stesso respiro, una divenne l'altra finchè Celia non perse la sua
realtà. E svenne.
>
> La ritrovarono dopo tre giorni di ricerche continue. Rannicchiata in
una di quelle casupole di campagna una volta utilizzate dai contadini
come riparo per gli attrezzi, ora abbandonate. Aveva i vestiti sporchi
e laceri. Aveva camminato per ore. Si riparava gli occhi con le mani,
si faceva schermo, si proteggeva e non parlava. I poliziotti che la
trovarono e che ce la portarono incapaci di dare una risposta a quella
visione, dissero che era bagnata fino al midollo. E tra i capelli aveva
dei fili. Dei fili d'alga. Verde.
>
> Ce la portarono e Celia ci raccontò la sua storia. Di più non potemmo
sapere. I poliziotti che ebbero in mano per primi il caso dissero che
nulla era sparito dalla borsa se non il libro. La Dalia Nera.
>
> Una cosa spaventò i poliziotti e poi noi, qualcosa che ci atterrisce
e che non sappiamo spiegare. Qualcosa che all'inizio attribuimmo alle
avverse condizioni climatiche cui Celia era stata sottoposta. Ed era il
freddo. Un freddo che emanava da quel corpo. Un freddo che veniva
dall'interno diceva Celia e che nulla riusciva a scaldare. Freddo che
aumentava mano a mano che i pensieri si perdevano nell'orizzonte della
ragazza. Un freddo come di un corpo morto, come se io fossi morta disse
Celia in un momento di rara lucidità. L'ultimo.
>
> La storia restò sospesa come in bilico. Celia rimase da noi. La
studiammo, la esaminammo ma non potemmo spiegare nulla. La madre non ci
disse nulla se non che da piccola Celia sognava spesso ad occhi aperti
e si perdeva nel vuoto. Ci disse anche che aveva avuto un fidanzato
tempo prima. Che si intuiva che aveva sofferto per lui ma non l'aveva
mai dato a vedere. Poi più nulla. Il silenzio su Celia e la sua storia.
Sospesa nel vuoto con quel corpo che diventava sempre più freddo e il
nulla che prendeva la sua mente proiettandola in un punto lontano dello
spazio. Diceva che dentro si sentiva vuota e cercava in continuazione
cibo ossessivamente, forsennatamente, disperatamente. Per dimenticarsi
subito di aver mangiato e per cercare di nuovo altro cibo. Solo la
nostra attenzione ha impedito che si facesse del male.
>
> Questa situazione durò un anno. Quando successe una cosa. Una sera
qui da noi, si guardava la televisione come ovunque ormai. Una
trasmissione in cui si ripercorrono vecchi casi di cronaca e qualcuno
qui da noi è molto appassionato. A un tratto un volto, una ragazza
bionda. Celia è immobile ma all'improvviso si muove, freme, sembra
riconoscerla. Poi torna alla sua apatia. Ascoltiamo la storia con
attenzione. È una ragazza torinese, Anna, scomparsa dopo un incidente
d'auto tre anni prima. Un cadavere cercato a lungo, ma mai trovato. La
mattina dopo ci muoviamo. Vale la pena di seguire quella flebile
traccia, di capire chi abbia riconosciuto Celia. Pensiamo ad una
vecchia amica. Forse. Andiamo dai genitori. Una casa bene della Torino
media. Una casa elegante col pianoforte. Anna suonava il piano ci dice
una madre affranta. Già suonava. E aveva un fidanzato. E scriveva. La
madre ci raccontava di Anna in quel salotto tranquillo pieno di
fotografie. Anna al mare, Anna che fa la Prima Comunione, Anna a un
saggio di danza, Anna in cento foto. Era uscita una sera tre anni prima
con un amico, uno che frequentava da poco, uno molto più vecchio disse
la madre. Una follia, un colpo di testa. Nessuno capiva. Ultimamente
Anna era strana, come se cercasse qualcosa. Anna aveva un pensiero suo,
che la inseguiva e la accompagnava ovunque, il pensiero della morte.
Era una ragazza allegra, ma di tanto in tanto si rabbuiava. Quel
pensiero faceva capolino e lei si rattristava. Fin da piccola, molto
piccola. Diceva che avrebbe voluto essere una pianta. Per non soffrire.
Qualcuno sorridendo con ponderata cattiveria le aveva detto che anche
le piante soffrono. Si era gettata per terra in preda a una convulsione
infinita. Come se le avessero tolto l'ultimo rifugio. La paura della
morte era la sua compagna, non l'abbandonava mai, neppure nei momenti
più belli. Ma ora improvvisamente Anna era cambiata, sorrideva. diceva
ecco io non morirò. Lo so. La morte non esiste per me. Io sopravviverò.
E questo pensiero le dava euforia. Sorrideva a quel pensiero. E poi
aveva incontrato quell'uomo tanto più vecchio di lei. I pensieri brutti
erano come scomparsi. Io non morirò. Io sopravviverò. Lo so. E rideva
fino a piangere mentre lo diceva. Scoppi di risa irrefrenabili la
prendevano mentre diceva quello. Insieme andavano ad una festa dopo
l'altra. L'uno in cerca di una giovinezza perduta, l'altra alla ricerca
di qualcosa che solo lei poteva capire. Anna cambiava. In preda ad un
entusiasmo irrefrenabile. Il suo pianoforte era in un angolo. Solo la
sua tesi avanzava verso la conclusione trionfalmente. Ecco andrò
all'estero diceva Anna, viaggerò. Amerò. Sarà una vita di felicità.
Perché io non morirò. I presenti quell'ultima sera, quell'ultima festa
dissero che sia Anna sia l'amico avevano bevuto parecchio, erano
euforici, felici. Si erano allontanati dalla villa che già albeggiava.
Una strada lungo un fiume. Quando li videro così ubriachi qualcuno
temette per loro, ma già si stavano allontanando, abbracciati. Una
strada diritta sul cavalcavia di un fiume. Avevano visto la macchina
sterzare e cadere nel fiume improvvisamente i pochi passanti a
quell'ora- E la macchina era scomparsa, inghiottita dalle acque del
fiume. I sommozzatori avevano trovato l'auto in fondo al fiume. L'
amico era nell'auto. Ma Anna no, lei non c'era. E mai l'avevano
trovata. Scomparsa nel nulla, inghiottita dalle acque limacciose e dal
fango . Nulla più, nessuna notizia. Chiedemmo alla madre se mai Anna
avesse conosciuto una ragazza di nome Celia, ma questo nome alla donna
non disse nulla. Scosse il capo. Conosceva tutte le amiche di Anna, ma
quella no.
>
> Stavamo per andarcene delusi. La casa era in ordine come se Anna
fosse uscita poche ore prima e stesse per tornare. Avevamo fretta, ma
lo sguardo ci cadde su un pacco di fogli. La tesi di laurea ci disse la
madre. Leggemmo il titolo "Figure di donne nella letteratura poliziesca
americana. Tra vittime e assassine... " Dell'ultimo capitolo c'era
solo il titolo "La Dalia Nera tra realtà e finzione letteraria".
>
>
>
mi hanno detto che se voglio qui posso inserire un mio raccontino, è vero?
Allora io lo inserisco. Ho pensato che poi ne metterò uno anche nei libri che libererò
e buona lettura
>
> Ricostruire la storia così com'è avvenuta non è stato facile e a
tutt'oggi non sappiamo come si siano svolti effettivamente i fatti. Per
conoscere l'accaduto abbiamo dovuto affidarci ai ricordi di Celia, ma
essi vanno scomparendo sempre più dalla sua mente, si confondono, si
attorcigliano come fili annodati e poi riprendono vie diverse
dall'usuale, irraggiungibili per ogni pensare che si dica normale. E
alla fine le sue memorie si perdono brano a brano, minuto per minuto,
cosicché alla fine non resterà nulla se non il vuoto.La voce sul
registratore si fa più flebile, lontana, distante ad ogni incontro e
temiamo, ad un anno di distanza dall'accaduto, timore che si va
tramutando in certezza, che andiamo perdendo Celia. Abbiamo sentito i
testimoni, ma se è difficile trovare racconti concordi su fatti
eclatanti che fanno notizia, perché siamo portati a trasfigurarli con
la nostra immaginazione e a riviverli secondo nostre prospettive e
punti di vista, seppur involontariamente, tanto più quando si tratta di
fatti che rientrano nella nostra norma consueta di ogni giorno e ai
quali prestiamo non più di uno sguardo indifferente. E' difficile
ricordare i tratti del signore distinto che ci siede di fronte in
treno, immerso nella lettura del suo giornale o di un libro. Così andò
per Celia, una ragazza normale in una giornata normale.
>
> Stranamente la prima cosa che Celia rimosse, della quale non seppe
dire nulla fu proprio la giornata, ma del resto è la cosa che meno
importa per la nostra narrazione dei fatti. Le colleghe testimoniarono
che Celia era tranquilla, poco vivace come di consueto, leggermente
raffreddata, ma poco altro. La sera, una nebbiosa sera di dicembre
Celia si era avviata alla stazione. Portava un libro sotto il braccio.
Un noir di quelli che nelle librerie sono indicati come best seller.
Celia non cercava libri particolari, solo un modo per riempire il vuoto
di quell'ora di viaggio. E la storia della Dalia Nera si prestava in
modo perfetto a quell'evenienza consueta. Abbastanza truce da suscitare
emozioni col suo fascino di storia vera, ma discretamente lontano nel
tempo per ricreare un'atmosfera. La nebbia si infittiva mano a mano
che il treno si avvicinava alla stazione di discesa, una piccola
stazione isolata dove scendevano a quell'ora non più di tre persone, a
volte cinque. . L'uomo seduto di fronte a Celia raccontò che la ragazza
leggeva il suo libro e di tanto in tanto portava lo sguardo fuori dal
finestrino e fissava lo sguardo nella nebbia. Celia non poteva vedere
nulla, ma conosceva ogni tratto del paesaggio. Sapeva che i fossi
contornavano la ferrovia, coi filari di pioppi che si ergevano
orgogliosi nel buio. La madre ci raccontò che da piccola Celia amava
perdersi nella nebbia. A volte vi fissava lo sguardo cercando qualcosa
di indefinito, di lontano, come se un sogno la prendesse e la portasse
via. A volte camminava lungo i fossi, tra i pioppi, senza una meta.
Sogna a occhi aperti diceva la mamma.
>
> Finalmente era arrivata alla sua stazione, aveva messo il libro nella
borsa voluminosa e si era allontanata nel corridoio. L'uomo di fronte a
lei le aveva lanciato uno sguardo distratto e si era rimesso a
sonnecchiare.
>
> L'ultimo testimone che aveva visto Celia, era un altro passeggero,
l'unico ad aver notato la seconda ragazza sotto quel lampione. Andava
di corsa, le era passato davanti, ma quella non aveva fatto cenno a
chiedere un passaggio. La nebbia era fittissima, tutto il mondo
circostante sembrava inglobato in quel grigio. I lampioni illuminavano
fette di marciapiede rendendo ancora più sinistra l'atmosfera. Il
testimone raccontò che aveva pensato ad una passeggiatrice (il termine
è nostro, il suo era molto più colorito e per certi versi efficace), ma
la ragazza non si era mossa, non aveva fatto un cenno. Nulla. Si
limitava a stare lì nella nebbia sotto quel lampione. E del resto non
aveva l'abbigliamento di una passeggiatrice né in quel luogo poteva
aspettarsi di trovare dei clienti. Il cappotto era lungo, aveva detto
quel passeggero, un impiegato della Camera di Commercio. I capelli
erano biondi, lunghi sulle spalle, una sciarpa era come contorta
attorno al collo. Il passeggero, richiesto se si ricordasse di qualcosa
di particolare, aveva detto nulla, se non che dava un' impressione di
bagnato. Nulla di strano, ammettendo l'umidità di quella notte.
Comunque la ragazza era rimasta immobile. Lui si era avvicinato alla
sua auto per muoversi. Allora aveva dato uno sguardo attorno. Celia
(lui non la conosceva per nome, noi gli abbiamo detto in seguito come
si chiamasse) era già salita in macchina e si stava allontanando. Poi
l'aveva vista fare una cosa strana. Un'inversione improvvisa, si era
avvicinata al lampione, aveva aperto la portiera. La ragazza si era
mossa lentamente ed era salita in auto. Poi si erano allontanate nella
nebbia. E lui se n'era andato alla sua quotidianità.
>
> A questo punto tutto si perde. Dobbiamo rifarci al racconto di Celia,
per quanta fede possiamo prestare. Del resto all'inizio ci seppe
raccontare qualche particolare e noi l'abbiamo fedelmente trascritto.
Dobbiamo puntualizzare che il racconto non è stato fatto davanti a noi
come medici. Celia non distingue, per lei il volto di sua madre si
confonde con quello dell'infermiera che la mattina le porta la
colazione, il padre è una figura rimossa dalla sua memoria. Celia
ripete continuamente la sua storia. Null'altro. A chi si avvicina
chiede se abbiamo visto la ragazza e dov'è andata e poi racconta la sua
storia senza preoccuparsi di dare un volto logico al suo pensiero,
come se la sua mente fosse regredita ad uno stadio inferiore di
sviluppo.
>
> Comunque, traduciamo i fatti così come ci sono stati riportati. Celia
non ci ha detto cosa la spinse a raccogliere la ragazza.. La vide, ma
non la notò se non di sfuggita .Del resto non la conosceva e non
l'aveva vista scendere dal treno. Aveva fatto poche decine di metri
quando una voce l'aveva chiamata. Non disse quale voce e del resto oggi
nella sua mente sono decine le voci che si accavallano, impossibili a
essere distinte, fra vive e reali e creazioni fantastiche. Quella voce
allora l'aveva chiamata e lei aveva fatto quell'inversione inconsueta e
fuori luogo. Aveva raccolto la ragazza e l'aveva salutata con un cenno.
E lei era salita. Da principio aveva detto poche parole, che studiava
lingue straniere, che aspettava il suo ragazzo ma lui non era arrivato.
Poi le parole si erano perse e tra loro era calato il silenzio, un
silenzio all'inizio piacevole, poi imbarazzante e alla fine latore di
angoscia. Celia aveva provato a conversare ma i suoi tentativi non
avevano risposta. La strada correva lenta e sembrava non aver mai fine.
Erano come perdute nella nebbia che costringeva Celia a rallentare.
Qualche macchina in senso inverso illuminava di tratto in tratto la
strada e si allontanava perdendosi nel buio.
>
> Il silenzio diventava angosciante. La ragazza sembrava farsi più
pallida ad ogni istante. Il suo volto era come esangue. Emergeva dai
suoi tratti un'idea già rilevata dal testimone, di bagnato, di umido.
Le mani erano lunghe e affusolate, con le unghie lunghe, il cappotto
era lungo fino ai piedi ma bagnato molto bagnato. Così disse Celia
bagnato molto bagnato. Ma quello che più di ogni cosa terrorizzò Celia
fu la puzza, puzza insopportabile che invase l'abitacolo. Una puzza che
si alzava e si diffondeva, insostenibile. Un senso di nausea prendeva
Celia allo stomaco. Ebbe l'impulso di aprire la portiera e di fuggire
via, ma non poteva, qualcosa la tratteneva. La ragazza la guardava,
fissa, ma non la vedeva. Guardava un punto lontano. Al di là di Celia.
Il viso diafano sembrava illuminare la notte con quegli occhi immensi
nei quali non c'era sguardo se non a tratti. La ragazza allungò le
mani, toccò la gamba di Celia. Un senso di gelo le percorse il corpo
come una scossa improvvisa. Il senso di bagnato aumentò come se le si
fosse trasmesso a tutto il corpo dai piedi fino alla fronte passando
per lo stomaco. Celia continuava a fissare la ragazza ed ecco come dei
fili le pendevano tra i capelli. Verdi. Celia non seppe dire cosa
fossero, non seppe dare un nome a quello spavento. Allora fermò la
macchina per fuggire ai bordi della strada, si allontanò correndo da
quella figura muta. Cadde e si rialzò. Non sentì nessuno alle sue
spalle, ma continuò a correre col cappotto che le impediva i movimenti,
che diventava ogni minuto più pesante, il senso di freddo che
aumentava, la nebbia che l'avvolgeva. Quando cadde la seconda volta la
figura era lì vicino a lei e Celia dice di aver urlato, ma non ne è
certa, non sentì la propria voce uscire. Eppure è sicura di aver urlato
ancora e ancora. La figura le si avvicinava sempre di più. Celia era a
terra, sull'orlo di un fosso. Le mani della donna erano su di lei,
sulle sue spalle, il viso premeva contro il suo, pallido e scarno.
Improvvisamente la ragazza fu a un attimo di distanza da lei e
inaspettatamente la baciò sulla bocca. Sentì le sue labbra premerle
contro. Labbra fredde, gelide, mentre l'odore la percorreva tutta. E
Celia comprese che era odore di acqua, di acqua lurida, di fango, di
alghe. Dell'odore dei canali quando li pulivano e lei era piccola e si
fermava a guardare. Un odore di morte. Celia serrò le labbra ma la
ragazza insistette, le aprì la bocca, si insinuò e in breve respirarono
dello stesso respiro, una divenne l'altra finchè Celia non perse la sua
realtà. E svenne.
>
> La ritrovarono dopo tre giorni di ricerche continue. Rannicchiata in
una di quelle casupole di campagna una volta utilizzate dai contadini
come riparo per gli attrezzi, ora abbandonate. Aveva i vestiti sporchi
e laceri. Aveva camminato per ore. Si riparava gli occhi con le mani,
si faceva schermo, si proteggeva e non parlava. I poliziotti che la
trovarono e che ce la portarono incapaci di dare una risposta a quella
visione, dissero che era bagnata fino al midollo. E tra i capelli aveva
dei fili. Dei fili d'alga. Verde.
>
> Ce la portarono e Celia ci raccontò la sua storia. Di più non potemmo
sapere. I poliziotti che ebbero in mano per primi il caso dissero che
nulla era sparito dalla borsa se non il libro. La Dalia Nera.
>
> Una cosa spaventò i poliziotti e poi noi, qualcosa che ci atterrisce
e che non sappiamo spiegare. Qualcosa che all'inizio attribuimmo alle
avverse condizioni climatiche cui Celia era stata sottoposta. Ed era il
freddo. Un freddo che emanava da quel corpo. Un freddo che veniva
dall'interno diceva Celia e che nulla riusciva a scaldare. Freddo che
aumentava mano a mano che i pensieri si perdevano nell'orizzonte della
ragazza. Un freddo come di un corpo morto, come se io fossi morta disse
Celia in un momento di rara lucidità. L'ultimo.
>
> La storia restò sospesa come in bilico. Celia rimase da noi. La
studiammo, la esaminammo ma non potemmo spiegare nulla. La madre non ci
disse nulla se non che da piccola Celia sognava spesso ad occhi aperti
e si perdeva nel vuoto. Ci disse anche che aveva avuto un fidanzato
tempo prima. Che si intuiva che aveva sofferto per lui ma non l'aveva
mai dato a vedere. Poi più nulla. Il silenzio su Celia e la sua storia.
Sospesa nel vuoto con quel corpo che diventava sempre più freddo e il
nulla che prendeva la sua mente proiettandola in un punto lontano dello
spazio. Diceva che dentro si sentiva vuota e cercava in continuazione
cibo ossessivamente, forsennatamente, disperatamente. Per dimenticarsi
subito di aver mangiato e per cercare di nuovo altro cibo. Solo la
nostra attenzione ha impedito che si facesse del male.
>
> Questa situazione durò un anno. Quando successe una cosa. Una sera
qui da noi, si guardava la televisione come ovunque ormai. Una
trasmissione in cui si ripercorrono vecchi casi di cronaca e qualcuno
qui da noi è molto appassionato. A un tratto un volto, una ragazza
bionda. Celia è immobile ma all'improvviso si muove, freme, sembra
riconoscerla. Poi torna alla sua apatia. Ascoltiamo la storia con
attenzione. È una ragazza torinese, Anna, scomparsa dopo un incidente
d'auto tre anni prima. Un cadavere cercato a lungo, ma mai trovato. La
mattina dopo ci muoviamo. Vale la pena di seguire quella flebile
traccia, di capire chi abbia riconosciuto Celia. Pensiamo ad una
vecchia amica. Forse. Andiamo dai genitori. Una casa bene della Torino
media. Una casa elegante col pianoforte. Anna suonava il piano ci dice
una madre affranta. Già suonava. E aveva un fidanzato. E scriveva. La
madre ci raccontava di Anna in quel salotto tranquillo pieno di
fotografie. Anna al mare, Anna che fa la Prima Comunione, Anna a un
saggio di danza, Anna in cento foto. Era uscita una sera tre anni prima
con un amico, uno che frequentava da poco, uno molto più vecchio disse
la madre. Una follia, un colpo di testa. Nessuno capiva. Ultimamente
Anna era strana, come se cercasse qualcosa. Anna aveva un pensiero suo,
che la inseguiva e la accompagnava ovunque, il pensiero della morte.
Era una ragazza allegra, ma di tanto in tanto si rabbuiava. Quel
pensiero faceva capolino e lei si rattristava. Fin da piccola, molto
piccola. Diceva che avrebbe voluto essere una pianta. Per non soffrire.
Qualcuno sorridendo con ponderata cattiveria le aveva detto che anche
le piante soffrono. Si era gettata per terra in preda a una convulsione
infinita. Come se le avessero tolto l'ultimo rifugio. La paura della
morte era la sua compagna, non l'abbandonava mai, neppure nei momenti
più belli. Ma ora improvvisamente Anna era cambiata, sorrideva. diceva
ecco io non morirò. Lo so. La morte non esiste per me. Io sopravviverò.
E questo pensiero le dava euforia. Sorrideva a quel pensiero. E poi
aveva incontrato quell'uomo tanto più vecchio di lei. I pensieri brutti
erano come scomparsi. Io non morirò. Io sopravviverò. Lo so. E rideva
fino a piangere mentre lo diceva. Scoppi di risa irrefrenabili la
prendevano mentre diceva quello. Insieme andavano ad una festa dopo
l'altra. L'uno in cerca di una giovinezza perduta, l'altra alla ricerca
di qualcosa che solo lei poteva capire. Anna cambiava. In preda ad un
entusiasmo irrefrenabile. Il suo pianoforte era in un angolo. Solo la
sua tesi avanzava verso la conclusione trionfalmente. Ecco andrò
all'estero diceva Anna, viaggerò. Amerò. Sarà una vita di felicità.
Perché io non morirò. I presenti quell'ultima sera, quell'ultima festa
dissero che sia Anna sia l'amico avevano bevuto parecchio, erano
euforici, felici. Si erano allontanati dalla villa che già albeggiava.
Una strada lungo un fiume. Quando li videro così ubriachi qualcuno
temette per loro, ma già si stavano allontanando, abbracciati. Una
strada diritta sul cavalcavia di un fiume. Avevano visto la macchina
sterzare e cadere nel fiume improvvisamente i pochi passanti a
quell'ora- E la macchina era scomparsa, inghiottita dalle acque del
fiume. I sommozzatori avevano trovato l'auto in fondo al fiume. L'
amico era nell'auto. Ma Anna no, lei non c'era. E mai l'avevano
trovata. Scomparsa nel nulla, inghiottita dalle acque limacciose e dal
fango . Nulla più, nessuna notizia. Chiedemmo alla madre se mai Anna
avesse conosciuto una ragazza di nome Celia, ma questo nome alla donna
non disse nulla. Scosse il capo. Conosceva tutte le amiche di Anna, ma
quella no.
>
> Stavamo per andarcene delusi. La casa era in ordine come se Anna
fosse uscita poche ore prima e stesse per tornare. Avevamo fretta, ma
lo sguardo ci cadde su un pacco di fogli. La tesi di laurea ci disse la
madre. Leggemmo il titolo "Figure di donne nella letteratura poliziesca
americana. Tra vittime e assassine... " Dell'ultimo capitolo c'era
solo il titolo "La Dalia Nera tra realtà e finzione letteraria".
>
>
>
- liberliber
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evvai un'altra scrittrice! a settembre rilanciamo i racconti a più mani?




Ho potuto così incontrare persone e diventarne amico e questo è molto della mia fortuna (deLuca)
Amo le persone. E' la gente che non sopporto (Schulz)
Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto (Wilde)
I dream popcorn (M/a)
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NON SPEDITEMI NULLA SENZA AVVISARE!
Meglio mail che mp. Grazie.
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- ero10
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realtà
In realtà io non sono una scrittrice... mi sono cimentata in alcuni raccontini senza nessuna pretesa letteraria. Però l'idea dei racconti a più mani mi piace. Sarebbe bello che chi scrive racconti o poesie ne mettesse uno nei libri che libera così ci sarebbe anche uno scambio di racconti... a me piacerebbe
Ciao
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- liberliber
- amministratrice ziaRottenmeier
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ero10, io ho partecipato ai racconti a 4 mani (li trovi da qualche parte in area generica) senza aver mai scritto nulla (salvo i temi a scuola
), scrittore/scrittrice per me non è chi viene pubblicato, ma chi ama farlo 


Ho potuto così incontrare persone e diventarne amico e questo è molto della mia fortuna (deLuca)
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- vesna
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http://it.geocities.com/gliottomani/
qui trovi i racconti finiti e non di 8 bookcrosari torinesi
(tra i quali ci sono anchio)

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Pensieri sparsi
"Da un certo punto in avanti non c'e più modo di tornare indietro. È quello il punto al quale si deve arrivare."
Franz Kafka
- ero10
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scrittori e dilettanti
Appunto che io sono assolutamente dilettante e non aspiro a nulla di più se non a far girare qualche mio pensiero libero che può piacere oppure no... la cosa più orrenda è monetizzare tutto. E a me non piace.
Ciao
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- agatha-christie
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registrazione
Non ci crederete ma ho registrato un mio racconto! stasera lo metto nell'alienista! che emozione!
e tu leggiti la Dalia Nera che ti fa bene.
La settimana prossima vi posto la seconda parte
Ciao
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- agatha-christie
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BCD Racconto
Questo è il BCD del mio racconto: 072-842468. A questo punto faccio una domanda. Se io mando in giro più copie del racconto e le firmo tutte con lo stesso BCD succede un casotto?
P.S: ieri sera ho liberato l'Alienista a Milano al'Internet Point di via Valpetrosa. Se qualcuno lo vuol andare a prendere ci trova pure il racconto stampato!
Ciao
P.S: ieri sera ho liberato l'Alienista a Milano al'Internet Point di via Valpetrosa. Se qualcuno lo vuol andare a prendere ci trova pure il racconto stampato!
Ciao
- Yucatan
- Re del Mare
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Il titolo?
Io l'ho stampato. Ci metto il BCIN, ma non ha un titolo?
Poi lo libero e forse succede un casotto, ma forse Kaori & marito non hanno previsto tutto, quindi forse è giusto che succeda!
Poi lo libero e forse succede un casotto, ma forse Kaori & marito non hanno previsto tutto, quindi forse è giusto che succeda!
- agatha-christie
- Bucaniere
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Bella domanda.Se io mando in giro più copie del racconto e le firmo tutte con lo stesso BCD succede un casotto?
Secondo me, essendo il bcid un codice univoco, vorrebbe dire che esso è relativo ad una sola copia del libro/racconto in questione.
NB: infatti, se guardiamo tutti i libri di Harry Potter 1, per es, registrati su bc.com notiamo che ad ogni libro corrisponde un codice diverso.
Quindi direi di:


Spero che la mia risposta sia 'giusta'...