racconto

Se volete parlare seriamente di qualcosa che non è presente in nessuna delle altre aree e/o volete dare un annuncio generale a tutti per una cosa importante, questa è l'area appropriata.

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ero10
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Messaggio da ero10 »

Puoi metterlo. Adesso io farò così. Manderò i miei raccontini (tre a Marcello) e poi li registrerò e metterò il link per ciascuno.
Grazie

Metti tutto quello che vuoi!
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ero10
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seconda parte del racconto

Messaggio da ero10 »

Vi posto la seconda parte del racconto in attesa di avere un posticino WEB, altrimenti la storia sembra incompiuta

Era lì in quella libreria e non sapeva che fare. Gli altri sembravano non notarla, il loro sguardo la percorre indifferente, come se non esistesse. Eppure lei esisteva, c’era, lo sapeva. Questa era una certezza. Percorreva con lo sguardo i libri esposti, nomi noti, altri nomi nuovi. La affascinava la letteratura, conquistare l’immortalità con la scrittura. Ma è un’amara consolazione, pensava. Alla fine di te resta solo quella pagina scritta, non la tua persona. Rimane quello che hai voluto o potuto trasporre nelle pagine. Ma esse sono ormai estranee a te che sei destinata a non vivere più se non nel ricordo delle persone. Ma anche i ricordi sono destinati a perdersi nel fluire del tempo. Allontanò da sè i pensieri come un qualcosa di indecente o di fastidioso e riprese ad osservare i volti delle persone. Nella libreria vedeva i lineamenti come assorti, quasi induriti, come se la scelta di un titolo fosse comunque qualcosa di determinante. E in fondo lo era. Almeno per lei. Non era una libreria della sua città natia, era a Milano, in una libreria elegante del centro, una sorta di salotto raffinato e di buon gusto, coi libri separati sugli scaffali, i gialli da una parte, i romanzi d’amore dall’altra, le monografie d’arte, oggetti lontani e distanti dalla gente comune, ma pur così affascinanti, esposte in un angolo. Le piaceva andare in libreria nella sua città e ci andava facendo un largo giro. Passava davanti al Duomo, spesso dopo aver attraversato il mercato, non per acquistare qualcosa in particolare, ma per ascoltare le voci multicolori delle persone, i loro abiti variopinti. Poi percorreva i giardini, un’occhiata rapida al Palazzo. Non la strada diritta che portava al centro passando davanti alla bellissima chiesa barocca, oggetto d’amore sconfinato per i suoi concittadini. Faceva un percorso inutile, che prendeva molto tempo, ma la sua vita era fatta di riti. E lei amava quel percorso, quel giro vacuo di significato, ma che alla fine portava alla pace della libreria. Ora osservava i volti della gente, mentre si avvicinava al suo mondo preferito, anche se sapeva che non era null’altro che letteratura. Perché nulla può sostituire la realtà della vita. Della carne, della gioia, del dolore fisico, dell’amore. Ma nulla è un sostituto migliore della pagina letteraria. Improvvisamente si trovò a ripensare il titolo della sua tesi, abbandonata ormai, ma con la sicurezza che un giorno sarebbe tornata a riprenderla, “Figure di donne nella letteratura poliziesca americana. Tra vittime e assassine”. Non poteva non avvicinarsi allo scaffale della biblioteca destinata ai gialli, erano stati la sua vita per un anno, un intero anno di passione che alla fine l’aveva lasciata con lo stato d’animo simile a quello che prende l’amante illanguidita dopo un rapporto d’amore. E che alla fine l’aveva spinta a cercare la passione vera, reale. E ad un tratto lo vide. Un libro di uno scrittore statunitense. Lei. La Dalia Nera. “La Dalia Nera che torna, torna nella mia vita perché qualcuno ha scritto di lei, come me che anch’io ho scritto di lei, anche se nessuno lo saprà mai. Perché la mia tesi è un’opera incompiuta.” . Ecco la Dalia, non esposta in bella vista tra i best seller, ma nel ripiano inferiore dello scaffale, nel posto dei libri una volta campioni di vendite ma ora sostituiti da altri nuovi ingressi. Nessuno sembrava notarla, la Dalia. Mio Dio, come si fa a non amare la Dalia? Col suo carico di morte, di violenza, di mistero, come si fa a non amarla, a non desiderare di mantenerla in vita, seppur tra le pagine di un romanzo o di una tesi di laurea? Come si può ignorarla? Questi pensieri la attanagliavano mentre una ragazza si avvicinava, una delle tante e invero, nemmeno con l’aria di una particolarmente intelligente. Eppure viveva e respirava. Come la Dalia non faceva più. Era una moretta piccola, o almeno sembrava a lei, ingolfata in un cappotto largo. Portava gli occhiali, ma non le davano un’aria da intellettuale, solo da vecchietta. Sono cattiva, pensava, ma io sono qui e posso solo guardare lei che sfoglia i libri. E lei non mi nota nemmeno, indifferente alla gente che la circonda.
Non si soffermava ad osservare le copertine, si limitava a leggere la trama, di sfuggita, lo si intuiva dalla rapidità con cui abbandonava i libri. Udiva la ribellione salire dentro di lei. Non si osservano i libri con quello sguardo indifferente. Lo scrittore ha posto la sua vita in quelle pagine, si è esposto agli sguardi altrui, spesso impudichi e sfacciati. Non puoi leggere con indifferenza. Sembrava non trovare nulla. Perché la ragazza la attraeva? Non aveva nulla di particolare, c’erano altri volti, altri sguardi vivi in quella libreria. Ecco quel bel ragazzo alto, come trattava i libri, quasi da appassionato. Si avvicina alla Dalia, ecco, si sofferma, ma passa oltre. Era tutta un’illusione. Tornò alla ragazza. Guardava l’orologio. Lei pensò con un misto di cattiveria che starà per perdere il treno e a quello unicamente sarà legata la sua scelta. Anzi la non scelta. Perché afferra la Dalia, un libro come un altro per lei, come avrebbe potuto prendere un altro libro…. E si allontana, ecco i suoi passi si allontanano sotto la Galleria ed è già lontana.
Ha sempre amato i libri. Fin da piccola. I libri e la musica. La biblioteca di suo padre nella casa lungo il fiume è stata sempre oggetto di desiderio, di amore, di possesso. Si nascondeva, si chiudeva nel suo mondo estraneo e leggeva. Disordinatamente. Ogni libro una scoperta oppure una delusione. Ogni libro un compagno di strada, a volte per un tratto breve, a volta destinato a fermarsi nella memoria, ma tutti destinati a vivere dentro di lei.
Un giorno erano andati al vivaio in periferia, quasi collina. Un gruppo di amici dei genitori, come se fosse una sorta di gita, un’insolita gita. Un posto con molte piante. Vaga. Si chiede se quelle piante di ulivo faranno mai frutti. Ma nella loro casa cittadina mai ci sarà un olivo. Si accontentano di piccole piante, ma quel vivaio è molto bello e lei ci si perde. Cammina tra i rami contorti delle piante, tra il profumo, tra i colori delle foglie e dei fiori. E improvvisamente la prende quel pensiero. Vorrei essere una pianta. Per non soffrire la mia morte, per non patirla. Ecco quell’ulivo nasce, cresce, un giorno morirà ma non avrà la consapevolezza della fine, la lucidità dell’abbandono. Ecco questo è un pensiero che la accompagna. Vorrei essere come quell’ulivo, dare ombra agli altri ed essere priva di quella fatale consapevolezza. Ha sei anni e pensa questa cosa. Una stupidaggine per gli altri. Ridono mentre pronuncia questa verità fatale, troppo grossa per una scriccioletta. Chissà dove l’avrà sentita. Dicono. Certo non può averla pensata con queste parole. Ha sei anni. Ridono. Solo lei, la mamma la guarda con quello sguardo assorto, come se le percepisse il dolore interiore, la sensazione che la pervade. Come se temesse quella consapevolezza che cresce abnorme nella mente della figlia. Come se lei sola avesse il dono della comprensione eppure lo temesse, allo stesso modo che la figlia teme il pensiero della morte. La madre guarda la figlia, gli occhi si incontrano. E’ un lungo attimo, un attimo che percorrerà tutta la loro esistenza. Un attimo muto, senza parole. Eppure incancellabile. Da allora lei non avrà più paura a parlare della sua paura di fronte alla madre, pudica con gli altri dei suoi sentimenti. La madre che dipana nella vita quotidiana il pensiero che si fa ossessione della figlia. Figlia che vorrebbe proteggere dagli sguardi di chi pensa di aver capito tutto, dalle frasi banali sul godere la vita. Ma non può difenderla dal mondo, dalla cattiveria. Può solo pregare che impari l’arte del silenzio di fronte a chi è destinato o predestinato a capire tutto. Ma anche la consapevolezza del silenzio è un cammino lungo. E lei si apre a volte in modo insospettato. Una volta sono a tavola, la lunga tavola apparecchiata, un giorno di festa consacrata. Le candele sulla tavola. Rosse. La tovaglia ricamata. I fiori. Le portate che si susseguono. Le risate felici, le chiacchiere rumorose destinate a non riempire nessun vuoto. Una giornata normale. E l’episodio si ripete. Solo che lei ora ha quindici anni. Non è più quella bambina tra gli olivi. Vorrei essere una pianta e allunga lo sguardo all’intorno, come a cercare solidarietà Cade un silenzio di imbarazzo tra i presenti. Lei cerca con lo sguardo la madre che meccanicamente compie i gesti della festa. Distoglie lo sguardo. Sente arrivare la disfatta. Il silenzio. Qualcuno finalmente parla. La voce cattiva, alterata nella sua falsità e nella cattiveria deliberata che va ad esprimere. Uno scienziato, non mi ricordo il nome, non ho memoria per i nomi e ride tra sé, ha dichiarato che anche le piante soffrono esattamente come le persone, nascono, muoiono, ascoltano perfino la musica. Ma soprattutto soffrono, esattamente come le persone. E’ un attimo. Lei è per terra in preda ad una convulsione infinita, la madre vorrebbe accorrere, ma qualcosa la blocca, la trattiene sull’orlo di un urlo. Può solo guardare la figlia che si contorce nel suo dolore. Poi finalmente qualcosa si sblocca ed ecco prende in grembo il capo della figlia, a consolarla di quel dolore assoluto, grande come il mondo, di chi ha perduto l’ultimo rifugio.
Sono passati anni, lei ha finito il Liceo e frequenta l’Università. Non è una studentessa puntuale. Ogni tanto ha dei ritardi, si perde, ma nessuno la forza in quella sua bella casa borghese con l’abbaino affacciato sul Po. Sono tutti consapevoli che la tesi arriverà, la attendono, ma con calma, una calma perbene. E finalmente comincia la tesi. Si butta a capofitto a studiare,esaminare, sezionare le donne in nero della letteratura americana fino all’ultima, la Dalia. Ha 28 anni. Legge, studia, per così dire viviseziona la letteratura americana, da Lizzie che con un’ascia finì apatica e indifferente tutta la sua famiglia, fino alla Dalia col suo carico di morte.
La madre fu l’unica a capire perché Anna ebbe a scegliere quell’argomento. Intuì che aveva a che fare con quel pensiero di morte che era parte della figlia che in un certo senso lo voleva esorcizzare, anche se continuava ad annidarsi da qualche parte per emergere insospettato di notte durante il sonno, tramutato in incubi tremendi.
Era quasi alla fine la tesi, per la soddisfazione della madre, un anno di lavoro appassionato e continuo, senza soste. Un anno di letture intensissime e di scrittura che si intuiva avrebbe segnato una svolta in quel campo di studi, come sostenevano gli insegnanti.
Ma nemmeno i più attenti degli insegnanti o la più accorta delle madre poteva accorgersi fino a che punto il senso di malessere le crescesse dentro, come un male mostruoso che la divorava, un’angoscia che cresceva, quella antica paura della morte che paralizzava il suo essere e alla quale non avrebbe saputo dare un volto.
Finchè un giorno, improvvisamente, seduta sulla panchina del parco, in una giornata fredda di gennaio, mentre si stava alzando per tornare a casa, decidendo quale giro ozioso fare, quale libreria ancora dovesse visitare, si trovò a fissare l’uomo di fronte a lei. Non avrebbe saputo dire perché. Un uomo non più giovane, certo quasi più vecchio di suo padre, nemmeno particolarmente bello. Certo non il suo tipo. Eppure si fissarono, si guardarono, si parlarono e dieci minuti dopo stavano seduti in un caffè per un qualcosa di caldo e tipico della città. Un locale coi legni antichi, piccolo e raccolto, dietro la chiesa barocca. Lei gli aprì il suo cuore mentre lui la osservava incantato. Le prendeva le mani, chiudeva gli occhi, quasi ad ascoltare la musica delle sue parole. Poi gli occhi si riaprivano a cogliere la bellezza assoluta di Lei, che sembrava racchiudersi in quei capelli raccolti in un nodo severo, eppure affascinante, in quegli occhi grandi, immensi e puliti. Lei tornò a casa, con la convinzione interiore che la sua vita avesse raggiunto il punto di non ritorno.
Cominciò così quello che non potè mai essere definito amore. Lui le diede un appuntamento. La sera dopo si presentò con un fiore e la parola che lei non si aspettava. Non la poteva amare. Metteva davanti dei discorsi vacui come i suoi giri cittadini, ma tutto girava attorno a quel nucleo, che non si aspettasse amore da lui. Banalità. Troppo vecchio. Bugia dell’età, realtà di una qualche paura di rimettere in gioco la sua persona in un rapporto profondo. Le parlò di altre donne per allontanarla, di altre storie. Ma lei aveva trovato il suo punto di via per la vita. Lo intuiva seppur vagamente. E cominciarono a frequentarsi con quella barriera tra loro, quella mancanza di amore che si frapponeva tra loro. Lei percepiva dietro quel non voler amare, quel mettere l’età come fosse un ostacolo tra loro, una forma grande di egoismo, ma vi si adeguava. Perché se lui si fosse adeguato a quell’amore, se lo avesse accettato si sarebbe dovuto aprire alle profondità della sua anima, sorta di abisso senza fine. Un giorno avrebbe colto l’essenza della sua anima, avrebbe dovuto dare un nome alla malinconia che le solcava il viso e le attraversava gli occhi. E questo lui non voleva. E lei non si sottraeva alla falsità di quel rapporto. Si adattò a quello che lui cercava, un rapporto superficiale, lo accompagnava alle feste, sorridendo meccanicamente, sottoponendosi a quella finta di amore. La paura di perderlo era superiore al senso di disagio di fronte a quel sentimento falso. Ma lei voleva disperatamente fosse amore e vi si attaccava in modo quasi patetico. Del resto lei era molto bella, di una bellezza nordica, la donna ideale da portare per feste, elegante e raffinata pur nella sua mancanza di interesse per ogni forma di lusso. Di una bellezza austera, quasi monacale. Eppure andavano per feste e lei rideva e beveva. Beveva e poi rideva ancora. Per un attimo pensava che quella fosse la vita, quell’attaccarsi disperato ad una parvenza di amore. Del resto a lui, nel suo egoismo, quel rapporto falso andava benissimo, quel sentirsi di nuovo giovane senza il bisogno di creare legami. E in fondo la pensava felice non guardando al di là della risata allegra, né desiderando saperlo.
Fu allora che cominciò a sentire la voce. La voce che diceva che lei non sarebbe morta. Non era una voce nella sua testa. Lei non era pazza. E poi la vedeva, la Dalia accanto a sé, anche se comprendeva che non era viva e reale. Era successo un giorno, a un funerale di una persona anziana, una vicina, una giornata di pioggia battente. Aveva litigato con lui. L’aveva accusata di stargli troppo vicino, di levargli l’aria, di soffocarlo. E lei aveva pianto come una bambina di fronte a lui. Col risultato di irritarlo ancora di più e forse, defnitivamente. Così al funerale mai si era vista una vicina di casa così disperata. Alla fine della cerimonia si era allontanata, perdendosi in quella grande città nella città che è il cimitero. Avvolta nel suo cappotto, sotto l’ombrello colpito dalla pioggia battente, tra le lacrime, si era distratta e aveva perso l’orientamento. Si incamminò di corsa per allontanarsi da quel luogo desolato senza guardare nulla. Sentiva quel nucleo di angoscia crescere dentro di lei. I sassi sulle tombe ebraiche li vedeva di sfuggita. Non voleva fermarsi, ma il vento si faceva forza. E la pioggia incessante le entrava negli occhi. Si fermò alla fine, esausta. Una vecchia tomba, una ragazza giovane. Si sentì male. Non lesse il nome, non vide le date. Pensò solo che la Dalia aveva quel volto, quel volto da ragazza. Una preghiera le salì in gola, ma era una preghiera infantile, di quelle che le aveva insegnato una governante o forse una nonna anni prima, quando ancora non aveva la cognizione delle cose. Chissà se quella preghiera valeva? E sentì la voce, e vide la Dalia ferma lì accanto a lei, tu non morirai tu vivrai. Non era una pazzia la sua, ne era certa. Fu a casa, nella stanza affacciata sul fiume, prese il telefono per parlargli, per dirgli quello che aveva dentro, di quella voce, di quella presenza, tu non morirai che le si affacciava dentro. Lui parve ascoltarla, ma lei si accorse che provava fastidio. La considerava una scusa per un nuovo attaccamento nei suoi confronti. Potevi inventarne una migliore sembrava dire nel suo tono di voce. E subito parlò di cose banali. Lui non poteva avvicinarsi a quel nucleo interiore che era il suo mondo nascosto, vi sarebbe precipitato e così se ne allontanava, indifferente a quel che provocava. Alla fine a lei non rimase che arrendersi, tenersi dentro quella voce, non comunicarla. Ma rimaneva come un qualcosa di inespresso tra loro. Alla madre ripeteva quelle parole, io non morirò, senza spiegare nulla, senza dire di quella voce che le percuoteva la testa. L’avrebbe spaventata. Ma non era follia la sua. Non ancora. Cercava la vita come l’annegato che annaspa e si attaccava a lui come il naufrago alla barca rovesciata. Voleva attaccarsi a lui con disperazione, con quella tenacia incomprensibile per chi la conosceva. Ma lui era freddo con lei. Sempre più freddo. Mascherava l’indifferenza con una finzione di condiscendenza. Giorni di silenzio che la facevano impazzire, che la costrinsero alla fine ad abbandonare la Dalia per ripiegarsi su se stessa, nella sua sofferenza. Fino a quella sera, quando lui l’aveva chiamata per una festa. Crudelmente le aveva fatto capire che era solo perché un’amica era mancata ad un appuntamento. Ma per lei era già tanto. Una festa sulla collina, in una casa bene, luci canti e balli fino all’alba. La sua tesi era abbandonata da tempo, la Dalia accantonata. Ma lei sapeva che sarebbe tornata a reclamare il suo spazio. Non sapeva né come né quando, ma sarebbe tornata. La festa era finita, era l’alba, si dirigevano all’auto, lui con l’eleganza sciocca dell’uomo vacuo, lei avvolta in quel cappotto nero e nella sciarpa. Abbracciati come se ci fosse amore tra loro. Finalmente. Lei allora gli parlò d’amore come le veniva dal profondo del cuore, ma ancora una volta lui si negò come un amante capriccioso e spietato. La strada era dritta. C’era silenzio fra loro. Un silenzio angosciante. Su un cavalcavia. Non seppe perché fece quel gesto. Seppe solo che per un attimo la Dalia fu accanto a lei. E poi fu buio.
Ora era lì, sotto al lampione. Aveva preceduto la ragazza, l’avevano attesa con ansia, lei e la Dalia. Sentiva il cappotto umido, si stringeva con gesto meccanico, ma nulla poteva cancellare quel freddo interiore, quel gelo che proveniva dall’interno di lei. E che sentiva dalla sera della festa. Era lì fuori dalla stazione. Pochi passeggeri che si allontanavano di corsa, quasi senza notarla. Non sapeva che treno avrebbe preso, ma lei era paziente e del resto per lei il tempo era una pura inconsistenza, un qualcosa di cancellato dalla sua mente. Era passato un uomo. L’aveva fissata, valutando se fosse una bellezza notturna. Poi si era allontanato indifferente e, forse, deluso. Alla fine eccola avvicinarsi, la ragazza della libreria. Camminava di corsa, le mani in tasca, ingolfata nel suo cappotto. Sembrava avere fretta. Ma lei sapeva che si sarebbe fermata. Ormai era inevitabile. La guardò per un lungo attimo, poi scrollò le spalle e salì in macchina, ansiosa del suo ritorno a casa. Lei sapeva cosa voleva. Nulla della ragazza. Lei le era indifferente. Era la Dalia che voleva possedere: per dare una volta fine al suo lavoro e al suo destino. La ragazza si sarebbe fermata, lei avrebbe preso la Dalia e se ne sarebbe andata. Tutto qui. Non voleva altro. Solo finire la su a tesi. Quando la vide allontanarsi nell’auto, la chiamò. Non seppe se con la voce o con la forza di un pensiero dominante, ma la chiamò intensamente. E allora la ragazza svoltò e tornò a lei. Le avrebbe chiesto il libro, gentilmente e se ne sarebbe andata. Tutto qui. Pochi istanti dopo era in auto. Perché quella ragazza parlava, cosa le stava chiedendo? Rispose a vanvera. Lei non doveva chiedere, non era lì per quello. Sentiva quella voce parlarle mentre il freddo dentro cresceva intollerabile. Sentiva di essere bagnata, bagnata fino al midollo, ma quello stato era estraneo al freddo che era un qualcosa di interiore, qualcosa che partiva dal nucleo stesso della sua esistenza. Improvvisamente calò il silenzio. E lei percepì l’altrui disagio tramutarsi in paura e poi in terrore. Un terrore incomprensibile per lei. Avrebbe voluto rassicurare l’altra, metterla a suo agio, ma era impossibile. Vide che fissava i suoi capelli con gli occhi spalancati, la bocca aperta in un un muto urlo nero. Le toccò la gamba, per calmarla, ma lei sembrava sempre più terrorizzata, chiusa in un panico incolmabile. Ad un tratto bloccò l’auto e corse via. Sarebbe stato l’atto più naturale, prendere la Dalia e andarsene, ma lei doveva fare ancora una cosa. Allora corse veloce veloce, fino alla ragazza che vide a terra. La fissò, gli occhi sbarrati. Sentiva in quel terrore scorrere la vita, quel che lei desiderava, sentir scorrere la vita. E poi c’era quella voce nella sua testa. Non voleva far male, voleva solo partecipare dell’esistenza altrui. E mise le sue labbra sulle sue in una sorta di bacio in cui non c’era nulla di impudico. In quel bacio lei ricominciò a sentire calore scorrerle nelle vene, salirle al capo mentre la voce si allontanava nella notte. Finchè tutto fu silenzio. E allora si allontanò stringendosi nel cappotto. Ora poteva riprendersi la Dalia…..
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orsomarso
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Messaggio da orsomarso »

e anche la seconda parte è in fase di stampa :wink:
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
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ero10
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messaggio privato

Messaggio da ero10 »

Ti ho mandato un messaggio privato
Grazie
(anzi il primo a dir la verità me lo sono mandato da sola)

Ciao
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orsomarso
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Messaggio da orsomarso »

messagio ricevuto e letto, grazie a te :wink:
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
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Yucatan
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Complicazioni!

Messaggio da Yucatan »

Dato che mi sta diventando un po' ostico seguire la storia del rilascio ed io ho già dato una copia stampata a JJ, non registro. Ci penserà eventualmente il Leader!
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ero10
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Messaggio da ero10 »

Sto mettendo il link al racconto su www.bookcrossing.com, così non ci sarà bisogno di registrare più niente!

Grazie a Marcello che ha fatto tutto!
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Lallyna
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Messaggio da Lallyna »

Ok, stampato tutto... questa sera leggo.... 8-)
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ero10
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racconto

Messaggio da ero10 »

HO registrato un altro raccontino in www.bookcrossing.com.
Vi dò i due BCD:

Appartamento in centro 475-851673
Andrea 403-851191

Grazie
Ciao
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