"Siracusa" - Delia Ephron

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Towandaaa
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"Siracusa" - Delia Ephron

Messaggio da Towandaaa »

Fin dall’inizio ho percepito distintamente l’analogia con “Cortesie per gli ospiti” di Ian McEwan, ma al tempo stesso anche le differenze sostanziali che separano i due romanzi: entrambi vedono turisti stranieri nel nostro bellissimo paese, entrambi propongono al lettore dinamiche familiari complicate e relazioni interpersonali foriere di sviluppi inattesi, entrambi lasciano prevedere il precipitare verso un finale drammatico, ma procedendo lungo cammini diversi.
Tanto è lineare, dal punto di vista narrativo del piano temporale e della voce narrante, “Cortesie per gli ospiti”, quanto è sfaccettato “Siracusa”.
Infatti al lettore viene offerto il racconto dei fatti di questa vacanza attraverso gli occhi e le parole dei quattro protagonisti adulti, che si avvicendano, a capitoli alternati e con leggeri sfasamenti anche sul piano temporale. Così che, anche cercando di opporre resistenza a questo “gioco”, il lettore finisce inevitabilmente per confrontarsi con ciascuno dei personaggi nel tentativo di attribuire ad ognuno di essi un maggiore o minore grado di attendibilità, nella ricerca di quello a cui dare credito. E questa particolare attenzione che si è portati a dare ad essi induce anche ad impiegare un maggior grado di immedesimazione (pur se con esiti diversi), oltre ad affinare lo spirito critico nei confronti delle loro condotte.
Inoltre, la scelta narrativa di “far parlare” solo i quattro protagonisti adulti mette in risalto per contrasto la figura della bimba, la figlia di una delle due coppie: taciturna, un po’ problematica e “vittima” delle asfissianti attenzioni della madre. Lei non racconta, lei è solo raccontata, eppure proprio lei si trova ad essere testimone del fatto in cui catarticamente esplode tutta la tensione accumulatasi fin dall’inizio del romanzo, solo lei potrebbe chiarire la verità al lettore desideroso di un finale univoco, chiaro e certo.
Ma così non è.
Ed ho apprezzato che così non sia stato.
Perchè da un romanzo strutturato in modo così poliedrico, e caratterizzato da passi come quello che riporto qui sotto, secondo me non è lecito (se non a patto di uno snaturamento) aspettarsi rivelazioni chiare:

“Immaginate di vedere l’angolo di un palazzo al tramonto e un lato è beige mentre l’altro è rosa acceso, quando in realtà sono fatti entrambi degli stessi scialbi mattoni rossi. E un attimo dopo la visione scompare perché la terra si è mossa di qualche millimetro. Quella che avete visto era la realtà ? Ce n’è sempre più di una ?”

E anche perché è bello che l’eco della crescente tensione prodotta in modo sapiente (con dosate espressioni del tipo “a ripensarci dopo a quello che poi accadde” e con accenni ai trattamenti di psicoterapia per disturbi postraumatici da stress) continui nella mente del lettore a riverberarsi errabonda: amplifica il desiderio di riconsiderare le condotte di ciascuno dei protagonisti, di ripercorrere a ritroso le loro scelte in cerca di indizi chiarificatori. E lascia con una sola certezza, di cui paiono coscienti gli stessi protagonisti: nessuno di loro, dopo, sarà più lo stesso, ma ognuno di loro avrà almeno raggiunto una maggiore consapevolezza di sé.

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