Tanto mi erano piaciuti “L’omonimo” e “Una nuova terra”, quanto mi ha lasciato perplessa “Dove mi trovo”.
Si tratta di un romanzo composito (o forse di una raccolta di racconti, sono ancora indecisa sulla configurazione da attribuirgli), scaturente dalla giustapposizione di una serie di brevi quadretti che ritraggono piccoli momenti della giornata su cui si innestano ricordi, pensieri, riflessioni attinenti alla vita della protagonista. Una scelta che sapientemente controllata può dare ottimi risultati, ma sempre in bilico sul baratro della frammentarietà.
Ciò che però mi ha lasciata delusa non deriva dalla scarsa coesione tra le varie parti, o dal fatto che ogni capitolo pare avere in sé qualcosa di irrisolto. Deriva piuttosto dal fatto che la sensazione che ho percepito aleggiare durante tutta la lettura è stata preminentemente quella di una leggerezza più affine alla superficialità che alla discrezione e al distacco. Un tono di inconsistenza e quasi noncuranza che avrei trovato adatto a fuggevoli e disinteressate considerazione su vite altrui, di persone poco interessanti e poco importanti per chi parla, ma non a chi analizza la propria vita e le proprie scelte. Soprattutto non ho ritrovato il tocco delicato con il quale, nei precedenti romanzi, la scrittrice aveva dimostrato di saper affrontare temi complessi come quello dello sradicamento, dell’integrazione sociale degli orientali in occidente, delle diverse modalità con cui ciò avviene a seconda che si tratti degli immigrati di prima o seconda generazione.
In altri termini: si percepisce che sotto alle parole misurate e garbate con cui la protagonista si racconta alberga un coacervo inquieto di sentimenti complessi, ma tutto ciò rimane distante, non riesce ad emergere; e quel poco che affiora appare espresso in modo non adeguato, secondo me.
"Dove mi trovo" - Jhumpa Lahiri
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