
10 Dicembre, Stefano Benni da Feltinelli (Galleria Colonna)
Moderatore: Quinnipak
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Benni
Frarosano (l'avrò scritto bene?
),
da napoletano a napoletano,
ho letto solo le prime pagine di achille, tornando dall'incontro di ieri, e mi pare che sia come gli altri di Benni:
non ho parole!
Non lo so, è come se, cambiando la sintonia alla radio, passassi su una stazione che trasmette la tua canzone preferita. Emozione. Così mi capita, più o meno spesso, quando leggo un libro di Benni: ogni tanto leggi qualcosa, una descrizione, uno stato d'animo, che all'improvviso ti rendi conto E' PROPRIO IL TUO. Ed il sorriso te lo devono schiodare dalla faccia con la fiamma ossidrica...
Sono sicuro che, se ti piace Benni, avrai provato la stessa sensazione.
Appena finisco Achille provo a raccontarti cosa ne penso, se nel frattempo sarai ancora interessato...
Per quanto riguarda l'incontro, ebbene si, lo confesso, ero tra i fortunati ad essere seduto (
) ed ho potuto vivere tutte le fasi dell'incazzatura di Benni che è arrivato un'ora prima ed ha subito capito che quel buco messo a disposizione da Feltrinelli (vergogna!!!
) sarebbe diventato un casino in pochi minuti. Comunque è stato un momento di aggregazione, ci siamo fatti quattro risate, mi dispiace solo che, inevitabilmente, il dibattito è finito in politica, d'altronde senza alcun contraddittorio decente, poichè le opinioni in sala erano assolutamente concordi. Avrei voluto si parlasse più di Ulisse e di libri, ma d'altra parte questo ci ha probabilmente consentito di conoscere un Benni più "vero", mano artificiale, più caciarone e polemico, comunque - apparentemente - uno di noi, stufo e impotente proprio come uno qualsiasi dei suoi lettori.
Un pomeriggio "che ne valeva la pena", insomma...
Non vi voglio appallare oltre...
DJ

da napoletano a napoletano,
ho letto solo le prime pagine di achille, tornando dall'incontro di ieri, e mi pare che sia come gli altri di Benni:



Non lo so, è come se, cambiando la sintonia alla radio, passassi su una stazione che trasmette la tua canzone preferita. Emozione. Così mi capita, più o meno spesso, quando leggo un libro di Benni: ogni tanto leggi qualcosa, una descrizione, uno stato d'animo, che all'improvviso ti rendi conto E' PROPRIO IL TUO. Ed il sorriso te lo devono schiodare dalla faccia con la fiamma ossidrica...





Sono sicuro che, se ti piace Benni, avrai provato la stessa sensazione.
Appena finisco Achille provo a raccontarti cosa ne penso, se nel frattempo sarai ancora interessato...
Per quanto riguarda l'incontro, ebbene si, lo confesso, ero tra i fortunati ad essere seduto (






Un pomeriggio "che ne valeva la pena", insomma...
Non vi voglio appallare oltre...



DJ
DJ
La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima nostra (Kahlil Gibran)
"...lei è napoletano. Emigrante?" "Ma perchè, il napoletano non può viaggiare?" (Massimo Troisi - Ricomincio da tre)
La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima nostra (Kahlil Gibran)
"...lei è napoletano. Emigrante?" "Ma perchè, il napoletano non può viaggiare?" (Massimo Troisi - Ricomincio da tre)
Re: Benni
x dottorjekyll
sei napoletano anche tu?
io di benni non ho letto niente, e sono stato tentato passando in libreria di prendere questo achille.
inizio da questo?
sei napoletano anche tu?
io di benni non ho letto niente, e sono stato tentato passando in libreria di prendere questo achille.
inizio da questo?
w Benni
Io ancora lo devo leggere...
Erato78 ne ha liberato una copia giusto oggi
http://www.bookcrossing.com/hunt/19/540/32747/137452

Erato78 ne ha liberato una copia giusto oggi




"T'amo senza sapere come, nè quando nè da dove" (P.Neruda)
Love&Peace
"forse mia cara maestra non ha capito..è amore mio infinito.." Bugo&Viola
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- DottorJekyll
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Frarosano for benni
Ebbene si, caro Frarosano, anch'io terrone ed emigrante in quel di Roma(si sa, il napoletano non viaggia, emigra - lacrimuccia per il grande Massimo Troisi
).
Per quanto riguarda Benni, dirti da dove iniziare sarebbe come chiedere ad un padre a quale dei suoi figli vuole più bene: A TUTTI!
Comunque, calcola che i libri di Benni vanno in edizione economica dopo 12-18 mesi dall'uscita, quindi prima di Ulisse (che non ho ancora letto e sul quale quindi non mi esprimo) potresti prendere qualcuno dei suoi precedenti e risparmiare qualche euros, se credi.
Quale? Se vuoi qualcosa di leggero, articolato su un numero di (esilaranti) racconti brevi, prova "Il bar sotto il mare" o "Bar sport". Se invece vuoi cimentarti subito con un romanzo, direi "Saltatempo" , "Baol" o "Comici spaventati guerrieri", il mio preferito.
Attenzione, Benni è come quel famoso cerotto: se si attacca (e non a tutti capita), non si stacca più...
have fun
DJ

Per quanto riguarda Benni, dirti da dove iniziare sarebbe come chiedere ad un padre a quale dei suoi figli vuole più bene: A TUTTI!
Comunque, calcola che i libri di Benni vanno in edizione economica dopo 12-18 mesi dall'uscita, quindi prima di Ulisse (che non ho ancora letto e sul quale quindi non mi esprimo) potresti prendere qualcuno dei suoi precedenti e risparmiare qualche euros, se credi.
Quale? Se vuoi qualcosa di leggero, articolato su un numero di (esilaranti) racconti brevi, prova "Il bar sotto il mare" o "Bar sport". Se invece vuoi cimentarti subito con un romanzo, direi "Saltatempo" , "Baol" o "Comici spaventati guerrieri", il mio preferito.
Attenzione, Benni è come quel famoso cerotto: se si attacca (e non a tutti capita), non si stacca più...
have fun
DJ
DJ
La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima nostra (Kahlil Gibran)
"...lei è napoletano. Emigrante?" "Ma perchè, il napoletano non può viaggiare?" (Massimo Troisi - Ricomincio da tre)
La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima nostra (Kahlil Gibran)
"...lei è napoletano. Emigrante?" "Ma perchè, il napoletano non può viaggiare?" (Massimo Troisi - Ricomincio da tre)
Re: Frarosano for benni
caro dottorjekyll ho letto il tuo messaggio solo questa mattina, mentre ieri sera sono andato alla feltrinelli dove c'era un ampio spazio dedicato, i libri presenti come tu hai detto erano tutti in edizione economica e c'era l'imbarazo della scelta....
Io ne ho preso uno....
ELIANTO
incominciato a leggere ieri sera e mi piace molto.....
il prossimo libro di benni sarà il tuo preferito
ma torni mai a napoli?
non è che veresti a trovarci nei nostri meet-up napoletani?
Io ne ho preso uno....
ELIANTO
incominciato a leggere ieri sera e mi piace molto.....
il prossimo libro di benni sarà il tuo preferito
ma torni mai a napoli?
non è che veresti a trovarci nei nostri meet-up napoletani?
Per Frarosano...
Per quanto riguarda Elianto...che dire...
guarda la mia firma....
...é stata un'emozione...da Feltrinelli... quando ho mostrato a DottorJekill le due copie di "Comici spaventati guerrieri" che avevo con me...una per "rilasciarla" a Benni, ed una (la MIA copia personale del MIO libro preferito)...è stata un'emozione...dicevo, quando il Dott ha tirato fuori da una tasca remota la SUA copia ed ha detto che anche per lui è il migliore di Benni... LEGGILO SUBITO, FRAROSANO!!!DottorJekill ha scritto:o "Comici spaventati guerrieri", il mio preferito.
Per quanto riguarda Elianto...che dire...

Forse la giovinezza è solo questo
perenne amare i sensi e non pentirsi.
(Penna)
perenne amare i sensi e non pentirsi.
(Penna)
x rosarosa
mi avete proprio incuriosito
nei prossimi giorni sono in libreria prendere comici spaventati guerrieri

nei prossimi giorni sono in libreria prendere comici spaventati guerrieri

Il terribile Natale di Stefano Benni tratto da la Repubblica
Il terribile regalo di Natale
Di STEFANO BENNI
IL NATALE porta doni utili e graditi, ma anche doni pacchiani, dispendiosi, rumorosi, superflui. Ecco alcuni consigli di doni terribili per un Natale detestabile con prezzi megalomani.
Il pupazzo parlante. Una volta c'era Cicciobello che piangeva, l'orsacchiotto che gemeva e le bambole che emettevano suoni tra l'orgasmico e il neonatale. Adesso una legione di zombi e di pelouche e pupazzi logorroici ha invaso i negozi. Babbi Natale che ululano, trote che cantano il blues, oche che rappano, alberi di Natale che si contorcono, presepi che ballano una macarena collettiva.
Ultimi orrori: il robot-cane di pelo quasi vero che vi saluta quando entrate in casa, emblema di una solitudine cosmica, e la bambola "che fa shopping insieme a voi " nelle versioni soft e hard. Nella soft vi dice: "comprami quel vestitino, guarda che bella vetrina, sono stanca prendiamo un drink". Nella hard "guarda che bel fico, su toccagli il culo, dai rapiniamo un bancomat". C'è anche, giuro, l'orsacchiotto giapponese Yuki che scoreggia in tre tonalità. Prendetelo a letto fingendo che vi intenerisce, e potrete gasare il partner senza rappresaglie, tanto è stato Yuki.
DOPO un Natale contrassegnato da questi regali, la vostra casa non sarà più la stessa. Nel cuore della notte sarete svegliati da rumori improvvisi e inspiegabili: la trota si è svegliata e canta "Summertime", l'albero di Natale cammina per i corridoi imprecando, le bambole urlano tutte insieme e Yuki si esprime. Potete togliere le pile a tutti, ma ne dimenticherete sempre uno: ad esempio Babbo Natale che alle cinque di mattina si metterà a cantare a squarciagola. Dopo averlo abbattuto a bastonate, potrete finalmente dormire. Entrerà un ladro furbo cantando Jingle Bell con voce da papero e vi svaligerà la casa di tutto, meno i pupazzi.
Il mostro al plasma
Al top dei regali terribili c'è il megatelevisore: un mostro da 55 pollici al plasma liquido del costo di diecimila e passa euro, ruotante, basculante e con casse audio alte come totem. Al tempo di Craxi, se ricordate, furono ritirati i televisori a cinque pollici perché non riuscivano a contenere il volto florido del leader. Adesso si pubblicizzano megaschermi di tre metri per ingigantire il nanismo carismatico e intellettuale dei nostro Cavaliere. Ma il mostro al plasma, pur essendo un prodigio di tecnologia, presenta numerosi inconvenienti. Ad esempio, se ve ne regalano uno, dovrete trovargli spazio in casa. Potete vendere la cucina e cucinare frittate sullo schermo bollente, oppure dormirci sopra la notte attaccati come gechi. Si segnala il caso di un signore benestante che, dopo aver ricevuto in dono due mostri al plasma, ha dovuto comperare l'appartamento di fronte per poterli guardare attraverso la finestra.
Inoltre la televisione italiana, a ben considerare, è composta per nove decimi sempre dagli stessi cinquanta depressi logorroici vanesi che si invitano vicendevolmente e prezzemolano da un canale all'altro. Per goderne tutta la varietà basta un vecchio televisore bianco e nero a due canali: uno per Mediaraiset e l'altro per tivù locali, satellitari e telestreet. Ma si dice che dopo la legge Gasparri arriverà la legge Bondi-Alberoni, Almeno una parete di ogni casa italiana dovrà essere obbligatoriamente in plasma liquido, per ospitare le apparizioni del nano ingigantito. II telecomando sarà più che mai a distanza, perché non lo avrete in mano voi ma Bondi e Alberoni, in un'apposita sala comando tipo Star Trek.
Ma ahimè, non c'è legge o megaschermo che tenga. Silvietto, pur avendo in mano il novanta per cento dell'informazione, continua a far la vittima e a invocare censure. Evidentemente è il primo a sapere quanto siano fasulle e miserabili le sue idee. E intanto la televisione perde spettatori e il Cavaliere si ammoscia nei sondaggi. Ma guai a dirlo forte, soprattutto a sinistra.
Il profumo
Le pubblicità dei profumi, per lo più recite di vippismo torvo o ilarità incomprensibile, hanno quasi tutte una particolarità: che il nome del profumo (anzi profàumo) viene pronunciato con accento anglosassone, come se alcuni paesi fossero diventati depositari dell'olezzo mondiale, e gli altri fossero tutti puzzoni. L'accento francese è ormai ritenuto troppo effeminato, l'italiano serve solo per propagandare pomodori e mafiosi, il tedesco è confinato agli ordini militari, l'accento albanese o arabo comporta immediata espulsione. Perciò quando andrete in profumeria, pronunciate correttamente. Certo non è facile passare in pochi anni da Pino Silvestre Vi - dal a Macho Ultimate Fashion, ma non arrendetevi. Dovete dire Dìsàìar e non Desìre, Keprìcìou e non Capriccio. C'è gente terrorizzata che dice: mi dia una crema da baurbon o dell'acqua di Commonwealth.
Questi profumi che promettono unicità e successo, hanno meno sex-appeal del basilico del vostro terrazzo. Ma hanno un vantaggio: gli omaggini. Acquistandone uno verrete sommersi da campioncini, fialette, profumini e cremine antirughe. Potete metterne dieci in una scatola e riciclare un regalo peri nonni. Ma attenti: alcuni nonni buttano via i campioncini, altri si profumano come duchesse, altri ancora ci condiscono l'insalata; ma i più furbi li versano in una bottiglietta e l'anno dopo, con un ghigno di vendetta, vi regalano il nuovo profumo Water of Nonn.
Il telefonino che fa di più
Pompato da una campagna pubblicitaria che ci trivella da ogni schermo e pagina, il telefono cellulare non deve più telefonare, ma diventa telecamera, macchina fotografica, videogioco, pacemaker, rasoio, ci potete vedere i gol del campionato, potete trovare moglie, marito o amante, potete video collegarvi con un altro telefonino e condividere panoramiche dei brufoli, o scambiarvi impressioni su come funzionano i vostri telefonini. L'ultima novità è il telefonino che parla da solo. Voi chiamate e lui sostiene la conversazione, dovete solo scegliere la funzione. Ad esempio: saluti e baci, seduzione, litigio, trattativa d'affari, sì mamma ti ascolto, cara ti giuro non è vero, conversazione sul tempo, dialogo sportivo, pettegolezzo, insulti, maniaco semplice, maniaco ansimante, annuncio di ritardo, annuncio di suicidio, eccetera. Intanto potete riposarvi e guardare la pubblicità dei telefonini.
Il cesto sorpresa
Va sempre di moda il cesto gastronomico contenente champagne, torrone, cotechino, salmone affumicato, frutta secca, pandoro e scheggia di parmigiano. Costa una cifra, ma suggerisce un'idea di abbondanza, anche se per metà è solo paglia, come i discorsi di Pera. Prerogativa del cesto: può essere smontato e riciclato in una decina di mini regali. Ad esempio: posso regalare la parte suina del cesto a mio zio e quella dolciaria ai cugini, mentre un cugino mi smista il cotechino che lo zio gli ha regalato l'anno prima, l'altro cugino mi restituisce i torroni del 1998, mio zio regala al cugino il parmigiano appena rosicchiato dalla mamma e confeziona una cesta coi resti di tutte le ceste che io gli ho regalato dal dopoguerra, e così via. Una coppia di Salerno ha ricevuto in regalo lo scorso Natale l'intera torta di nozze che aveva diviso a tranci in dieci ceste, inviandole a amici vari. E' stato un revival molto commovente, anche se la panna trasformatasi in eternit ha impedito di consumarlo.
Il superpullover
Ogni tanto appare in qualche vetrina un pullover che sembra uguale agli altri, ma costa dieci volte tanto. Il vero intenditore sa perché: è di un tessuto o lana speciale che giustifica il prezzo.
Esempi:
Cashmere, filato a mano con peli persi dalle capre nei rovi di montagna del Tibet
Charlesmere, filato a mano da vello di pecore investite dal principe Carlo mentre gioca a polo
Gurumere, lana di ascella di pecora strappata a mano dai monaci nepalesi, lavorata a un telaio di ginepro da suore macrobiotiche e colorata con pastelli bipartisan.
Burmamere, pelo di agnello birmano lavorato a mano da bambini-schiavi per finanziare uno dei regimi più fascisti del mondo, controllate l'etichetta e non comprate il made in Burma.
Hornymere: rarissimo pelo dell'unico ornitorinco albino australiano, che è costretto a girare in loden.
Efisiomere, lana di pecora sarda dì Mogoro tosata a mano dal pastore Efisio e taroccata con falsa firma a Napoli. Anche se è ruvida come una barba, è bella e calda come le altre.
Skifmere, il raro del raro dei raro. Pullover confezionato coi capelli di Schifani, tessuto a mano da fotomontaggi di massaie di Forza Italia e tinto alla nutella come il cranio di Berlusconi.
Prerogativa di questi superpullover: sono così esclusivi che si rifiutano di entrare in lavatrice, si possono lavare solo in piscine di trenta metri. Dopodiché si restringono e li potete mettere all'orsacchiotto Yuki che vi ringrazierà come lui solo sa fare.
Nella prossima puntata: come riuscire a scrivere la letterina a Babbo Natale senza farsela censurare. Buone feste, ma non a tutti.
Di STEFANO BENNI
IL NATALE porta doni utili e graditi, ma anche doni pacchiani, dispendiosi, rumorosi, superflui. Ecco alcuni consigli di doni terribili per un Natale detestabile con prezzi megalomani.
Il pupazzo parlante. Una volta c'era Cicciobello che piangeva, l'orsacchiotto che gemeva e le bambole che emettevano suoni tra l'orgasmico e il neonatale. Adesso una legione di zombi e di pelouche e pupazzi logorroici ha invaso i negozi. Babbi Natale che ululano, trote che cantano il blues, oche che rappano, alberi di Natale che si contorcono, presepi che ballano una macarena collettiva.
Ultimi orrori: il robot-cane di pelo quasi vero che vi saluta quando entrate in casa, emblema di una solitudine cosmica, e la bambola "che fa shopping insieme a voi " nelle versioni soft e hard. Nella soft vi dice: "comprami quel vestitino, guarda che bella vetrina, sono stanca prendiamo un drink". Nella hard "guarda che bel fico, su toccagli il culo, dai rapiniamo un bancomat". C'è anche, giuro, l'orsacchiotto giapponese Yuki che scoreggia in tre tonalità. Prendetelo a letto fingendo che vi intenerisce, e potrete gasare il partner senza rappresaglie, tanto è stato Yuki.
DOPO un Natale contrassegnato da questi regali, la vostra casa non sarà più la stessa. Nel cuore della notte sarete svegliati da rumori improvvisi e inspiegabili: la trota si è svegliata e canta "Summertime", l'albero di Natale cammina per i corridoi imprecando, le bambole urlano tutte insieme e Yuki si esprime. Potete togliere le pile a tutti, ma ne dimenticherete sempre uno: ad esempio Babbo Natale che alle cinque di mattina si metterà a cantare a squarciagola. Dopo averlo abbattuto a bastonate, potrete finalmente dormire. Entrerà un ladro furbo cantando Jingle Bell con voce da papero e vi svaligerà la casa di tutto, meno i pupazzi.
Il mostro al plasma
Al top dei regali terribili c'è il megatelevisore: un mostro da 55 pollici al plasma liquido del costo di diecimila e passa euro, ruotante, basculante e con casse audio alte come totem. Al tempo di Craxi, se ricordate, furono ritirati i televisori a cinque pollici perché non riuscivano a contenere il volto florido del leader. Adesso si pubblicizzano megaschermi di tre metri per ingigantire il nanismo carismatico e intellettuale dei nostro Cavaliere. Ma il mostro al plasma, pur essendo un prodigio di tecnologia, presenta numerosi inconvenienti. Ad esempio, se ve ne regalano uno, dovrete trovargli spazio in casa. Potete vendere la cucina e cucinare frittate sullo schermo bollente, oppure dormirci sopra la notte attaccati come gechi. Si segnala il caso di un signore benestante che, dopo aver ricevuto in dono due mostri al plasma, ha dovuto comperare l'appartamento di fronte per poterli guardare attraverso la finestra.
Inoltre la televisione italiana, a ben considerare, è composta per nove decimi sempre dagli stessi cinquanta depressi logorroici vanesi che si invitano vicendevolmente e prezzemolano da un canale all'altro. Per goderne tutta la varietà basta un vecchio televisore bianco e nero a due canali: uno per Mediaraiset e l'altro per tivù locali, satellitari e telestreet. Ma si dice che dopo la legge Gasparri arriverà la legge Bondi-Alberoni, Almeno una parete di ogni casa italiana dovrà essere obbligatoriamente in plasma liquido, per ospitare le apparizioni del nano ingigantito. II telecomando sarà più che mai a distanza, perché non lo avrete in mano voi ma Bondi e Alberoni, in un'apposita sala comando tipo Star Trek.
Ma ahimè, non c'è legge o megaschermo che tenga. Silvietto, pur avendo in mano il novanta per cento dell'informazione, continua a far la vittima e a invocare censure. Evidentemente è il primo a sapere quanto siano fasulle e miserabili le sue idee. E intanto la televisione perde spettatori e il Cavaliere si ammoscia nei sondaggi. Ma guai a dirlo forte, soprattutto a sinistra.
Il profumo
Le pubblicità dei profumi, per lo più recite di vippismo torvo o ilarità incomprensibile, hanno quasi tutte una particolarità: che il nome del profumo (anzi profàumo) viene pronunciato con accento anglosassone, come se alcuni paesi fossero diventati depositari dell'olezzo mondiale, e gli altri fossero tutti puzzoni. L'accento francese è ormai ritenuto troppo effeminato, l'italiano serve solo per propagandare pomodori e mafiosi, il tedesco è confinato agli ordini militari, l'accento albanese o arabo comporta immediata espulsione. Perciò quando andrete in profumeria, pronunciate correttamente. Certo non è facile passare in pochi anni da Pino Silvestre Vi - dal a Macho Ultimate Fashion, ma non arrendetevi. Dovete dire Dìsàìar e non Desìre, Keprìcìou e non Capriccio. C'è gente terrorizzata che dice: mi dia una crema da baurbon o dell'acqua di Commonwealth.
Questi profumi che promettono unicità e successo, hanno meno sex-appeal del basilico del vostro terrazzo. Ma hanno un vantaggio: gli omaggini. Acquistandone uno verrete sommersi da campioncini, fialette, profumini e cremine antirughe. Potete metterne dieci in una scatola e riciclare un regalo peri nonni. Ma attenti: alcuni nonni buttano via i campioncini, altri si profumano come duchesse, altri ancora ci condiscono l'insalata; ma i più furbi li versano in una bottiglietta e l'anno dopo, con un ghigno di vendetta, vi regalano il nuovo profumo Water of Nonn.
Il telefonino che fa di più
Pompato da una campagna pubblicitaria che ci trivella da ogni schermo e pagina, il telefono cellulare non deve più telefonare, ma diventa telecamera, macchina fotografica, videogioco, pacemaker, rasoio, ci potete vedere i gol del campionato, potete trovare moglie, marito o amante, potete video collegarvi con un altro telefonino e condividere panoramiche dei brufoli, o scambiarvi impressioni su come funzionano i vostri telefonini. L'ultima novità è il telefonino che parla da solo. Voi chiamate e lui sostiene la conversazione, dovete solo scegliere la funzione. Ad esempio: saluti e baci, seduzione, litigio, trattativa d'affari, sì mamma ti ascolto, cara ti giuro non è vero, conversazione sul tempo, dialogo sportivo, pettegolezzo, insulti, maniaco semplice, maniaco ansimante, annuncio di ritardo, annuncio di suicidio, eccetera. Intanto potete riposarvi e guardare la pubblicità dei telefonini.
Il cesto sorpresa
Va sempre di moda il cesto gastronomico contenente champagne, torrone, cotechino, salmone affumicato, frutta secca, pandoro e scheggia di parmigiano. Costa una cifra, ma suggerisce un'idea di abbondanza, anche se per metà è solo paglia, come i discorsi di Pera. Prerogativa del cesto: può essere smontato e riciclato in una decina di mini regali. Ad esempio: posso regalare la parte suina del cesto a mio zio e quella dolciaria ai cugini, mentre un cugino mi smista il cotechino che lo zio gli ha regalato l'anno prima, l'altro cugino mi restituisce i torroni del 1998, mio zio regala al cugino il parmigiano appena rosicchiato dalla mamma e confeziona una cesta coi resti di tutte le ceste che io gli ho regalato dal dopoguerra, e così via. Una coppia di Salerno ha ricevuto in regalo lo scorso Natale l'intera torta di nozze che aveva diviso a tranci in dieci ceste, inviandole a amici vari. E' stato un revival molto commovente, anche se la panna trasformatasi in eternit ha impedito di consumarlo.
Il superpullover
Ogni tanto appare in qualche vetrina un pullover che sembra uguale agli altri, ma costa dieci volte tanto. Il vero intenditore sa perché: è di un tessuto o lana speciale che giustifica il prezzo.
Esempi:
Cashmere, filato a mano con peli persi dalle capre nei rovi di montagna del Tibet
Charlesmere, filato a mano da vello di pecore investite dal principe Carlo mentre gioca a polo
Gurumere, lana di ascella di pecora strappata a mano dai monaci nepalesi, lavorata a un telaio di ginepro da suore macrobiotiche e colorata con pastelli bipartisan.
Burmamere, pelo di agnello birmano lavorato a mano da bambini-schiavi per finanziare uno dei regimi più fascisti del mondo, controllate l'etichetta e non comprate il made in Burma.
Hornymere: rarissimo pelo dell'unico ornitorinco albino australiano, che è costretto a girare in loden.
Efisiomere, lana di pecora sarda dì Mogoro tosata a mano dal pastore Efisio e taroccata con falsa firma a Napoli. Anche se è ruvida come una barba, è bella e calda come le altre.
Skifmere, il raro del raro dei raro. Pullover confezionato coi capelli di Schifani, tessuto a mano da fotomontaggi di massaie di Forza Italia e tinto alla nutella come il cranio di Berlusconi.
Prerogativa di questi superpullover: sono così esclusivi che si rifiutano di entrare in lavatrice, si possono lavare solo in piscine di trenta metri. Dopodiché si restringono e li potete mettere all'orsacchiotto Yuki che vi ringrazierà come lui solo sa fare.
Nella prossima puntata: come riuscire a scrivere la letterina a Babbo Natale senza farsela censurare. Buone feste, ma non a tutti.
Intervista a Stefano Benni
I miei eroi sono disarmati.
Intervista a Stefano Benni di Luciana Sica tratta da “La Repubblica” del 31-12-2003
In poche settimane l'ultimo romanzo,il tragicomico “Achille piè veloce" ha gia venduto 150.000 copie. “Credo di aver scritto un libro su quello che c'è di oscuro, pietrificato, in ognuno di noi”. “Non è un atto retorico ricordare come ci sia un'immensa forza nelle persone più deboli”
Roma. E’ da sempre un bestsellerista «contro», che critica i critici «tromboni», ironizza sugli autori «seri», detesta i premi letterari. E' un globale apocalittico, un irriducibile antipresenzialista mai tentato dalle vanità televisive. Ed è uno che oggi dipinge l'Italia come un regime sudamericano.
A cinquantasei anni, il bolognese Stefano Benni continua ad essere uno scrittore non riconciliato e un fenomeno editoriale: Feltrinelli ha in catalogo ventinove titoli, tra novità e ristampe con vendite da record.
Non ha fatto eccezione Achille piè veloce, il suo ultimo romanzo uscito sempre da Feltrinelli che in poche settimane ha già venduto centocinquantamila copie. Un libro sorprendente sulla ricchezza del dolore, una narrazione tragicomica, comunque divertente ma percorsa da un filo di malinconia che nel finale deraglia verso tonalità decisamente drammatiche.
Il protagonista dal nome omerico è tutt'altro che veloce. E' un ragazzo su una sedia a rotelle che muove solo gli occhi e la bocca. E' un «mostro» follemente innamorato della vita, di una vita tutta interamente immaginata, un personaggio pieno di eros e di tenerezza, di rabbie furiose e di fantasie a tratti deliranti, che so - gna di uscire dalla lugubre oscurità della sua stanza ma che di questo volo impossibile nellaluce delle strade ha anche un'infinita paura.
«Achille sono io», dice con una smorfia ironica Stefano Benni.
Ha fama di essere un personaggio inquieto, difficile, scontroso, e soprattutto di non amare le interviste. E' vero, ma si rivela anche un signore affabile, un elegante affabulatore, al fondo molto dolce e legato ai suoi affetti. Non a caso è proprio da un «affetto», da un'amicizia con una persona vera, che nasce il personaggio letterario diAchille. Oggi quella persona vera non c'è più, e Benni è custode gelosissimo della memoria di quella sua intensa relazione.
Dice soltanto, e non è il caso di essere intrusivi: «Achille piè veloce è ispirato a una persona realmente esistita, piena di vita, che mi ha insegnato molto. Ho cominciato a scrivere il romanzo quando ho avuto notizia che questo mio amico era scomparso. Viveva vicino a Bologna, era un giovane, di grande allegria e curiosità, che amava i libri. L'Achille letterario gli somiglia solo in parte, ma contiene tutta la sua bizzarra vitalità...».
Ma perché, Benni, «Achille sono io»?
«Perché credo di aver scritto un libro su quello che c'è di doloroso, di oscuro, di pietrificato dentro ognuno di noi. Achille, eroe tragico della nostra quotidianità, mostra come ci sia un'immensa forza nei deboli che non è retorica evocare, perché è quella che tiene ancora insieme il mondo, un po' come i saggi di cui parlava Borges... L'altro personaggio è Ulisse, un simpatico avventuriero dell'editoria alle prese con amori poligami e aspiranti scrittori, è un mondo che ho conosciuto bene. E' un libro tragicomico perché racconta questa amicizia, partecipa di queste due polarità, di queste due nature».
Perché il ricorso ai nomi omerici per i personaggi del suo romanzo?
«Perché chi sono gli eroi oggi? Per caso i nostri miserabili politici, esibizionisti e pieni di privilegi? O forse i caduti in guerra, vittime bendate che muoiono senza nemmeno vedere in faccia il loro nemico, sacrificati agli interessi e alle bugie di qualche tiranno o petroliere paranoico? Io preferisco gli eroi quotidiani senza armi, che anche nella sofferenza riescono a mantenere un difficile spazio di generosità verso gli altri. Che lottano perché si sentono parte di qualcosa che non è solo un esercito, una loggia, un'azienda. Del resto, nei miei libri, ho sempre fatto un discorso su questi guerrieri quotidiani: da Blues in sedici, un libro di poesia a cui sono particolarmente affezionato dove c'è un padre che si sacrifica per suo figlio, a Elianto dove c'è un bambino che lotta contro la malattia, a Saltatempo dove ci sono i semplici eroi della mia infanzia, i partigiani e le partigiane dei miei paesi, tormentati, dubbiosi, per niente felici di dover prendere in mano un fucile».
Achille è un «mostro» che a tratti diventa anche piuttosto antipatico, quasi respingente...
«Non vi è dubbio che quando soffriamo a volte diventiamo irosi, astiosi, insopportabili. Ma quello che viene definito mostruoso inrealtà è solo complicato, irriducibile alla sola pietà o patologia. Non si può semplificare la sofferenza come fanno i dolorologi televisivi, trovo orribile la finta compassione di quei programmi dove ci sono coloro che dall'alto dei cieli catodici donano la pietà e coloro che la ricevono, senza far venire fuori la rabbia, la sessualità, l'unicità delle persone che soffrono. Achille esprime - con tutta la disperata vitalità di cui è capace - desideri e furori anche violenti, ed è chiaro che non è sempre facile stargli vicino. Dobbiamo accettarlo nella sua integrità, proprio come il nostro dolore, che grida anche se vorremo che dormisse, anche quando non vorremmo ascoltarlo».
Questo suo ultimo libro è stato abbastanza ben accolto dalla critica. Le ha fatto piacere?
«Guardi, il fatto che come autore duri nel tempo (mi chiamano giovane scrittore ormai da un trentennio!) ha fatto sì che qualche critico si sia occupato un po' più seriamente del mio lavoro, ma a me continua a interessare il parere di tutti, il tempo della lettura è lento e severo, e ci vuole tempo per capire se un libro è arrivato al cuore dei lettori. Considero il critico letterario un lettore come gli altri: a volte appassionato e attento, altre volte superficiale e frettoloso. Forse le recensioni si dovrebbero fare dieci anni dopo l'uscita di un libro».
In passato però lei ha potuto contare su una Grazia Cherchi che l'ha decisamente sostenuta…
«Grazia non era poi così tanto tenera con me, anzi spesso mi massacrava! Ancora oggi, quando scrivo, sento risuonare dentro di me la sua vocina che mi rimprovera: dai, Benni, si può fare meglio...».
Più che coni critici, lei sembra ancora più diffidente con i giornalisti. Perché?
«Perché sono stato e resto anche giornalista, e conosco le insidie dei ritmi e dei protocolli giornalistici, quando sei costretto a leggere un libro in una notte per pubblicare prima della concorrenza, e un libro interessa soltanto il giorno che esce in libreria. Una volta mandai violentemente a quel paese l'intervistatore di un tg che mi raggiunse trafelato con il microfono in mano e mi disse: non ho letto il suo libro, ma ha trenta secondi di tempo per spiegarlo ai telespettatori. Gli dissi che lui aveva trenta secondi per andare in un luogo che lascio alla fantasia di chi legge. Pensi se un cronista sportivo andasse da un allenatore e gli dicesse: non ho visto la partita, me la racconti lei in breve: l'Italia intera insorgerebbe, e invece per i libri c'è questo poco rispetto, questa fretta, questa sciatteria».
E' un po' di tempo che non leggiamo i suoi corsivi politici. Come mai?
«Anzitutto perché questo mio secondo lavoro di lettore – attore - dicitore teatrale mi piace molto e mi prende tempo. Posso passare da Nab okov a Monk, da Landolfi a Gadda a Pinocchio, posso sentire il "silenzio pieno di parole" che si crea in teatro, così come mio nonno mi affascinava leggendomi London davanti al camino. Sto riprendendo a scrivere per il Manifesto e per La Repubblica , ma con calma: ho troppa adrenalina, mi vengono fuori solo parolacce, e in questo la televisione è molto più brava di me. Su Berlusconi mi sembra di aver già scritto tutto in due articoli sei mesi fa, e oggi non ho molto di più da dire se non che si tratta di un premier abusivo, che ha fallito, non è riuscito nel primo elementare compito di ogni politico, quello di creare un clima di convivenza civile nel suo paese. Scondinzola all'estero, ma in Italia gira blindato e ha paura a farsi vedere in giro. E poiché i sondaggi li ha lanciati lui e ora i sondaggi dicono che non è più maggioranza nel paese, se ne deve andare. Cosa pensare di un uomo che ha il 90 per cento dell'informazione e dice che l'informazione è in mano ai comunisti? Che fiducia ha nelle sue idee, quando teme che una semplice satira possa polverizzarle? In fondo al cuore sa che le sue idee sono miserabili. Ma per fortuna l'Italia non è un'azienda né una loggia, è un complicatissimo paese meticcio dove si agitano tutta una serie di differenze, di sogni, di furberie, di difficoltà, e anche di possibilità. E non sempre è un paese prevedibile: da qualche anno la televisione perde spettatori, e i libri aumentano, e le ultime generazioni sono molto più vivaci e diverse da come le aspettavamo. L'aria è un po' cambiata, ma non si deve dire troppo forte, neanche a sinistra. Perché, quali equilibri nobili o fetenti non si vogliono turbare?».
Forse dovrebbe calmarsi un po' e tornarli a scrivere, i suoi corsivi...
«Vede, io non ho la serenità feroce che aveva Luigi Pintor, quella sua capacità di dialogare e di convincere. Non c'è un Pintor oggi in Italia, non c'è nella sinistra e forse in tutto il giornalismo. Abbiamo perso tutti qualcosa di importante, qualcosa di unico».
Com'è stato il suo rapporto personale con lui?
«Un rapporto di grande rispetto e ironia. La voce di Luigi mi torturava e mi spronava: "taglia, Bermi, taglia"... A lui bastavano trenta righe per dire quello che io dicevo in ottanta. E poi è stato anche un grande scrittore. Anni fa mi chiesero di scrivere un pezzo di presentazione per Servabo e rifiutai: è bellissimo, dissi, ma davvero non saprei cosa scrivere. Oggi sì, potrei farlo, perché rileggendolo - quel libro di Pintor - l'ho trovato ancora più vero e intenso, mi piace ancora di più. Questo è il segreto dei libri. Continuano a parlare con voce diversa, più profonda, e soprattutto leale, perché sono firmati pagina per pagina. E' il loro tempo, la loro strana età. Che età ha un vecchio libro in mano a un ragazzo? E un libro di favole in mano a un vecchio? E intanto le bugie dei tiranni, e le loro parole trionfanti svaniscono, e sbiadiscono».
Intervista a Stefano Benni di Luciana Sica tratta da “La Repubblica” del 31-12-2003
In poche settimane l'ultimo romanzo,il tragicomico “Achille piè veloce" ha gia venduto 150.000 copie. “Credo di aver scritto un libro su quello che c'è di oscuro, pietrificato, in ognuno di noi”. “Non è un atto retorico ricordare come ci sia un'immensa forza nelle persone più deboli”
Roma. E’ da sempre un bestsellerista «contro», che critica i critici «tromboni», ironizza sugli autori «seri», detesta i premi letterari. E' un globale apocalittico, un irriducibile antipresenzialista mai tentato dalle vanità televisive. Ed è uno che oggi dipinge l'Italia come un regime sudamericano.
A cinquantasei anni, il bolognese Stefano Benni continua ad essere uno scrittore non riconciliato e un fenomeno editoriale: Feltrinelli ha in catalogo ventinove titoli, tra novità e ristampe con vendite da record.
Non ha fatto eccezione Achille piè veloce, il suo ultimo romanzo uscito sempre da Feltrinelli che in poche settimane ha già venduto centocinquantamila copie. Un libro sorprendente sulla ricchezza del dolore, una narrazione tragicomica, comunque divertente ma percorsa da un filo di malinconia che nel finale deraglia verso tonalità decisamente drammatiche.
Il protagonista dal nome omerico è tutt'altro che veloce. E' un ragazzo su una sedia a rotelle che muove solo gli occhi e la bocca. E' un «mostro» follemente innamorato della vita, di una vita tutta interamente immaginata, un personaggio pieno di eros e di tenerezza, di rabbie furiose e di fantasie a tratti deliranti, che so - gna di uscire dalla lugubre oscurità della sua stanza ma che di questo volo impossibile nellaluce delle strade ha anche un'infinita paura.
«Achille sono io», dice con una smorfia ironica Stefano Benni.
Ha fama di essere un personaggio inquieto, difficile, scontroso, e soprattutto di non amare le interviste. E' vero, ma si rivela anche un signore affabile, un elegante affabulatore, al fondo molto dolce e legato ai suoi affetti. Non a caso è proprio da un «affetto», da un'amicizia con una persona vera, che nasce il personaggio letterario diAchille. Oggi quella persona vera non c'è più, e Benni è custode gelosissimo della memoria di quella sua intensa relazione.
Dice soltanto, e non è il caso di essere intrusivi: «Achille piè veloce è ispirato a una persona realmente esistita, piena di vita, che mi ha insegnato molto. Ho cominciato a scrivere il romanzo quando ho avuto notizia che questo mio amico era scomparso. Viveva vicino a Bologna, era un giovane, di grande allegria e curiosità, che amava i libri. L'Achille letterario gli somiglia solo in parte, ma contiene tutta la sua bizzarra vitalità...».
Ma perché, Benni, «Achille sono io»?
«Perché credo di aver scritto un libro su quello che c'è di doloroso, di oscuro, di pietrificato dentro ognuno di noi. Achille, eroe tragico della nostra quotidianità, mostra come ci sia un'immensa forza nei deboli che non è retorica evocare, perché è quella che tiene ancora insieme il mondo, un po' come i saggi di cui parlava Borges... L'altro personaggio è Ulisse, un simpatico avventuriero dell'editoria alle prese con amori poligami e aspiranti scrittori, è un mondo che ho conosciuto bene. E' un libro tragicomico perché racconta questa amicizia, partecipa di queste due polarità, di queste due nature».
Perché il ricorso ai nomi omerici per i personaggi del suo romanzo?
«Perché chi sono gli eroi oggi? Per caso i nostri miserabili politici, esibizionisti e pieni di privilegi? O forse i caduti in guerra, vittime bendate che muoiono senza nemmeno vedere in faccia il loro nemico, sacrificati agli interessi e alle bugie di qualche tiranno o petroliere paranoico? Io preferisco gli eroi quotidiani senza armi, che anche nella sofferenza riescono a mantenere un difficile spazio di generosità verso gli altri. Che lottano perché si sentono parte di qualcosa che non è solo un esercito, una loggia, un'azienda. Del resto, nei miei libri, ho sempre fatto un discorso su questi guerrieri quotidiani: da Blues in sedici, un libro di poesia a cui sono particolarmente affezionato dove c'è un padre che si sacrifica per suo figlio, a Elianto dove c'è un bambino che lotta contro la malattia, a Saltatempo dove ci sono i semplici eroi della mia infanzia, i partigiani e le partigiane dei miei paesi, tormentati, dubbiosi, per niente felici di dover prendere in mano un fucile».
Achille è un «mostro» che a tratti diventa anche piuttosto antipatico, quasi respingente...
«Non vi è dubbio che quando soffriamo a volte diventiamo irosi, astiosi, insopportabili. Ma quello che viene definito mostruoso inrealtà è solo complicato, irriducibile alla sola pietà o patologia. Non si può semplificare la sofferenza come fanno i dolorologi televisivi, trovo orribile la finta compassione di quei programmi dove ci sono coloro che dall'alto dei cieli catodici donano la pietà e coloro che la ricevono, senza far venire fuori la rabbia, la sessualità, l'unicità delle persone che soffrono. Achille esprime - con tutta la disperata vitalità di cui è capace - desideri e furori anche violenti, ed è chiaro che non è sempre facile stargli vicino. Dobbiamo accettarlo nella sua integrità, proprio come il nostro dolore, che grida anche se vorremo che dormisse, anche quando non vorremmo ascoltarlo».
Questo suo ultimo libro è stato abbastanza ben accolto dalla critica. Le ha fatto piacere?
«Guardi, il fatto che come autore duri nel tempo (mi chiamano giovane scrittore ormai da un trentennio!) ha fatto sì che qualche critico si sia occupato un po' più seriamente del mio lavoro, ma a me continua a interessare il parere di tutti, il tempo della lettura è lento e severo, e ci vuole tempo per capire se un libro è arrivato al cuore dei lettori. Considero il critico letterario un lettore come gli altri: a volte appassionato e attento, altre volte superficiale e frettoloso. Forse le recensioni si dovrebbero fare dieci anni dopo l'uscita di un libro».
In passato però lei ha potuto contare su una Grazia Cherchi che l'ha decisamente sostenuta…
«Grazia non era poi così tanto tenera con me, anzi spesso mi massacrava! Ancora oggi, quando scrivo, sento risuonare dentro di me la sua vocina che mi rimprovera: dai, Benni, si può fare meglio...».
Più che coni critici, lei sembra ancora più diffidente con i giornalisti. Perché?
«Perché sono stato e resto anche giornalista, e conosco le insidie dei ritmi e dei protocolli giornalistici, quando sei costretto a leggere un libro in una notte per pubblicare prima della concorrenza, e un libro interessa soltanto il giorno che esce in libreria. Una volta mandai violentemente a quel paese l'intervistatore di un tg che mi raggiunse trafelato con il microfono in mano e mi disse: non ho letto il suo libro, ma ha trenta secondi di tempo per spiegarlo ai telespettatori. Gli dissi che lui aveva trenta secondi per andare in un luogo che lascio alla fantasia di chi legge. Pensi se un cronista sportivo andasse da un allenatore e gli dicesse: non ho visto la partita, me la racconti lei in breve: l'Italia intera insorgerebbe, e invece per i libri c'è questo poco rispetto, questa fretta, questa sciatteria».
E' un po' di tempo che non leggiamo i suoi corsivi politici. Come mai?
«Anzitutto perché questo mio secondo lavoro di lettore – attore - dicitore teatrale mi piace molto e mi prende tempo. Posso passare da Nab okov a Monk, da Landolfi a Gadda a Pinocchio, posso sentire il "silenzio pieno di parole" che si crea in teatro, così come mio nonno mi affascinava leggendomi London davanti al camino. Sto riprendendo a scrivere per il Manifesto e per La Repubblica , ma con calma: ho troppa adrenalina, mi vengono fuori solo parolacce, e in questo la televisione è molto più brava di me. Su Berlusconi mi sembra di aver già scritto tutto in due articoli sei mesi fa, e oggi non ho molto di più da dire se non che si tratta di un premier abusivo, che ha fallito, non è riuscito nel primo elementare compito di ogni politico, quello di creare un clima di convivenza civile nel suo paese. Scondinzola all'estero, ma in Italia gira blindato e ha paura a farsi vedere in giro. E poiché i sondaggi li ha lanciati lui e ora i sondaggi dicono che non è più maggioranza nel paese, se ne deve andare. Cosa pensare di un uomo che ha il 90 per cento dell'informazione e dice che l'informazione è in mano ai comunisti? Che fiducia ha nelle sue idee, quando teme che una semplice satira possa polverizzarle? In fondo al cuore sa che le sue idee sono miserabili. Ma per fortuna l'Italia non è un'azienda né una loggia, è un complicatissimo paese meticcio dove si agitano tutta una serie di differenze, di sogni, di furberie, di difficoltà, e anche di possibilità. E non sempre è un paese prevedibile: da qualche anno la televisione perde spettatori, e i libri aumentano, e le ultime generazioni sono molto più vivaci e diverse da come le aspettavamo. L'aria è un po' cambiata, ma non si deve dire troppo forte, neanche a sinistra. Perché, quali equilibri nobili o fetenti non si vogliono turbare?».
Forse dovrebbe calmarsi un po' e tornarli a scrivere, i suoi corsivi...
«Vede, io non ho la serenità feroce che aveva Luigi Pintor, quella sua capacità di dialogare e di convincere. Non c'è un Pintor oggi in Italia, non c'è nella sinistra e forse in tutto il giornalismo. Abbiamo perso tutti qualcosa di importante, qualcosa di unico».
Com'è stato il suo rapporto personale con lui?
«Un rapporto di grande rispetto e ironia. La voce di Luigi mi torturava e mi spronava: "taglia, Bermi, taglia"... A lui bastavano trenta righe per dire quello che io dicevo in ottanta. E poi è stato anche un grande scrittore. Anni fa mi chiesero di scrivere un pezzo di presentazione per Servabo e rifiutai: è bellissimo, dissi, ma davvero non saprei cosa scrivere. Oggi sì, potrei farlo, perché rileggendolo - quel libro di Pintor - l'ho trovato ancora più vero e intenso, mi piace ancora di più. Questo è il segreto dei libri. Continuano a parlare con voce diversa, più profonda, e soprattutto leale, perché sono firmati pagina per pagina. E' il loro tempo, la loro strana età. Che età ha un vecchio libro in mano a un ragazzo? E un libro di favole in mano a un vecchio? E intanto le bugie dei tiranni, e le loro parole trionfanti svaniscono, e sbiadiscono».
BUSH Missione tacchino di Stefano Benni
Dall’autore di “Achille piè veloce”, un graffiante articolo sulla visita di Bush in Irak, online sul mio blog http://oltre.ilcannocchiale.it , nella rubrica “Libri, libri e ancora libri” (dato che è un po’ lungo ho evitato di postarlo direttamente sul forum). Buona lettura…
Ultima modifica di oltre il gio gen 08, 2004 7:39 pm, modificato 1 volta in totale.
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Il blog dei ciclisti romani
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L'indirizzo non era corretto!
Ora però funziona alla perfezione!
Un saluto,
Oltre

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