Grazie Keoma, appena riesco, vi stimo molto lo sapete...
Solo X tost!!
Stig Dagerman, da laggiù, nell'oceano di fuoco dove riposi, ti prego di perdonare questa tartaruga, Tost, magari nemmeno sapeva chi fossi, e magari voleva solo scherzare. Mi ha infastidito a morte, ma io sono un tipino suscettibile, e le rispondo nel modo migliore, facendole conoscere cosa significa scrivere davvero, attraverso le tue ultime parole.
"Il nostro bisogno di consolazione" è il titolo del testamento spirituale di Stig Dagerman, autore svedese, morto il 4 novembre del 1954 a 31 anni, suicida. In questo testo di poche pagine si rivela la ricerca e la meditazione di uno scrittore geniale ed autodidatta. Egli si sentiva minacciato dal peso delle proprie parole, dall'indeterminatezza dei significati di una pagina scritta e dalla intrinseca imperfezione della condizione umana.
Esordiva nel testo:
"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa."
Ho conosciuto da poco l'universo di Dagerman, e quando sento stringermi la gola da un nodo di tristezza, attraversando le sue storie, non posso esimermi dal chiedergli: Dove mi stai portando Stig? tu che sei capace di una scrittura ruvida, che riesci a far sentire il disagio della mia superficialità e che ferisci a morte con frasi come :"le mani dei poveri hanno sempre vergogna di ciò che fanno".
Capace di stampare a fuoco un marchio nell'anima. Penso all'inconsistenza del linguaggio. Al mezzo che rappresenta la comunicazione. Al tentativo di trattenere qualcosa del mondo là fuori, e poterlo far viaggiare attraverso la carta, l'inchiostro dei libri, e le parole.
"L'uomo non ha però bisogno di una consolazione che sia un gioco di parole, ma di una consolazione che illumini. [...] Posso riempire tutti i miei fogli bianchi con le più belle combinazioni di parole che sorgono nel mio cervello [...] Ma che mi importa dei soldi, che m'importa di contribuire a rendere più grande e perfetta la letteratura? L'unica cosa che mi importa è quella che non ottengo mai: l'assicurazione che le mie parole hanno toccato il cuore del mondo.
Cos'è allora il mio talento se non una consolazione per la mia solitudine? Ma che consolazione spaventosa, che riesce solo a farmi vivere la solitudine con intensità cinque volte maggiore."
Ed è come se le espressioni, le descrizioni, le frasi di un libro piovessero, scivolassero non riuscendo a staccarsi da un rilievo così denso di trame e intrecci.
Alla fine di un lungo elenco di scrittori famosi Sergio Garufi (edito da Stilos) ribadisce:
"Questo raccapricciante e parziale elenco di suicidi non intende proporre una galleria di eroi positivi, di personalità forti che hanno vinto l’animalesco istinto alla sopravvivenza, la cieca e irrazionale volontà di vivere. Il suicida non è una figura leggendaria e neppure un reietto, il crumiro della specie. Non era scritto fin dalla nascita, nelle oscure officine del destino, che una ferrea necessità causale lo conducesse a quel drammatico epilogo. E’ semplicemente qualcuno che, a un certo punto della vita, ha sentito il mondo come una sorta di pappagallo di Humboldt, qualcosa di incomprensibile e di insensato."