il 19 settembre di vent'anni fa moriva Italo Calvino,
Raidue dedica stanotte un omaggio proponendo a partire dalla una meno dieci il récital di Maria Rosaria Omaggio e Grazia Di Michele Chiamalavita, con brani tratti dalle opere dello scrittore scomparso il 19 settembre 1985.
Anche i Corriere del Ticino dedica un articolo:
UN AUTORE CHE PER LA SUA ORIGINALITÀ NON È ANCORA PASSATO DI MODA. A COLLOQUIO CON GUIDO DAVICO BONINO
Italo Calvino, il « rigore » della scrittura
Vent’anni fa moriva lo scrittore, che è stato pure un grande operatore culturale
Francesco Mannoni
« E ra brusco, Calvino, di poche parole. Per timidezza, per l’abitudine al silenzio che gli veniva dagli avi, forse un riflesso difensivo nei confronti del padre e di una madre autoritari, che sarebbe stato vano contrastare. A quarant’anni aveva le guance piene e carnose che spesso ha l’età di mezzo, sopracciglia folte che davano un risalto ancora maggiore agli occhi puntuti » . Così nel volume
I migliori anni della nostra vita
( Feltrinelli) Ernesto Ferrero ricorda Italo Calvino, uno degli ultimi veri intellettuali italiani, morto prematuramente, a 62 anni, il 19 settembre 1985. I vent’anni trascorsi da allora non hanno sbiadito la memoria dell’autore di romanzi come
Il visconte dimezzato, Il sentiero dei nidi di ragno, Palomar
e numerosi altri che portarono una ventata di rinnovamento nella narrativa, e che tuttora sono ripubblicati e letti senza interruzione, mentre si moltiplicano coloro che aspirano a imitare questo scrittore originale e dalla forte carica sperimentale.
Ma fu anche, Calvino, un eccellente scopritore di talenti e un gran lavoratore, al pari di Cesare Pavese: insieme fecero la casa editrice di via Biancamano, l’Einaudi, non lesinando sforzi. Perché il suo credo era: « Il senso di tutto è il lavoro » .
Diceva: « La letteratura nasce dalla difficoltà di scrivere, non dalla facilità. Scava in quel punto, lavoraci, rosicchia il tuo osso con la pazienza».E anche: « Gli scrittori che esaltano o metafisicizzano qualcosa, qualunque cosa (…) sono magari grandi ma non sono i miei scrittori. I miei scrittori sono quelli che si limitano a stabilire un atteggiamento umano, un rapporto col mondo, senza fare una metafisica né del mondo, né della divinità, né dell’uomo. Come Conrad, come Hemingway, come Pavese » .
Per Calvino non c’era frattura tra la realtà e la fantasia. Un giorno disse a uno studente: « Mi chiedete se Marcovaldo sono un po’ io. Direi di sì, ma il fatto strano è che ho cominciato a sentirmi simile a Marcovaldo dopo aver scritto il libro. Quando lo scrivevo, credevo che fosse un personaggio un po’ buffo un po’ triste, ma molto diverso da me.
Col passare degli anni invece… » .
Chiedo allo scrittore Guido Davico Bonino, che come Ferrero ha lavorato a lungo all’Einaudi a fianco di Pavese, Vittorini e Natalia Ginzburg, di parlarmi di Calvino, che conobbe bene perché nella casa editrice di via Biancamano, dove entrò giovanissimo, trascorse molti anni gomito a gomito con lui. « Sì, avevo ventitré anni quando nel 1961 succedetti a Calvino come capo ufficio stampa all’Einaudi. E non fu un’emozione da poco sentirmi dire da lui stesso: “ Vieni a prendere il mio posto”.
La cosa andò così: avevo pubblicato, nella rivista Il
Caffè
di Giambattista Vicari, un piccolo saggio di carattere universitario sulla trilogia
I nostri antenati
che Calvino aveva appena raccolto in un volume. Letto il mio saggio, Calvino chiese l’indirizzo al direttore della rivista, mi telefonò e mi convocò all’Einaudi, e alla fine della chiacchierata mi offrì di lavorare con lui per prendere il suo posto. Obiettai che non ero all’altezza di sostituirlo, ma lui promise di assistermi, anche se dal 1 ° settembre di quell’anno, il 1963, sarebbe divenuto consulente e non più dirigente dell’Einaudi. E così accadde. Io che non sapevo assolutamente cosa significasse fare l’addetto stampa, perché venivo da studi di italianistica e avevo progettato di fare la carriera universitaria, divenni capo ufficio stampa all’Einaudi » .
E come andò?
« Per un anno Calvino mi insegnò come si scrivevano un risvolto, un retro, gli slogan di una colonnina pubblicitaria. E poi per altri diciotto anni condividemmo la stessa stanza, lavorando fianco a fianco » .
Com’era di carattere?
« Era parco di parole, molto ligure in questo. Era nato a Santiago de Las Vegas a Cuba, ma i suoi genitori erano un botanico e una geologa di Sanremo. Era introverso, rude, ma con una grande umanità che si avvertiva tra le righe e che ti rassicurava, anche se era un uomo difficile e come insegnante di lavoro era durissimo. Una sera andai a prendere la mia fidanzata e appena lei arrivò scoppiai a piangere, per quanto ero stremato e nervoso. Calvino mi aveva fatto rifare quattordici volte il retro di copertina di un romanzo della Duras e alla quattordicesima volta mi aveva detto: “ Sì, può andare, ma dovrò aggiustarlo un po”. Era rigido, non amava quel lavoro di presentazione del libro e aveva un odio viscerale per gli aggettivi. Io avevo avuto per maestro il grande italianista Giovanni Getto, che invece aveva una prosa baroccheggiante infarcita di aggettivi, sia pure sempre opportunamente scelti, e in quattro anni avevo assimilato il suo modo di scrivere » .
E Calvino cosa le diceva?
« S’infiammava e gridava: “ Basta! Ma che cos’è questo aggettivo, cosa ci sta a fare? Non si parla con gli aggettivi, si parla con i sostantivi”. Una volta ebbi l’ardire di ribattergli: “ Tu però nei tuoi racconti alcuni aggettivi li usi”. E lui: “ Aggettivi io? Assolutamente no”. Quando scriveva, poi, diventava intrattabile: se era preso da un progetto, lo si capiva subito. Lui non rivelava mai, finché non aveva finito, che stava lavorando a qualcosa, ma io lo capivo perché diventava come un animale in gabbia. La tensione della scrittura lo provava » .
Era veramente timido e impacciato come si dice?
« Sì, ma quando si rompeva la scorza della timidezza, era un affabulatore straordinario. Questo accadeva con le donne, ma non con quelle di cui si innamorava.
Con l’elemento femminile all’inizio era come un riccio, poi se l’interlocutrice lo metteva a suo agio, si lasciava andare. Era colpito dalla stranezza delle persone e le donne hanno spesso, più di noi uomini, componenti singolari del carattere, che lui coglieva immediatamente. Allora era estremamente comunicativo. La mia famiglia aveva una casa in montagna e una al mare a Bordighera, città vicinissima a Sanremo dove abitava Calvino.
Spesso d’estate lo incontravo e lo portavo a ballare con le mie coetanee, anche se era un ballerino pessimo e pestava i piedi a tutte. Se qualcuna delle ragazze innescava in lui una scintilla, si metteva a parlare e tutte erano affascinate dai suoi racconti. Ricordo una russa prosperosa che a lui piaceva parecchio, avevano ballato e poi, durante una pausa, lui disse: “ Io alla donna, nell’alcova, vorrei sempre poterle dare del lei”. E la ragazza, colpita da quell’insolita affermazione, commentò: “ Si vede proprio che lei è uno scrittore” » .
Cosa le piace e cosa invece non ama dell’opera di Calvino?
« Approvo incondizionatamente tutta la prima parte del suo lavoro letterario, mentre mi affascina meno il gruppo di libri paraastronomico che comprende
Palomar, Le cosmocomiche, T con zero
. È il Calvino fiabista di
Una notte d’inverno un viaggiatore
, non quello scientifico, che sento più vicino. In ogni modo non concordo con chi dice che è uno scrittore gelido » .
io invece rilascerò un barone rampante...
Italo Calvino a vent'anni dalla morte su rai due
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