"Le parole di Sara" - Maurizio De Giovanni

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Towandaaa
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"Le parole di Sara" - Maurizio De Giovanni

Messaggio da Towandaaa »

Mi dispiace dirlo, da sua fan di vecchia data, ma mi sembra che De Giovanni abbia imboccato la via della china discendente.
Le sue ultime pubblicazioni, sia nella serie dedicata a Ricciardi sia in quella dedicata ai bastardi di Pizzofalcone non brillano, su “I Guardiani” ho già espresso tutto il mio malcontento e ora, la seconda uscita della serie dedicata a Sara non fa che confermare, se non addirittura aggravare, la mia percezione di declino.
Il primo (“Sara al tramonto”) mi era piaciuto, nonostante si incentrasse su servizi segreti e giustizialismo (che non sono certo i miei argomenti preferiti) sia come romanzo a sé, pur con qualche ingenuità e qualche elemento ancora da definire (ma trovo normale, anzi quasi necessario, che ciò accada nella prima uscita di una serie, dato che non si può svelare tutto e subito sui personaggi, un po’ di loro deve essere lasciato alla scoperta successiva), sia, appunto, come primo di una serie nella quale intravedevo buone promesse.
Questo invece no. Mi ha lasciato molto delusa.
Sinceramente mi sono stancata di leggere per buona parte di un romanzo il “riassunto delle puntate precedenti”, e questa tendenza costante nei libri di De Giovanni, prima più misurata, ultimamente sta iniziando a prevaricare il resto. Una cosa è dare alcuni accenni, per ricordare chi siano i personaggi ai lettori che già li conoscono o per aiutare i lettori che hanno intrapreso la lettura senza iniziare con la prima uscita della serie, ma ripetere le stesse note, costantemente, più volte nello stesso romanzo, risulta stancante agli occhi del lettore che, come me, vorrebbe veder crescere i personaggi o in senso assoluto (cioè assistere a una loro qualche metamorfosi) o in senso relativo (cioè assistere ad una loro maggiore definizione ad opera dell’autore).
Sara, Teresa, Viola e Pardo invece mi sono sembrati esattamente gli stessi che avevo lasciato chiudendo il primo libro. Ora che ho finito, stancamente e per partito preso, il secondo, li lascio di nuovo uguali a se stessi, e non so se avrò voglia, alla loro prossima avventura, di tornare ad ascoltare quello che vorranno raccontarmi.
Eppure De Giovanni si era dimostrato fino ad ora capace di cesellare progressivamente i propri personaggi, di farli diventare quasi persone consistenti ai nostri occhi di lettori, di farli cambiare in conseguenza dei fatti e delle esperienze affrontate. E di saperlo fare con varietà di linguaggio, di toni e di registri narrativi. Perchè allora adesso non fa altro che girare intorno ad essi sempre con le stesse parole, dipingendoli sempre con gli stessi atteggiamenti ? Solo per fare un esempio: mi chiedo quanti diversi significati possa avere l’azione di succhiarsi i baffi… perché molte (troppe) volte Pardo viene descritto nell’atto appunto di farlo, ma ciò non aumenta, secondo me, il grado di definizione del personaggio, ne fa anzi, una macchietta, al pari di quando De Giovanni non perde occasione di presentarcelo mentre fa sci nautico di terra (cioè mentre si lascia trascinare dal suo gigantesco cane al guinzaglio durante le “passeggiate”).
Passando alla trama di questo secondo episodio, la situazione ai miei occhi non migliora.
Una storia che si prefigge di affrontare un fenomeno così grave, vasto e complesso come quello delle migrazioni clandestine facendone la circostanza sullo sfondo della quale costruire il giallo di una scomparsa con tutto ciò che ne consegue, si prefigge, secondo me, un progetto ambizioso, da realizzare con modi, argomenti e idee che abbiano una certa consistenza. E ci tengo a precisare che non mi interessa quale sia la posizione in cui si colloca De Giovanni come uomo, o come uomo di cultura, o come personaggio ormai noto a un pubblico diffuso. Affermo soltanto che non si può, secondo me, liquidare un fenomeno di tal fatta con qualche estemporanea, settaria e frettolosa “sparata” messa in bocca a qualche personaggio, contrapporle poi affermazioni dai toni simili ma contrari e considerare esaurito il contesto. Il risultato che se ne ricava è non solo superficiale, ma anche inconsistente, e lascia il caso che da esso doveva emergere in una atmosfera di sospensione e indeterminatezza, che si riverbera sulla conclusione (per di più confusa e affettata).
In definitiva l’impressione spicciola che ho percepito è stata quella del proverbiale gettare il sasso e nascondere la mano, tanto più sgradevole quanto più si pensa che il fenomeno migratorio è uno dei grandi temi di attualità su cui si giocano anche difficili equilibri sociali e politici, e il richiamo ad esso appare quasi un, mi si consenta, deteriore tentativo di captatio benevolentiae velocemente rintuzzato da un gesto che porta a offuscare e distendere l’increspatura appena sollevata. Un termine per questo c’è, ed è lo stesso De Giovanni a offrircelo proprio in questo libro: un neologismo che adotterò volentieri quando se ne presenterà, come adesso, l’occasione giusta. Esso è “cerchiobottista”.
Questo mi è sembrato appunto un romanzo cerchiobottista, che vuole strizzare l’occhio a chiunque abbia un’opinione qualunque sul tema ad esso sotteso, che non vuole scontentare nessuno dei lettori già “fidelizzati” ma soltanto, semmai, raggiungerne di nuovi. E che, appunto, dopo aver gettato il sasso, nasconde la mano, in vari modi, quello più subdolo dei quali mi è sembrato (e sono dispostissima a ricredermi se qualcuno mi convincerà del fatto che forse sto esagerando) il riferimento espresso a canzoni italiane degli anni 70 (“Pensiero stupendo” di Patty Pravo e “Piccolo grande amore” di Claudio Baglioni) che i protagonisti sentono alla radio in due momenti diversi: quasi a voler decontestualizzare la collocazione storica del romanzo (so benissimo che ci sono emittenti radio che trasmettono solo musica di quegli anni, che esistono programmi che ripropongono solo quelle canzoni… mi sono chiesta però a quale scopo, in due circostanze diverse della storia, siano stati inseriti questi precisi riferimenti senza una apparente specifica ragione, e la risposta che mi sono data, lo riconosco, è fantasiosa, ma altre non me ne sovvengono !).
Infine, con tutto il materiale su casi irrisolti e mai chiariti degli anni più bui del nostro paese che sappiamo essere custodito nell’archivio segreto di Sara (per esempio: a un certo punto, in un momento di flash back del libro, viene fatto riferimento alla bomba in Via dei Georgofili a Firenze) mi aspettavo e speravo che De Giovanni avrebbe dato un taglio preciso a questa serie, quello che secondo me gli è più congeniale e che lo porta a riflettere, raccontandoli, su momenti che appartengono alla nostra storia non molto lontana (come dimostra la serie più riuscita, a mio avviso, cioè quella dedicata a Ricciardi). Ma così non è stato.
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