"La scrittura adesso assume un valenza duplice e opposta: essa può redimere l'errore persitente della vita ('Esiste soltanto l'errore. Là, nel cuore del mondo. Nessuno trova la propria vita. Questa è la vita.' sentenzia [Phillip] Roth, in un passo dello stesso romanzo citato [Ho sposato un comunista]) oppure costituire da sé motivo di ossessione e di rovina.
Si può scegliere: per un certo verso si è come costretti a scrivere per salvarsi (e l'opera di Dante è il racconto di una redenzione che nasconde proprio nei meccanismi della sua scrittura il segreto di questa possibile salvezza) ma la scrittura può, per un non calcolato eccesso, condurre al risultato opposto, farsi da sé motivo di dannazione, come una gabbia che imprigiona chi l'aveva creduta il proprio mezzo di liberazione.
Acceacarsi per troppa luce, questo il tema pradossale."
"L'idea che la chiarezza e la parola possano smarrire l'uomo (egli [Emil Cioran] parla di paura associata alla parola, come la paura di crollare assieme a tutte le parole) tradisce forse il segreto sospetto (di lontana e nobile ascendenza baudelairiana) che dietro le cose i loro nomi si nasconda soltanto un vertiginoso vuoto.
Eppure questa preoccupante convinzione non impedisce che la parola debba essere perfetta: come si vede, siamo ancora di fronte all'istanza kafkiana di scrivere anche se la cosa non potrà portare a nulla."
L'articolo termina con:
"'Inferno o cielo, non importa' (recita un famoso verso di Baudelaire), non è quello il punto: come proprio Cioran ebbe a scrivere (a proposito di Dante, definendo il suo Inferno 'esatto' come un processo verbale), ciò che conta sono il rigore e la serietà impiegate dall'artista: se l'alchimia del verbo non è redenzione, potrà però riferire la misura esatta della strada che l'uomo ha deciso di percorrere, sia essa verso al luce, oppure verso un suo più enigmatico contrario."

